L'accusa dell'Onu
“Almasri responsabile delle torture nelle carceri”
Il governo Gentiloni nel 2017 fece il memorandum con quello libico quando Almasri si era già macchiato dei suoi crimini

Le accuse che le Nazioni Unite muovono al generale libico Osama Almasri, capo della polizia giudiziaria libica e comandante della struttura denominata Deterrence Apparatus for Combating Organized Crime and Terrorism presso il centro di detenzione di Mitiga destinato ai migranti, sono di assoluta gravità, e non fanno che corroborare quelle mosse contro di lui nel mandato di arresto spiccato dalla Corte penale internazionale il 18 gennaio scorso. Le accuse della Corte contro il generale libico, è bene ricordarlo, riguardano sia crimini contro l'umanità commessi in violazione dell'articolo 7 dello Statuto della stessa Corte (reclusione arbitraria, tortura, stupro e violenza sessuale, omicidio, persecuzione arbitraria) sia crimini di guerra commessi violando il successivo articolo 8 (trattamento crudele, tortura, stupro e violenza sessuale, omicidio), tutti atti perpetrati dal pubblico ufficiale libico a Mitiga a partire dal 2015, quando iniziò la sua carriera alle dipendenze del governo di Tripoli retto da Fayez al-Sarraj che tutti i governi italiani che si sono susseguiti a partire dal 2015 hanno sostenuto insieme alla Ue, agli Stati Uniti e all'Onu preferendolo a quello di Tobruk retto dal generale Khalifa Haftar, sostenuto dall'Egitto, dalla Francia e dalla Russia, con il quale comunque l'Italia ha intrattenuto e tuttora intrattiene rapporti.
Eppure quelle stesse Nazioni Unite che hanno sin dall'inizio sostenuto al-Sarraj hanno dovuto poi ammettere che proprio sotto il suo regime sono avvenute macroscopiche violazioni dei diritti umani ai danni dei migranti, nelle quali Almasri ha avuto e continua ad avere un ruolo da protagonista: infatti lo scorso 13 dicembre 2024 il Panel of Experts dell'Onu – ossia il gruppo di investigatori speciali nominati dalle stesse Nazioni Unite per vigilare sul rispetto dei diritti umani nel mondo, hanno consegnato al Consiglio di sicurezza il nuovo rapporto annuale sulla Libia, un documento dettagliato di 299 pagine, e in esso il capo della polizia giudiziaria del governo di Tripoli appare, come era già apparso nel rapporto del 2023, il responsabile di crimini efferati ai danni dei migranti subsahariani.
Secondo il rapporto del Panel of Experts i crimini perpetrati dalla polizia giudiziaria libica, della quale Almasri è a capo, hanno “seguito un modello coerente di privazione illegale della libertà, sparizione forzata, tortura e altri maltrattamenti e negazione dei diritti” . Nel mirino dell'Onu c’è soprattutto la rete del nuovo apparato di Sicurezza del governo di Tripoli denominato Deterrence Apparatus for Combating Organized Crime and Terrorism il quale agisce in cooperazione con l'Internal Security Agency, ovvero il servizio segreto interno.
Il gruppo di esperti dell'Onu ha focalizzato la propria attenzione sul carcere tripolino di Mitiga a partire dal 2021 ascoltando le testimonianze di numerosi migranti che sono poi riusciti a partire, e anche di altre persone che hanno assistito alle violazioni commesse in quella struttura, presumibilmente di persone che vivono in prossimità del centro di detenzione o di ex carcerieri.
Cinque ex detenuti e tre testimoni oculari hanno riconosciuto Almasri in fotografia come colui che ha ripetutamente ordinato e anche commesso personalmente atti di tortura, omicidi, stupri e altre gravissime forme di maltrattamento. I prigionieri, è emerso dall'indagine, venivano picchiati e presi a calci per ore durante i giorni di detenzione, minacciati di morte, esposti a continue brutalità perpetrate sui compagni di cella, anche alla presenza dei loro familiari. Il Panel of Experts ha riscontrato la veridicità di queste testimonianze con prove documentali indipendenti, tra cui rapporti medici, decisioni giudiziarie ufficiali e documentazione interna del Deterrence Apparatus for Combating Organized Crime and Terrorism.
Nella dettagliata relazione dell'Onu viene ricostruita l’intera struttura del regime di Tripoli che è preposta alla gestione e al traffico di esseri umani, con l'implicazione di altri 17 appartenenti alla polizia giudiziaria di Tripoli già identificati e di altre centinaia che sono in corso di identificazione.
