Intervista al prof. Martone che parlerà del padre della Rivoluzione d’Ottobre all’evento “Lenin ad Ischia” del 22 febbraio
“Lenin concepì la storia come un movimento verso il comunismo”
“Lenin sostiene che senza un partito disciplinato, consapevole e organizzato, la rivoluzione è destinata al fallimento”

A cura della Cellula “Il Sol dell’Avvenir” di Ischia del PMLI
Sabato 22 febbraio alle 10.30 a Villa Arbusto, dove ha sede il Museo archeologico Pithaecusa del comune di Lacco Ameno sull’isola di Ischia (Napoli), su proposta dell’associazione culturale Iskra e col patrocinio del Comune, sarà installata una targa con il volto di Lenin realizzato dall’artista Paolo May, per ricordare la presenza del padre della Rivoluzione d’Ottobre ad Ischia, avvenuta nel mese di luglio del 1910.
In tale occasione, alla presenza di studenti provenienti dai vari istituti superiori dell’isola, di marxisti-leninisti, simpatizzanti e intellettuali, fra gli interventi previsti, è annunciato anche quello del prof. Antonio Martone, docente di Filosofia politica all’Università di Salerno. Al prof. Martone abbiamo posto alcune domande per presentare ad un pubblico più vasto la figura politica e filosofica di Lenin e i capisaldi del suo pensiero.
“Io credo - dice Martone - che qualsiasi personalità che abbia lasciato dei segni nella storia vada contestualizzata all’interno della fase che l’ha vista nascere e crescere.
E qual era allora lo sfondo storico che ha visto Lenin muovere i suoi primi passi nell’arena politica del vecchio continente? Presto detto, dall’inizio del Novecento, l’Europa vive un periodo di grande sviluppo economico e industriale, ma anche di forti tensioni sociali e politiche. La Seconda Rivoluzione Industriale aveva trasformato le economie occidentali, portando alla crescita delle città, all’espansione delle fabbriche e all’affermazione su vasta scala della società di massa. Il progresso tecno-scientifico si accompagnava però a profonde disuguaglianze, con il movimento operaio in crescita e i partiti socialisti che conquistavano spazio in tutti i parlamenti.
L’equilibrio politico europeo era dominato dal contrasto tra le grandi potenze: la Gran Bretagna e la Francia consolidavano i loro imperi coloniali, mentre la Germania, ormai potenza industriale di primo piano, iniziava a competere con grande determinazione, alimentando peraltro una corsa agli armamenti decisamente marcata”.
Insomma, si viveva una turbolenza che non era tanto diversa da quella attuale.
“Tralascio le considerazioni su quanto sta avvenendo oggi. Vorrei invece aggiungere che la Russia zarista, in quegli anni, affrontava diverse rivolte interne e la sconfitta contro il Giappone nel 1905, ne minava la stabilità”.
E quale Russia vide affermarsi Lenin?
“La Russia da cui emerse Lenin era un gigante dai piedi d’argilla, un impero immenso e decrepito, sospeso tra un passato feudale e le incognite della modernità. Gran parte delle popolazioni russe vivevano in terre fredde e inospitali, strette nella miseria, piegate sotto il giogo di una monarchia che si ostinava a governare in maniera autocratica. Lo zar e la sua corte rappresentavano un’illusione di stabilità, ma sotto la superficie covava un malcontento profondo: carestie, repressioni, guerre disastrose avevano eroso ogni residuo di fiducia nei Romanov.
Nel 1905, ci fu il primo segnale dell’eruzione imminente: si trattò di una rivoluzione spontanea e brutalmente repressa. Eppure, il seme era stato gettato. Poi venne il 1914, ossia la carneficina della Grande Guerra, e il collasso definitivo di un sistema che non era più in grado di reggersi fu inevitabile”.
E in tutto questo qual era la posizione di Lenin?
“Lenin era stato il primo a cogliere, con lucidità e radicalità decisamente rare, l’inevitabilità della distruzione del vecchio ordine russo. Per Lenin, non si trattava di operare attraverso riforme graduali, ma di porre in essere un atto di forza storica. Secondo l’autore di ‘Stato e rivoluzione’, infatti, il marxismo non era tanto una teoria economica o un’astrazione filosofica, quanto piuttosto una scienza della rivoluzione, uno strumento per decifrare le leggi profonde della storia, piegandole alla volontà rivoluzionaria. In altre parole, la filosofia non doveva limitarsi alla speculazione, ma aveva il compito di farsi prassi, strategia, azione diretta e il pensiero doveva diventare un’arma politica. non certo un elemento di contemplazione”.
Su queste posizioni scoppia la Rivoluzione d’Ottobre?
