80 anni dalla fine dell'Olocausto che provocò oltre 17 milioni di morti innocenti
Fu l'Armata Rossa a liberare Auschwitz e i principali lager nazisti

Come gli avvoltoi non rinunziano alla carogna così il marxismo non verrà mai meno a tradire la patria. Non mi si contraddica affermando che tante persone si sacrificano per la Germania, quelli erano lavoratori tedeschi e non più marxisti internazionali. Se nel 1914 gli operai tedeschi erano dei veri marxisti il conflitto si sarebbe risolto nel giro di tre settimane. Il Reich si sarebbe arreso prima che un solo soldato avesse potuto sparare. Se il paese combatté fu proprio perché il marxismo non aveva ancora preso piede. Ma via via che l'operaio e il soldato tedesco capitavano sotto governanti marxisti non servivano più per la patria. Se all'inizio e durante il conflitto si fossero uccisi con i gas dodici o quindici mila di quei giudei distruttori del popolo, come rimasero uccisi dai gas sui campi di battaglia centinaia di migliaia di tedeschi di tutte le classi, non sarebbero morte invano milioni di persone. Ammazzando dodici mila criminali finché si era in tempo avrebbero guadagnato la vita un milione di preziosi tedeschi ”.
Questo brano è tratto dal quindicesimo capitolo del Mein Kampf di Adolf Hitler, pubblicato nel 1926, e dimostra al di là di ogni dubbio non soltanto che Hitler provava sentimenti omicidi non soltanto contro gli ebrei ma anche contro i comunisti (che infatti confondeva assimilandoli impropriamente), ma che già pensava allo sterminio degli uni e degli altri attraverso il gas prima ancora della sua presa di potere in Germania, avvenuta nel 1933 e ancora prima che la tecnologia e la chimica permettessero la costruzione di vere e proprie camere a gas, come sarebbe poi tragicamente avvenuto.
Dopo l'avvento del nazismo in Germania, poi, e con l'occupazione dei territori slavi della Boemia e della Moravia nel marzo del 1939 e il successivo scoppio della seconda guerra mondiale nel settembre di quello stesso anno, con l'aggressione alla Polonia, la macchina propagandistica di Hitler si diede da fare per convincere i tedeschi che cechi e polacchi, entrambi slavi, appartenevano a una razza inferiore.
L'aggressione all'Unione Sovietica nel luglio del 1941, infine, diede libero sfogo alla propaganda nazista di dichiarare che tale impresa bellica era una vera e propria crociata finalizzata all'abbattimento dello Stato socialista retto da Stalin nonché alla riduzione in schiavitù delle popolazioni russe, bielorusse e ucraine che abitavano quei territori, considerate dai nazisti subumane, oltre che alla lotta senza quartiere contro gli ebrei, che nei territori compresi tra Polonia, Bielorussia, Ucraina e Russia vivevano a milioni.

Tutte le vittime dell'Olocausto
Con queste premesse si spiegano quindi i dati, forniti dallo United States Holocaust Memorial Museum, la più importante organizzazione al mondo che tratta degli omicidi di massa perpetrati dalle potenze nazifasciste dal 1933 al 1945 - e soprattutto dal 1941 al 1945 - in base ai quali oltre 17 milioni di persone, comprendenti civili disarmati e prigionieri dell'Armata Rossa sovietica già arresi, furono sistematicamente e deliberatamente sterminati.
Furono quasi 6 milioni gli ebrei, infatti, che sono morti in prigionia secondo le stime di tale organizzazione, sottoposti ai lavori forzati e infine uccisi nelle camere a gas. Ma occorre ricordare che insieme agli ebrei caddero vittime dei campi di concentramento circa 3 milioni e mezzo di prigionieri dell'Armata Rossa e un numero di civili polacchi e sovietici non ebrei variabili tra i 4,5 milioni e i 5 milioni. Su quest'ultimo punto lo storico russo Vadim Viktorovic Erlikhman precisa nel suo fondamentale testo Population loss in the twentieth century (Mosca, 2004) che solo i cittadini sovietici – non ebrei, non appartenenti all'Armata Rossa e non appartenenti a formazioni partigiane - che perirono per mano nazifascista furono complessivamente 7,1 milioni, dei quali 1,8 milioni furono assassinati nei campi di sterminio nazisti.
