Stavolta è toccato a un operaio 36enne
Ennesimo omicidio sul lavoro nel porto di Genova
Non basta indignarsi, occorre mobilitarsi e imporre ai padroni il rispetto delle norme di sicurezza
Dal corrispondente di Genova de “Il Bolscevico”
Aveva 36 anni e si chiamava Lorenzo Bertanelli. Era originario di Sarzana, ma era cresciuto a Massa Carrara. Era un operaio della Mec Line s.r.l. una ditta che opera nella nautica. Sul logo dell’azienda si può leggere: “Seguiamo gli attuali standard di sicurezza e ci sottoponiamo a una formazione rigorosa e regolare”. Chi lo ha scritto dovrebbe, a questo punto, spiegare perché Lorenzo Bertanelli, è stato schiacciato da un thruster
, un propulsore, un timone aggiuntivo della nave dal peso di due tonnellate e mezzo che sfilandosi non è stato trattenuto, nella sua caduta, da un ponteggio di legno.
La tragedia, l’ennesimo omicidio nel mondo del lavoro, è avvenuto attorno alle 11:40 di mercoledì 5 febbraio. Nel porto di Genova, presso l’Ente Bacini, al Molo Giano; il cuore storico delle riparazioni navali della città.
Questo è il secondo incidente mortale che in meno di due mesi avviene nel porto di Genova. Il 18 dicembre a morire, al Terminal PSA di Genova Pra, era un camallo della CULMV. Venne schiacciato da una ralla, e dalla stanchezza dei doppi turni. Quello accaduto al Molo Giano è frutto della logica perversa dei subappalti, dell’insicurezza premeditata sul lavoro, uno stillicidio continuo causato dallo sfruttamento del regime capitalistico disposto a immolare i lavoratori sull’altare del proprio profitto.
La scia di sangue deve essere arrestata
In Liguria gli infortuni mortali sul lavoro sono in aumento. Nel 2023 erano stati 22, ma nel 2024 la cifra è arrivata a 26. Una vera e propria mattanza che sembra non conoscere freni, che sembra voler ignorare ogni regola. Non per ignoranza, piuttosto per strategia industriale, economica. Perché la sicurezza, per chi sfrutta o amministra e per chi dovrebbe vigilare e fare rispettare le più elementari norme di legge, è sempre l’ultima preoccupazione. Addirittura, un fardello da evitare, da scavalcare.
Appena si è sparsa la notizia sono state dichiarate otto ore di sciopero e un presidio di operai ha occupato il varco delle Grazie in piazza Cavour; slargo prospiciente il porto industriale di Genova.
Ma dopo lo sdegno e la rabbia i lavoratori devono mettere in campo ben altre iniziative di lotta. Che non possono limitarsi solo alla protesta, anche se vibrante, quando avviene una tragedia. Perché queste tragedie sono come annunciate. Annunciate perché non vengono rispettate le più elementari norme di sicurezza, perché chi dovrebbe controllare, per non disturbare il padrone, si volta altrove e ignora i rischi che corrono i lavoratori.
Scrivere articoli di operaie/i che muoiono sul lavoro è un dovere politico. Anche se non si fa a tempo di denunciarne uno che già bisogna aggiornarne il conto, rimane tuttavia un dovere. Perché è giusto tenere alta la tensione, è giusto indignarsi. Perché non deve passare l’idea che sia normale morire sul lavoro e che la morte di una lavoratrice o di un lavoratore sia un tributo necessario da pagare per un presunto progresso. Che sia normale subire ogni forma di sfruttamento. Pretendere l’assoluta sicurezza nei luoghi di lavoro è normalità. Pretendere il rispetto delle norme ambientali e garantire la salute dei cittadini è normalità. Pretendere di rientrare a casa dopo una giornata di lavoro è normalità. Pretendere che la classe operaia abbia il potere politico è normalità.
12 febbraio 2025