Per non compromettere i rapporti economici e l'accordo sui migranti con la Libia
Il governo libera il criminale torturatore di migranti Almasri
Indagati Meloni, Piantedosi, Nordio e Mantovano per favoreggiamento e peculato. La “sinistra” borghese si limita a chiedere alla premier di chiarire il caso in parlamento
Questo governo va abbattuto politicamente dalla piazza non per via giudiziaria

Lo scandalo esploso sul caso Almasri, il generale libico arrestato in Italia il 19 gennaio su mandato della Corte penale internazionale, per crimini di guerra, stupri, torture e violazione dei diritti umani contro i migranti nei lager libici, e poi rilasciato e riaccompagnato in patria su un volo di Stato il 21 gennaio, mette sotto accusa il governo e la stessa premier neofascista Meloni, la quale reagisce scaricando tutta la responsabilità sulla magistratura, che lo avrebbe scarcerato per un “vizio di forma”, limitandosi il governo ad espellerlo in quanto “soggetto pericoloso”. E anzi cerca di sfruttare la sporca vicenda a suo favore, intensificando la campagna politica di attacco ai magistrati e a sostegno della controriforma neofascista e piduista della giustizia, in particolare la separazione delle carriere di giudici e pm all'esame del parlamento.
L'occasione colta al balzo per rigirare la frittata le è stata offerta da un esposto del 28 gennaio alla procura di Roma dell'avvocato Luigi Li Gotti - un ex missino per decenni e successivamente transitato nell'Italia dei valori di Antonio Di Pietro, svolgendo anche una carica di sottosegretario alla Giustizia nel governo Prodi – con una denuncia per favoreggiamento (del torturatore libico) e peculato (per l'aereo di Stato) a carico della stessa premier, del sottosegretario Mantovano, del ministro dell'Interno Piantedosi e del ministro della Giustizia Nordio. Denuncia che ha portato il capo della procura romana, Lo Voi, a iscrivere, come atto dovuto, i quattro nominativi nel registro degli indagati dandone immediata comunicazione agli interessati.

Dura richiesta di spiegazioni della Cpi al governo
Infatti, in base ad una legge costituzionale del 1989, che fu fatta proprio per tutelare i componenti del governo da indagini aperte a loro insaputa, appurato che la notizia di reato non poteva essere cestinata in quanto “non manifestamente infondata”, Lo Voi non ha potuto fare altro che rinviare “senza indagini” gli atti al tribunale competente per questi casi, che è il tribunale dei ministri, e che dovrà pronunciarsi entro 90 giorni se archiviare il caso o chiedere l'autorizzazione al parlamento per procedere in giudizio.
Tuttavia la scaltra premier neofascista ha colto la palla al balzo per uscire dall'angolo in cui il montare dello scandalo l'aveva messa, anche per i suoi risvolti internazionali. La Corte dell'Aia, infatti, aveva subito emesso un duro comunicato in cui si chiedevano spiegazioni al governo italiano sul perché Osama Almasri “è stato rilasciato senza preavviso o consultazione con la Corte”, e si ribadiva (forse anche in considerazione della vergognosa irrisione italiana del mandato d'arresto della stessa Cpi per il criminale di guerra Netanyahu), che è “dovere di tutti gli Stati che ne fanno parte di cooperare pienamente con la Corte nelle indagini e nei procedimenti penali”. Un passo ufficiale che potrebbe preludere ad una segnalazione del nostro Paese, primo firmatario della Convenzione di Roma che istituì la Corte internazionale, al Consiglio di sicurezza dell’Onu per violazione dello Statuto.
E non erano certo riuscite, a chiudere frettolosamente il caso, né le dichiarazioni false e arroganti della ducessa, che accusava la Corte di aver aspettato che Almasri fosse in Italia per emettere l'ordine di cattura, dopo aver girato per giorni in Europa, nonché di non averlo trasmesso al ministro della Giustizia “come invece è previsto dalla legge”, e che “per questo la Corte d'appello di Roma decide di non procedere alla sua convalida”; né le burocratiche e altrettanto false dichiarazioni di Piantedosi, inviato in Senato a rispondere alle interrogazioni delle opposizioni, secondo il quale “a seguito della mancata convalida dell’arresto da parte della Corte d’appello di Roma, considerato che il cittadino libico era 'a piede libero' in Italia e presentava un profilo di pericolosità sociale — come emerge dal mandato di arresto emesso in data 18 gennaio dalla Cpi — ho adottato un’espulsione per motivi di sicurezza dello Stato”. Consentendo così al boia libico di continuare ad uccidere, torturare e stuprare impunemente i migranti.