Nelle prime fasi della guerra contro l'Unione Sovietica iniziata il 22 giugno del 1941 le operazioni di sterminio della popolazione civile venivano condotte in modo disordinato fomentando la popolazione civile contro gli ebrei o altre minoranze, come dimostra il massacro di Leopoli pochi giorni dopo l'invasione, ma già nei mesi immediatamente successivi i nazisti inviarono nel territorio sovietico quattro grandi reparti speciali, le Einsatzgruppen, con il compito di sterminare sia gli ebrei, che vivevano soprattutto nelle città, sia quella parte di popolazione slava e non ebrea che viveva nei villaggi, moltissimi dei quali furono distrutti con la relativa popolazione annientata o costretta a fuggire, soprattutto in Bielorussia e in Ucraina.
I nazisti, però, non erano ancora soddisfatti di tale pulizia etnica e vollero organizzare lo sterminio su scala industriale, iniziando a raccogliere ebrei, prigionieri dell'Armata Rossa di Stalin, comunisti, slavi e altri gruppi da essi destinati all'annientamento in appositi campi - non più di sei - dove tali vittime erano destinate a lavori forzati talmente usuranti da deperire rapidamente ed essere quindi uccise nel momento in cui divenivano inabili. Chi sin dall'inizio non era ritenuto abile (bambini, anziani, malati) veniva immediatamente ucciso all'arrivo al campo.

I campi di sterminio
Tali campi di sterminio erano l'evoluzione dei campi di concentramento, o Lager, aperti a decine sin dal 1933, anno di ascesa al potere di Hitler, che si trovavano tutti all'interno dell'allora territorio tedesco e che prevedevano soltanto i lavori forzati.
Tuttavia durante il 1941 le autorità naziste, in gran segreto, decisero di istituire dapprima un campo di sterminio a Chełmno (dicembre 1941), poi a Bełżec (marzo 1942), a Sobibór (maggio 1942) e a Treblinka (luglio 1942). Il campo di Auschwitz, in origine semplice campo di concentramento, fu ampliato con la costruzione dei due campi adiacenti di Birkenau e di Monowitz, dove lo sterminio di massa iniziò nell'ottobre del 1941, divenendo il più importante campo di lavoro forzato e di sterminio. Fu nel Blocco 11 di Auschwitz che alla fine dell'estate del 1941 fu testato per la prima volta il micidiale Zyclon-B, in sostituzione del monossido di carbonio precedentemente utilizzato, per asfissiare un gruppo di oltre 800 tra ufficiali e commissari politici dell'Armata Rossa catturati pochi giorni prima. Pochi giorni più tardi altri 900 soldati semplici della stessa Armata Rossa di Stalin subirono la stessa sorta, stavolta nell'ex crematorio trasformato in camera a gas. Anche il campo di Majdanek, in origine semplice campo di concentramento, fu destinato in parte anche allo sterminio nel settembre del 1942.
Chełmno, Bełżec, Sobibór e Treblinka erano campi assai ridotti in quanto i prigionieri venivano immediatamente uccisi al loro arrivo nelle camere a gas, mentre Majdanek e, soprattutto, il complesso di Auschwitz – Birkenau – Monowitz erano assai estesi in quanto i prigionieri che superavano la selezione erano destinati ai lavoro forzati fino allo sfinimento, e solo in quel momento erano uccisi.
Questi sei campi – ossia il complesso costituito da Auschwitz, Birkenau e Monowitz, nonché Chełmno, Bełżec, Sobibór, Treblinka e Majdanek – si trovano attualmente nel territorio della Polonia e all'epoca nel Governatorato Generale, ossia in quella parte della Polonia che la Germania nazista non aveva annesso e che amministrava con spietata ferocia.

