Chiusura degli uffici dell'Unrwa a Gerusalemme
I nazisionisti vogliono eliminare definitivamente il diritto al ritorno dei palestinesi
La pulizia etnica prosegue con l'attacco alla Cisgiordania
Alla vigilia dell'incontro del leader nazisionista Benyamin Netanyahu a Washington col fascioimperialista presidente americano Donald Trump del 4 febbraio, le veline governative a Tel Aviv facevano sapere che l'obiettivo principale della missione era quello di avere la conferma dell'appoggio Usa per continuare l'opera di "sradicamento" di Hamas intanto da Gaza, senza il quale non ci sarebbe il passaggio previsto dalla fase due dell'accordo di tregua col completo ritiro dalla Striscia di Gaza. Ossia rimarrebbe l'occupazione militare dei nazisionisti, magari per gestire la deportazione della popolazione palestinese come prefigurato da Trump. Alle pretese sioniste rispondeva indirettamente Hamas il 3 febbraio dichiarandosi pronta a avviare la seconda fase dell'accordo di cessate il fuoco a Gaza,con i colloqui concentrati su "impedire il ritorno della guerra, sul ritiro militare israeliano e sui criteri per gli scambi tra gli ultimi ostaggi israeliani e i detenuti palestinesi”.
Intanto sul tavolo dei numerosi progetti per il futuro della Palestina che girano sui tavoli imperialisti, dagli Usa alla Ue, sarebbe arrivata una proposta messa a punto dall'Autorità nazionale palestinese del collaborazionista presidente Abu Mazen pronta a combattere contro Hamas per prendere con la forza il suo posto al governo della Striscia di Gaza; i galloni se li sarebbe conquistati sul campo con l'aggressione alla resistenza e alla popolazione palestinese del campo profughi di Jenin del dicembre scorso, oggi proseguita direttamente dall'esercito nazisionista. La notizia, rivelata da organi di informazione mediorientali che citano fonti palestinesi, è uscita in seguito all'incontro del 28 gennaio, organizzato a Riad dall'Arabia saudita, tra l'inviato speciale di Trump per il Medio Oriente, Steve Witkoff, e l'inviato dell'Autorità nazionale palestinese, Hussein al-Sheikh, un alto funzionario palestinese dato come successore dell’oramai screditato e decaduto presidente Abu Mazen, che avrebbe riproposto il ruolo dell'Anp come gestore “affidabile” della Striscia. Il 3 febbraio però, come riporta l'agenzia palestinese Wafa, il portavoce della presidenza accusava Israele di "pulizia etnica" in Cisgiordania, condannava “l'allargamento della guerra globale delle autorità di occupazione israeliane contro i palestinesi in Cisgiordania per attuare i loro piani volti a sfollare i cittadini e a portare avanti una pulizia etnica". E chiedeva “l'intervento dell'Amministrazione Usa prima che sia troppo tardi per fermare l'aggressione israeliana contro i palestinesi e la loro terra che porterà all'esplosione della situazione in modo incontrollabile e tutti ne pagheranno il prezzo". Invece che governare anche a Gaza, l'Anp rischia di perdere quei pezzettini della Cisgiordania lasciatigli dagli occupanti sionisti.
Nel frattempo registriamo che l'attacco nazisionista alla Cisgiordania con l’operazione “Muro di ferro” continua dopo due settimane con la distruzione di altre parti del campo profughi di Jenin, con le strade divelte e numerose abitazioni e negozi danneggiati a Tulkarem e Tubas. A Tulkarem gli occupanti nazisionisti hanno messo sotto assedio l’ospedale Thaber e impediscono l'ingresso nella città di cibo e medicine.
Dal 30 gennaio sono senza assistenza anche i profughi di Gerusalemme Est, fra questi i circa “70mila rifugiati ammalati e bisognosi di cure”, i 40 mila che hanno visto le loro case già demolite e gli altri 40 mila sulle cui case pesano ordini di demolizioni e assistiti finora dall'Unrwa, l'agenzia dell'Onu per i profughi palestinesi che ha denunciato la messa al bando dalla città da parte degli occupanti sionisti. Il 30 gennaio entravano in vigore le due leggi votate lo scorso ottobre dal parlamento sionista che decretavano la chiusura delle attività dell’Unrwa a Gerusalemme e vietavano agli israeliani, ossia alle organizzazioni progressiste israeliane, qualsiasi contatto e cooperazione con l’agenzia Onu. Una mossa già prevista anche per Gaza e la Cisgiordania perchè diventa un passo necessario al progetto coloniale sionista di cancellare con la presenza dell'agenzia Onu il diritto stesso dei palestinesi a abitare sulla propria terra. Propedeutico alla pulizia etnica auspicata recentemente da Trump ma perseguita da sempre dai sionisti; come la storia stessa dell'attività dell'Unrwa conferma.
L'Unrwa è l'Agenzia delle Nazioni Unite per il soccorso e l'occupazione dei rifugiati palestinesi nel Vicino Oriente, istituita dall'Assemblea generale con la Risoluzione 302 (IV) dell’8 dicembre 1949 col mandato di fornire assistenza umanitaria e protezione ai rifugiati palestinesi registrati nell'area che compernde Cisgiordania, compresa Gerusalemme Est, la Striscia di Gaza, la Giordania, il Libano e la Siria. In attesa di una soluzione politica che sulla base della Risoluzione 194 dell'11 dicembre 1948 dell'Assemblea generale garantiva ai rifugiati palestinesi il diritto di “ritornare alle loro case”. Un diritto che sionisti e imperialisti di concerto hanno impedito si realizzasse per 76 anni.
