Congo
M23 sostenuto dal Ruanda occupa Goma
Usa e Cina in lotta per impadronirsi delle immense risorse minerarie del Congo e per il controllo del Paese. Anche Russia e UE nella partita
 
Il 27 gennaio le milizie del “Movimento per il 23 marzo” (M23) sostenute dal Ruanda hanno annunciato d’aver preso il controllo di Goma, nell’est della Repubblica Democratica del Congo, la più grande e importante città del Nord Kivu, una regione ricca di risorse minerarie al confine con il Ruanda. Il completamento di un’offensiva militare che il 21 gennaio aveva portato alla presa di Masisi, la principale città commerciale orientale, che si è intensificata nelle ultime settimane, causando più di 400mila sfollati, a seguito della nuova offensiva dell’M23, iniziata nel 2021. L’operazione militare dell’M23 ha ucciso finora 17 soldati delle missioni di peacekeeping delle Nazioni Unite (MONUSCO) e della Comunità di sviluppo dell’Africa australe, che ha un contingente composto da 2.900 soldati provenienti da Sudafrica, Tanzania e Malawi, portando a 770 i morti e oltre 2.800 i feriti, secondo fonti ospedaliere confermate dal governo congolese, negli scontri a fuoco nella metropoli. Il portavoce del governo, Patrick Muyaya, ha affermato a proposito che “La raccolta dei dati continua per avere un'idea esatta dell’entità delle tragedie causate dalla barbarie ruandese sul nostro territorio”.
Mentre mancano elettricità e acqua. Le truppe dell’M23 stanno avanzando con l’intenzione di raggiungere e conquistare la capitale Kinshasa. Corneille Nangaa, uno dei leader del gruppo, ha detto che il loro obiettivo è conquistare il potere in tutto il paese e rovesciare il governo dell’attuale presidente Felix Tshisekedi.
I miliziani dell’M23 sono sostenuti dal Ruanda, e il governo della Repubblica Democratica del Congo ha equiparato l’attacco su Goma a una “dichiarazione di guerra”. Il Ruanda nega formalmente di fornire sostegno al gruppo, ma questo è stato confermato dalle Nazioni Unite, dagli Stati Uniti e dai servizi di intelligence di vari paesi occidentali, tra cui Francia e Gran Bretagna. I presidenti della Repubblica Democratica del Congo e del Ruanda, Félix Tshisekedi e Paul Kagame, con la mediazione del Kenya, dovranno cercare di trovare un difficile accordo e sospendere i combattimenti. Intanto, proprio il Ruanda ha accolto con favore la proposta di un vertice regionale congiunto per risolvere il conflitto in corso, proposta arrivata l’1 febbraio: i 16 Paesi membri della Comunità per lo Sviluppo dell'Africa Meridionale (Sadc) hanno chiesto “un vertice congiunto” con gli 8 Paesi della Comunità dell'Africa Orientale (Eac), tra cui il Ruanda. “Abbiamo sempre sostenuto la necessità di una soluzione politica al conflitto” si assicura in una nota del Ministero degli Esteri ruandese. Ma i toni usati dallo stesso Ministero degli Esteri sembrano tutt'altro che concilianti: “Il governo della Repubblica Democratica del Congo è determinato ad attaccare il Ruanda e a rovesciare il suo governo, come il presidente Tshisekedi ha ripetutamente e pubblicamente dichiarato” si legge in una dichiarazione su X, “le informazioni provenienti da Goma su ciò che è stato scoperto e le prove documentali dei preparativi per l'attacco indicano che gli obiettivi dei combattimenti non erano limitati a sconfiggere l'M23, ma anche ad attaccare il Ruanda”.