La liberazione dell'Armata Rossa
L'Armata Rossa di Stalin, nella sua avanzata verso la Germania liberò tutti e sei questi infernali luoghi di morte dove avevano già lasciato la vita milioni di loro commilitoni, colpevoli solo di essere militari di uno Stato socialista e sovietico.
Nella parte orientale del Governatorato Generale si trovavano i campi di Bełżec, Sobibór e Treblinka ma essi erano già stati completamente smantellati ed erano completamente deserti quando, nell'estate del 1944, sovietici conquistarono il territorio nel quale essi erano stati realizzati.
Diverso è il discorso per Majdanek, vicino a Lublino, perché il 23 luglio 1944 le truppe del 1° Fronte bielorusso, al cui comando vi era il maresciallo dell'Armata Rossa di origine polacca Konstantin Konstantinovič Rokossovskij, dopo una fulminea avanzata che non permise ai nazisti di evacuare tutti i prigionieri, aprirono i cancelli del campo e prestarono soccorso ad almeno tremila superstiti che i nazisti non avevano fatto in tempo ad evacuare. Anche se le truppe di Hitler tentarono di distruggere frettolosamente il campo, riuscirono a incendiare solo il capannone in legno del crematorio, lasciando intatti i forni crematori, l'enorme ciminiera e le camere a gas, con le evidenti tracce del massacro perpetrato fino a poco tempo prima: fu con la liberazione di questo campo che i sovietici poterono intervistare per la prima volta i superstiti, studiare per primi il funzionamento delle camere a gas e del forno crematorio, e comprendere per la prima volta l'agghiacciante dimensione dello sterminio, poiché fino a quel momento il mondo libero aveva avuto soltanto vaghe notizie di ciò che realmente accadeva nei famigerati campi. Lo scrittore sovietico Konstantin Michajlovič Simonov poté poi visitare il campo, intervistare i sopravvissuti e far conoscere al mondo in una serie di articoli pubblicati sulla stampa sovietica, e non solo, gli orrori che il regime nazista vi aveva perpetrato
Così nella mattinata del 27 gennaio del 1945 non ebbe dubbi su ciò che aveva visto il reparto di cavalleria dell'Armata Rossa - appartenente alla LX Armata del generale Pàvel Aleksèevič Kùročkin del 1º Fronte ucraino del maresciallo Ivàn Stepanovič Kònev – il quale vide da lontano, dopo essere uscito da una foresta, il gigantesco complesso che ospitava i campi di Auschwitz, Birkenau e Monowitz. Il reparto di cavalleria si divise in più squadre sul territorio per perlustrare l'enorme area nella quale si trovavano i tre campi principali e gli altri 46 piccoli campi secondari. Primo Levi, che era internato a Monowitz da circa un anno, narra nel suo romanzo La tregua ciò che egli vide, dal suo campo, attorno a mezzogiorno: “erano quattro giovani soldati a cavallo, che procedevano guardinghi, coi mitragliatori imbracciati, lungo la strada che limitava il campo. Quando giunsero ai reticolati, sostarono a guardare, scambiandosi parole brevi e timide, e volgendo sguardi legati da uno strano imbarazzo sui cadaveri scomposti, sulle baracche sconquassate, e su noi pochi vivi. A noi parevano mirabilmente corporei e reali, sospesi (la strada era più alta del campo) sui loro enormi cavalli, fra il grigio della neve e il grigio del cielo, immobili sotto le folate di vento umido minaccioso di disgelo ”.
Il reparto di cavalleria, perlustrata l'area e constatato che i tedeschi l'avevano abbandonata e si erano ritirati, percorse a ritroso la foresta avvisando il grosso delle forze sovietiche che avanzarono, tanto che nel pomeriggio un reparto di 450 uomini comandati dal tenente colonnello dell'Armata Rossa Anatoly Pavlovič Shapiro, ebreo ucraino che sarebbe stato più volte decorato – un reparto che aveva dovuto nei giorni precedenti affrontare pesanti scontri con i tedeschi in ritirata – aprì i cancelli di tutti i campi e iniziò a prendersi cura degli oltre 7.000 prigionieri, tra i quali tantissimi ridotti a poco più che uno scheletro e anche molti bambini, che i tedeschi non erano riusciti a trasferire.