Falsità di governo e verità dei fatti
Si tratta di dichiarazioni completamente false, come dimostra chiaramente la ricostruzione degli eventi. La prima presenza del torturatore libico in Italia, che era ricercato dalla Cpi già dallo scorso luglio, è del 6 gennaio a Fiumicino, in transito prima di volare a Londra, per poi spostarsi successivamente a Parigi, Bruxelles, Bon e a Monaco di Baviera, con tre guardie del corpo al seguito. Qui, il 15 gennaio, noleggia un'auto da riconsegnare a Fiumicino 5 giorni dopo, ed è da un controllo della polizia tedesca dopo questa richiesta anomala che solo il 18 gennaio la Corte ha la certezza della sua identità e della sua destinazione finale, emettendo l'ordine d'arresto che secondo le regole viene immediatamente comunicato all'ambasciata italiana affinché informi le autorità italiane.
La stessa sera del 18 la Digos torinese ferma l'auto dei 4 libici fuori dallo stadio dove Almasri, tifoso della Juventus, si era recato a vedere la partita col Milan, ma vengono lasciati andare. Durante la notte in questura arriva la “nota rossa” dell'Interpol su Almasri, e dalla banca dati emerge che si tratta della stessa persona fermata e rilasciata poche ore prima, nonché il nome dell'albergo in cui i 4 stanno pernottando. L'indomani mattina presto, 19 gennaio, Almasri viene quindi arrestato e custodito nel carcere Cotugno, a disposizione della Corte d'appello di Roma, competente per i casi internazionali.
La quale rileva, sì, l'”irritualità” dell'arresto, perché secondo la procedura avrebbe dovuto essere prima il Guardasigilli Nordio ad ordinarlo alla polizia. Ma l'errore non avrebbe avuto nessuna conseguenza se quest'ultimo lo avesse prontamente riparato chiedendo alla corte romana di convalidare l'arresto già effettuato. Meloni, Nordio e tutto il governo in coro affermano che Nordio “non era stato avvertito”, ma si tratta di un falso spudorato. Anche ammettendo che non fosse stato informato già il 19 dalla questura di Torino, cosa che è del tutto inverosimile, lo è stato quantomeno dalla procura generale di Roma che lo ha sollecitato a pronunciarsi per la convalida, ma senza ricevere da lui alcuna risposta: “Il ministro della Giustizia, interessato da questo ufficio in data 20 gennaio immediatamente dopo aver ricevuto gli atti dalla questura di Torino, ad oggi non ha fatto pervenire nessuna richiesta in merito”, scriveva infatti il procuratore Amato il 21 gennaio, prima di ordinare la scarcerazione di Almasri per il palese disinteresse del ministro.

Perché Meloni e i suoi mentono su Almasri
Come unica risposta alle sollecitazioni della procura, nel pomeriggio sempre del 21, Nordio emetteva un laconico comunicato in cui faceva sapere che stava “esaminando il complesso carteggio”; come se un ordine della Cpi di arresto di un criminale di quel calibro dovesse essere approvato o respinto in ultima istanza dal Guardasigilli, al quale invece spetta solo di eseguirlo, come ha sottolineato la Cpi nella sua richiesta di spiegazioni al governo (Tajani tenterà poi di giustificarlo, senza temere il ridicolo, dicendo che si trattava di “un documento di 40 pagine in inglese, da tradurre...”).
Sta di fatto, invece, che mentre Nordio “valutava”, e prima ancora dell'ordine di scarcerazione della procura, già da diverse ore il Falcon 900 dell'aeronautica militare, su ordine di Meloni e Mantovano, aveva lasciato Ciampino per andare a prelevare Almasri a Torino, per poi ripartire per Tripoli verso le 20, dove il criminale è stato accolto come un trionfatore. Segno che tutto era già stato deciso ben prima del suo rilascio.
Perché allora Meloni e i suoi accoliti mentono spudoratamente sul suo rilascio, stornando le loro evidenti responsabilità sui giudici e sulla stessa Cpi? Perché altrimenti dovrebbero ammettere di aver liberato, con un deliberato atto politico, un pericoloso criminale di guerra, assassino, torturatore e stupratore di migranti, per coprire gli sporchi accordi economici e antimigranti stipulati di sottobanco col governo Libico e i suoi signori della guerra, e per paura di subire per ritorsione una nuova ondata di sbarchi. E questo da parte di un governo la cui premier aveva proclamato di dare la caccia ai trafficanti “su tutto il globo terracqueo”.
Allo stesso tempo il governo neofascista e imperialista italiano ha voluto assestare un altro colpo demolitore all'autorità della Corte penale internazionale, già ampiamente messa in discussione dai governi imperialisti dell'Est e dell'Ovest, nel quadro della spinta ai fattori di una terza guerra mondiale imperialista. Non a caso il ministro degli Esteri Tajani, per giustificare l'atto del governo di fronte alle rimostranze della Corte, e portarsi avanti con l'assoluzione d'ufficio del criminale Netanyahu, ha avuto l'impudenza di dichiarare: “Siamo fondatori della Carta di Roma, ma L’Aia non è la bocca della verità. Si possono avere visioni diverse”.