Dalle testimonianze è emerso che ai detenuti, soprattutto ai neri, Almasri offriva la possibilità, per evitare le torture, di arruolarsi nella milizia del regime di Tripoli.
Il rapporto dell'Onu è stato così dettagliato e ricco di prove che la Corte penale internazionale, nel mandato di cattura per Almasri, ha indicato, tra le fonti delle proprie inchieste, anche e soprattutto il lavoro degli investigatori dell'Onu incaricati dal Consiglio di sicurezza.
Alla luce di tutto ciò si spiega il motivo per cui il governo Meloni non poteva assolutamente permettere che Almasri finisse nelle mani della Corte penale internazionale, paventando ciò che in un eventuale processo pubblico questo aguzzino avrebbe potuto riferire, da capo della polizia giudiziaria del regime di Tripoli, dei rapporti intercorsi tra i vari governi italiani di ogni possibile colore, che si sono succeduti dal 2017 ad oggi, e lo stesso regime.
Fu infatti Paolo Gentiloni, che presiedeva un governo di “centro-sinistra”, a sottoscrivere a Tripoli insieme ad al-Sarraj, il 2 febbraio 2017, il Memorandum d'intesa sulla cooperazione nel campo dello sviluppo, del contrasto all'immigrazione illegale, al traffico di esseri umani, al contrabbando e sul rafforzamento della sicurezza delle frontiere tra lo Stato della Libia e la Repubblica Italiana, memorandum che fu fortemente voluto dall'allora ministro dell'Interno italiano Domenico (Marco) Minniti. A quell'epoca Almasri già dirigeva da due anni la famigerata milizia che, secondo le ricostruzioni sia dell'Onu sia della Corte penale internazionale, operava nel lager di Mitiga.
Il memorandum del 2017, della durata di tre anni, sarebbe poi stato rinnovato dal regime di Tripoli e dall'Italia per la prima volta, nel 2020, dal secondo governo Conte sorretto dalla maggioranza Pd - M5S e da ultimo, nel 2023, dall'attuale governo di destra della Meloni.
Tutti i governi italiani che si sono succeduti dal 2017 ad oggi (governi Gentiloni, Conte I e II, Draghi e Meloni), quindi, devono essere ritenuti complici dei crimini di Almasri in quanto non soltanto i presidenti del Consiglio, ma anche i ministri dell'Interno, della Difesa e degli Esteri non potevano non rendersi conto che il problema dell'immigrazione veniva risolto dalla Libia mantenendo in vita dei veri e propri lager, ed erano talmente consapevoli da aver fornito alla famigerata polizia giudiziaria libica diretta da Almasri un diretto supporto tecnico.
Si legge infatti nel sito del Ministero dell'Interno italiano, a proposito della missione in Libia, nel luglio 2020, dell'allora titolare del dicastero Luciana Lamorgese al fine di sviluppare il memorandum rinnovato a febbraio dello stesso anno: “è stata altresì condivisa l’esigenza di perfezionare la cooperazione tra le forze di polizia, attraverso progetti di formazione, anche al fine di rafforzare le capacità operative nella lotta contro le reti di trafficanti di migranti e la criminalità transnazionale” .
Ciò significa, e lo dice ufficialmente il Ministero dell'Interno, che le forze di polizia italiane si sono prestate a collaborare, in combutta con i vari governi succedutisi in Italia, con una polizia giudiziaria libica che l'Onu e la Corte penale internazionale descrivono senza mezzi termini come una vera e propria organizzazione criminale.
E non è finita qui, perché a dare man forte alla struttura retta da Almasri c'è anche l'esercito italiano: in una nota dell'esercito del 2018, infatti, si spiega che quest'ultimo è coinvolto nella Missione bilaterale di assistenza e supporto in Libia (MIASIT) con il compito di svolgere “attività di formazione, addestramento, supporto e mentoring a favore delle forze di sicurezza e delle Istituzioni governative libiche, in Italia e in Libia, al fine di incrementarne le capacità complessive” .
Insomma, si spiega alla luce di tutto ciò il motivo per cui la Meloni e i suoi ministri Nordio e Piantedosi abbiano protetto Almasri e rimpatriato in fretta e furia alla volta di Tripoli, perché se lo avessero invece arrestato e consegnato alla Corte penale internazionale, egli avrebbe certamente, nel contesto di un processo pubblico, trascinato nel fango e nell'ignominia la politica imperialista italiana e lo Stato italiano nella sua interezza nonché le sue istituzioni politiche, militari e di polizia.

12 febbraio 2025