Anche se i nazisti in fuga avevano distrutto parte delle installazioni dei campi come era accaduto sei mesi prima a Majdanek, non fecero in tempo a cancellare le prove dei crimini commessi, a cominciare dalle deposizioni dei superstiti in grado di parlare, fonte diretta dell'orrore. I sovietici trovarono i forni crematori con ancora dentro alcuni scheletri, le baracche di legno, gli edifici in muratura, alcune delle camere a gas, 370 mila abiti da uomo, 837 mila abiti da donna, 44 mila paia di scarpe tra le quali moltissime da bambino e 7,7 tonnellate di capelli umani appartenuti a circa 140 mila persone.
Quanto a Chełmno, esso si trovava nella parte occidentale del Governatorato Generale quasi al confine con la Germania, e fu abbandonato e totalmente distrutto il 17 gennaio 1945 per nascondere all'Armata Rossa di Stalin e al mondo intero, come era già accaduto a Bełżec, Sobibór e Treblinka nell'anno precedente, le prove dei crimini commessi.
Anche negli ultimi mesi di guerra, quando i nazisti avrebbero dovuto comprendere che per loro e il loro criminale disegno i giorni erano contati, il regime hitleriano diede prova di assoluta ferocia e disumanità al di fuori di ogni limite, e lo dimostra ciò che accadde la notte del 17 febbraio del 1945 nel campo di concentramento di Mauthausen che ora si trova in Austria, e anche in questo caso l'Armata Rossa è, suo malgrado, protagonista.
Dmitry Mikhaylovič Karbyshev, generale dell'Armata Rossa e docente universitario nonché eroe dell'Unione Sovietica catturato dai nazisti nel l'agosto del 1941, fu dapprima internato, tra l'altro, a Majdanek e Auschwitz e a partire dagli inizi di febbraio a Mauthausen, dopo avere sempre rifiutato con disdegno di collaborare con i nazisti ed essersi sempre distinto nei movimenti di resistenza dei campi nei quali era stato internato. La notte del 17 febbraio 1945 il comandante del campo decise l'uccisione di tutti i prigionieri di guerra sovietici presenti nel lager: insieme ad altri 500 militari dell'Armata Rossa Karbyshev fu spogliato, bagnato con acqua fredda e lasciato morire al gelo, e la stessa sorte toccò ad altri 500 militari dell'Armata Rossa, tra cui tanti giovani. Secondo la testimonianza letteraria di un sopravvissuto al campo, Karbyshev chiese, e ottenne, dai suoi carnefici, di poter dare, da generale, un ultimo ordine ai suoi militari, e ordinò loro di cantare l'Internazionale, allora inno sovietico, e di dirigere personalmente l'esecuzione. Il reparto dell'Armata Rossa, schierato per l'ultima volta, continuò a cantare fino a quando l'ultimo soldato ci riuscì prima di morire assiderato.
Ai nazisti che sostenevano che esisterebbero razze superiori e inferiori, e che queste ultime dovrebbero essere schiavizzate o sterminate, questo generale dell'Armata Rossa di Stalin, questo eroe, testimoniò insieme a tutto il suo reparto i principi del movimento operaio che si trovano nell'Internazionale, ossia che tutti gli uomini sono uguali e che tutti gli oppressi – indipendentemente dal Paese a cui appartengono - devono battersi insieme con spirito di classe contro il capitalismo, e il nazifascismo è stato e sempre sarà, la più aberrante di tutte le iniquità e la più ripugnante di tutte le ingiustizie.
Che tutto il mondo autenticamente democratico faccia quindi proprie, anche in ricordo degli oltre 17 milioni di morti innocenti per mano nazifascista, le parole che lo scrittore statunitense Ernest Hemingway scrisse sul quotidiano sovietico Pravda del 23 febbraio 1942: “ogni essere umano che ami la libertà deve più ringraziamenti all’Armata Rossa di quanti ne possa pronunciare in tutta la sua vita ”.

5 febbraio 2025