Il Ruanda sostiene l’M23 principalmente per ragioni etniche. I gruppi etnici dominanti nella regione dei Grandi Laghi (che oltre a Ruanda e Repubblica Democratica del Congo comprende Burundi, Uganda, Tanzania e Kenya) sono due, gli Hutu e i Tutsi. Il genocidio in Ruanda del 1994 fu l’apice dello scontro tra queste due etnie: gli Hutu, che erano più numerosi, massacrarono centinaia di migliaia di Tutsi, che erano meno numerosi ma che per varie ragioni, determinate anche dalle decisioni dei vecchi dominatori coloniali, occupavano il grosso dei posti di potere. Dopo il genocidio i Tutsi tornarono al potere in Ruanda, costringendo molti Hutu a migrare in massa nella Repubblica Democratica del Congo. I ribelli dell’M23 sono prevalentemente di etnia Tutsi e rivendicano un loro ruolo da protettori dei Tutsi congolesi. Il loro nome si riferisce alla data – il 23 marzo del 2009 – dell’accordo che pose fine a una precedente rivolta, e che secondo loro non fu rispettato: prevedeva che i Tutsi fossero integrati nell’esercito e nell’amministrazione congolesi, tra le altre cose.
Oggi l’M23 è interessato soprattutto a controllare il Nord Kivu, la regione di Goma dove sono presenti estese miniere di coltan (un minerale da cui sono estratti elementi essenziali per i microchip di smartphone e dispositivi digitali) che valgono al gruppo introiti da 800mila dollari al mese (763mila euro). Il Nord Kivu è inoltre uno snodo commerciale importante con Uganda e Ruanda e per le merci in arrivo dai porti del Kenya: controllare la città di confine di Bunagana ha consentito ai ribelli di aumentare le loro entrate, chiedendo un pedaggio.
La sostanziale impunità del Ruanda nel “grande gioco” dei minerali “insanguinati” del Nord Kivu, si è materializzata insieme allo scontro tra Stati Uniti e Cina per le immense risorse minerarie congolesi, alle responsabilità di Russia e Unione europea. La partita imperialista nel secondo Stato africano per superficie con 111 milioni di abitanti, si gioca sull’oro, cobalto, coltan, rame. Onu, Unione africana, Unione europea, Usa, Cina e altri paesi e organizzazioni hanno condannato l’avanzata dell’M23 e chiesto al Ruanda di ritirare i soldati dal territorio occupato nella Repubblica democratica del Congo. Ma nessuna decisione o azione forte e concreta è stata presa, nonostante la tremenda gravità della situazione, dal punto di vista umanitario e politico. “Anzitutto, sia gli Stati Uniti che la Francia e il Belgio, pur condannando l’M23, e di rimando il Ruanda per il sostegno fornito al movimento armato, non hanno mai imposto sanzioni commerciali a Kigali o all’immarcescibile leader Paul Kagame. L’unica arma che davvero funzionerebbe”, ha fatto notare Luca Jourdan, docente universitario di antropologia politica a Bologna e ricercatore sul campo dal Nord Kivu. “Il Ruanda è stato sempre esaltato dalle diplomazie internazionali e ha goduto di libertà d’azione senza limiti nell’Est del Congo” ha aggiunto Jourdan. Tanto che l’Unione Europea ha siglato a febbraio del 2024 con il Ruanda che non possiede miniere, un memorandum of understandig per favorire lo sviluppo “sostenibile” delle materie prime “critiche”, ossia per aiutare il Ruanda nella raffinazione di oro e tantalio. Inoltre, la società britannica Power Resources International, ad esempio ha in ballo la realizzazione di una raffineria di coltan nel parco industriale di Kigali.
È invece certo che il neo eletto presidente USA Donald Trump andrà avanti con la costruzione del Corridoio di Lobito, arteria ferroviaria cruciale nell’Africa Australe. Lunga circa 1.300 chilometri collegherà Zambia settentrionale e Angola, passando per il sud della Repubblica democratica del Congo, e da città come Kolwezi, finora al centro del business illegale del cobalto. Dal porto di Lobito, attraverso tutta la costa atlantica, una rete “faraonica” finanziata dagli USA, trasporterà materie prime cruciali e terre rare, preziose per il futuro dell’economia occidentale. Il Congo è anche il luogo dove doveva sorgere la diga più grande del mondo. Un progetto che coinvolgeva la Cina, ma che continua a essere rinviato. “È la svendita totale delle risorse naturali della regione”, dominata non più dalla Cina, ma dagli Stati Uniti, sostiene l’analista economico congolese Dady Saleh. In quest’ottica si comprende meglio il sostegno dato a diversi “alleati” africani dell’Occidente, come il presidente Kagame, in Ruanda.

5 febbraio 2025