La campagna sionista contro l'Unrwa, dipinta senza una prova di essere un'organizzazione “terroristica”, non è iniziata dopo il 7 ottobre 2023 ma dura appunto dalla fondazione dell'entità sionista. Uno degli attacchi, falliti, è del gennaio 2018 quando il consigliere per il Medio Oriente dell'allora presidente americano Donald Trump lavorò assieme a Tel Aviv per “compiere uno sforzo onesto e sincero per smantellare l’Unrwa” e di conseguenza liquidare il Diritto al Ritorno dei rifugiati palestinesi.
Come hanno dimostrato i documenti resi pubblici a fine dello scorso anno dagli Archivi Nazionali Britannici, sia la Gran Bretagna sia gli Usa volevano che l'agenzia fin dalla sua fondazione si fosse interessata anzitutto di reinsediare i profughi palestinesi nei paesi vicini. In una nota sul problema dei “rifugiati arabi palestinesi” dell'agosto 1949, prima ancora della sua nascita, il primo ministro inglese Clement Attlee incaricava i suoi ministri degli Esteri, del Tesoro e dell’Economia di “discutere quali ulteriori disposizioni dovrebbero essere prese” per affrontare il problema e “l’enfasi dovrebbe essere posta sul reinsediamento”. Insediata l'agenzia, il premier Attlee insisteva che i paesi che ospitavano i rifugiati avrebbero avuto un sostegno finanziario da Londra solo se se li tenevano e il suo ministro dell'Economia gli rispondeva che “l’unica soluzione radicale del problema dei soccorsi è il reinsediamento e non il soccorso”, la soluzione “valutata sia a Londra che con le autorità americane” era quella di “stimolare i governi locali a continuare l’opera di soccorso e a trasformarla in reinsediamento”. Inglesi e americani ritenevano che il reinsediamento “avrebbe fornito l’unica soluzione a lungo termine del problema”. In barba al Diritto al Ritorno dei profughi palestinesi sancito dalla risoluzioni Onu violate di comune accordo da 76 anni da imperialisti e sionisti.
In vista della chiusura degli uffici a Gerusalemme, il responsabile dell'Unrwa Philippe Lazzarini, lo scorso 20 dicembre in un editoriale dal titolo “L’Unrwa potrebbe essere costretta a smettere di salvare vite a Gaza. Il mondo resterà a guardare?”, registrava che “l'iniziale indignazione per il tentativo di smantellare l'Unrwa e le sue fondamentali operazioni umanitarie si è in gran parte esaurita”, “il mese prossimo, se i testi legislativi approvati dal parlamento israeliano entreranno in vigore, l'Agenzia potrebbe essere costretta a interrompere il suo lavoro nei Territori Palestinesi Occupati. Le leggi impedirebbero la risposta umanitaria a Gaza e priverebbero di servizi essenziali milioni di Rifugiati Palestinesi in Cisgiordania, compresa Gerusalemme Est. Inoltre, rimuoverebbero un testimone delle ingiustizie degli innumerevoli orrori e ingiustizie che i palestinesi subiscono da decenni”. “Il tentativo sfrontato del governo di Israele di contrastare la volontà della comunità internazionale – espressa attraverso molteplici risoluzioni dell'ONU – e di smantellare unilateralmente un'agenzia delle Nazioni Unite è stato accolto da una condanna pubblica e da un'indignazione generale, che si è però tendenzialmente tradotta in inerzia politica”, constatava Lazzarini e denunciava che “la guerra a Gaza e ai palestinesi è accompagnata da un singolare attacco a coloro che parlano o agiscono in difesa dei diritti umani, del diritto internazionale e delle vittime di una guerra barbara. Operatori umanitari che per decenni hanno prestato servizio alle popolazioni colpite dalla guerra sono improvvisamente etichettati come terroristi o simpatizzanti dei terroristi. I critici delle politiche e delle azioni del governo israeliano vengono intimiditi e perseguitati. La propaganda infiammatoria sponsorizzata dal Ministero degli Esteri israeliano appare ora su cartelloni pubblicitari in posizioni privilegiate negli Stati Uniti e in Europa, accompagnati da annunci a pagamento su Google che promuovono siti web pieni di disinformazione. Si tratta di sforzi ben finanziati per distrarre dalla brutalità di un'occupazione illegale e dai crimini internazionali che vengono commessi sotto i nostri occhi, nella più totale impunità”. E concludeva: “abbiamo ancora una finestra di opportunità per evitare un futuro catastrofico in cui la forza militare e la propaganda determinano l'ordine globale, stabilendo dove e quando i diritti umani e lo Stato di diritto si applicano, o persino se si applichino o meno. Gli strumenti e le istituzioni necessari per difendere e rafforzare il nostro sistema multilaterale e l'ordine internazionale basato sul diritto esistono e sono adeguati – dobbiamo solo trovare il coraggio politico di farne uso”. Un appello che i governi imperialisti hanno lasciato cadere nel vuoto.
Intanto al 2 febbraio l’ufficio stampa governativo di Gaza nella conferenza stampa all’ospedale Al-Shifa riferiva che le vittime palestinesi del genocidio sionista sono più di 61.000, delle quali almeno 47.487 sono arrivate negli ospedali, altre 14.222 risultano disperse sotto le macerie o per le strade; dei morti accertati 17.881 sono bambini, tra cui 214 neonati, e 12.316 donne. I feriti sono 111.588. Oltre 6.000 i palestinesi rapiti e incarcerati dai nazisionisti, molti senza nessuna accusa, sottoposti a torture e abusi, decine i morti.
5 febbraio 2025