Il video anti giudici della premier neofascista
Il 28 gennaio era prevista l'audizione dei ministri Nordio e Piantedosi in parlamento, ma alla notizia del ricevimento dell'”avviso di garanzia”, come è stato falsamente chiamato dalla premier in un suo video prontamente diffuso sui social e a reti praticamente unificate (in realtà di trattava di un atto dovuto, come precisava anche un comunicato dell'Anm), l'audizione è stata provvidenzialmente cancellata, con il pretesto del “rispetto del segreto istruttorio”. Le opposizioni parlamentari sono insorte, proclamando la diserzione dai lavori parlamentari finché la premier non verrà in parlamento a riferire sulla grave vicenda. Costei però se ne infischia, e il governo ha informato che saranno Nordio e Piantedosi a riferire in parlamento mercoledì 5 febbraio, e senza la consueta diretta Rai, almeno alla Camera.
In quel video pieno di attacchi a Lo Voi e alla Cpi, e di altre falsità come quella che definiva Li Gotti “ex politico di sinistra, molto vicino a Romano Prodi”, non riferendosi mai ad Almasri come un criminale torturatore, ma solo come “cittadino libico” e “capo della polizia giudiziaria di tripoli”, la ducessa proclamava di non essere “ricattabile” e di non farsi “intimidire”, da “chi non vuole che l'Italia cambi e diventi migliore”. Due giorni dopo, intervenendo ad un evento tenuto dal suo pennivendolo Nicola Porro a Milano, si è scagliata con violenza, alla maniera di Berlusconi contro i giudici, accusandoli di aver emesso volutamente l'”avviso di garanzia”, provocando un danno d'immagine internazionale alla sua persona e alla nazione, e sfidandoli a candidarsi “se vogliono governare”.

Unire le forze per buttare giù il governo Meloni
Intanto i suoi squadristi lanciavano il dossieraggio contro Lo Voi (che oltretutto è della corrente di destra, tanto che fu raccomandato dalla Casellati alla procura di Palermo, per mettere a freno le indagini dei pm sulla trattativa Stato-mafia), e moltiplicavano gli attacchi alla magistratura nei gazebo di FdI in tutte le piazze d'Italia. Mentre alla Direzione nazionale di FdI, sua sorella Arianna, responsabile della segreteria politica e del tesseramento, proclamava la nascita del “Grande Partito della Nazione”, riedizione aggiornata del Partito nazionale fascista di mussoliniana memoria, galvanizzandoli col motto tolkeniano “Giorgia è il nostro Frodo e noi siamo la Compagnia dell’anello. L’anello è pesante, dobbiamo aiutarla nella fatica di portarlo senza mai indossarlo: ognuno è chiamato a fare la propria parte”.
Davanti a tanta falsità e protervia fascista, serve a ben poco il trincerarsi dei partiti della “sinistra” borghese dietro la richiesta che Meloni venga a riferire sul caso Almasri in parlamento. Non sarà certo un blocco temporaneo dei lavori che indurrà la ducessa a più miti consigli. Così come la ritirata sull'Aventino delle opposizioni parlamentari liberali e socialdemocratiche non riuscirono a fermare l'ascesa di Mussolini verso il completamento della dittatura fascista, anzi l'accelerarono, neanche le tattiche parlamentari legalitarie dell'attuale opposizione di tipo aventiniano potranno impedire alla premier di completare il disegno neofascista e piduista di repubblica presidenziale, nella forma del premierato, federalista, razzista e interventista, illudendosi magari in una caduta del governo per via giudiziaria. Vedremo quello che uscirà dal dibattito parlamentare sul caso ma tutto sembra confermare il nostro giudizio sull'imbroglio del governo e sull'inefficacia della denuncia delle opposizioni parlamentari.
Occorre ben altro. Occorre cioè che capiscano, come non si stanca di ripetere il PMLI, che la sola via per sbarrarle la strada è quella, oggi come cento anni fa, di unirsi agli anticapitalisti, gli antifascisti e tutti i sinceri democratici per formare insieme un largo fronte unito con l'obiettivo di buttare giù con la lotta di piazza il governo neofascista Meloni, seguendo l'esempio della lotta di massa che nel luglio 1960 portò alla caduta governo fascista Tambroni. Poi ognuno andrà per la sua strada. Noi continueremo a lottare per l'Italia unita, rossa e socialista.

5 febbraio 2025