“Non dimentichiamo che la Rivoluzione del Febbraio del 1917 aveva già provocato la caduta dello zar Nicola II e la fine della dinastia dei Romanov. Il 2 marzo lo zar aveva abdicato e si era instaurato un governo provvisorio. In aprile, Lenin tornò in Russia con un’idea precisa: o il potere passava completamente nelle mani del proletariato o sarebbe stato riassorbito dalla borghesia. Oltre questa rigida alternativa, Lenin non scorgeva altre strade.
Se si vede la storia della rivoluzione in questa luce, è più facile comprendere che l’Ottobre rosso non fu un atto di forza, ma il sigillo di una sorta di necessità storica. Bisogna tener rigorosamente conto che, in quella fase, le masse volevano la pace, il pane e la terra. Insomma, la rivoluzione s’impose perché la Russia era giunta a un punto di rottura: o si trasformava radicalmente o sarebbe precipitata nel caos”.
Le premesse per quella che fu una violenta guerra civile?
“Certamente, Furono anni estremamente drammatici e la vecchia Russia non si dissolse senza combattere: la guerra civile, alimentata anche dalle potenze capitalistiche, infuriò per anni. L’Inghilterra, la Francia, gli Stati Uniti e il Giappone finanziarono e armarono le armate bianche, cercando di soffocare sul nascere l’esperienza sovietica. Ai loro occhi, un po’ come era avvenuto con quella francese, la rivoluzione russa non era solo un problema interno, ma una sfida all’ordine mondiale, un segnale che i popoli oppressi potevano rovesciare i loro padroni”.
Quindi già allora le idee comuniste, come avvenuto poi con la “destalinizzazione”, erano combattute all’interno e all’esterno?
“Sì ma Lenin, circondato appunto da nemici dentro e fuori, rispose con la stessa logica implacabile che lo aveva guidato fino a quel momento. L’alternativa era la sconfitta, la restaurazione e magari una pressante influenza straniera. Va detto, tuttavia, che il prezzo fu altissimo. Poi, purtroppo, Lenin morì prima di vedere che cosa sarebbe diventata la sua creatura. Senza di lui, tuttavia, senza la sua capacità di leggere il tempo storico piegandolo alla volontà rivoluzionaria, la Russia non avrebbe mai potuto spezzare le sue catene. La sua figura rimane il simbolo di un momento irripetibile, in cui la storia sembrò davvero poter essere scritta dagli uomini, contro l’arroganza secolare del potere e del privilegio”.
E da un punto di vista filosofico, quali erano in particolare le idee di Lenin?
“La filosofia della storia di Lenin si radica nel materialismo storico di Marx ed Engels, ma assume una dimensione decisamente militante. Per Lenin, la storia non è un processo spontaneo e lineare che conduce inevitabilmente al socialismo, ma un campo di forze in cui la volontà rivoluzionaria può e deve intervenire per accelerare il corso degli eventi.
Lenin accetta l'idea marxista secondo cui lo sviluppo economico determina in ultima istanza il corso della storia, ma rifiuta ogni fatalismo. Non basta che il capitalismo generi le proprie contraddizioni per far crollare l’ordine borghese: è necessario un intervento cosciente da parte del proletariato organizzato. Uno degli elementi di maggiore forza storica e teorica della filosofia della storia di Lenin, pertanto, è il ruolo assegnato al partito rivoluzionario”.
Dove possiamo ritrovare ben delineato questo suo percorso filosofico?
“In ‘Che fare?’ del 1902, Lenin sostiene che la coscienza rivoluzionaria non nasce spontaneamente dalla lotta economica degli operai, ma deve essere portata dall’esterno da un partito d’avanguardia. Il partito, formato da rivoluzionari di professione, dovrà essere centralizzato, disciplinato e clandestino per evitare la repressione e guidare efficacemente la rivoluzione. Lenin sostiene che senza un partito disciplinato, consapevole e organizzato, la rivoluzione è destinata al fallimento. Lenin concepì la storia come un movimento verso il comunismo. Era consapevole che il processo non è garantito e che richiede una lotta permanente contro le forze reazionarie”.
E l’idea di Rivoluzione come viene concepita e definita in Lenin?
“Nell’opera ‘L'imperialismo, fase suprema del capitalismo’ (1917), Lenin afferma che il capitalismo si sviluppa in modo diseguale a livello globale, creando punti di crisi in alcuni paesi più vulnerabili - appunto, i cosiddetti "anelli deboli" della catena imperialista. Ecco perché sostiene che la rivoluzione socialista non dovesse necessariamente avvenire nei Paesi capitalistici più avanzati ma potesse scoppiare dapprima proprio in questi ‘anelli deboli’, dove le contraddizioni economiche e sociali erano decisamente più acute. E la Russia zarista, con la sua economia arretrata e la sua società profondamente disegualitaria, rappresentava il punto in cui la catena del capitalismo mondiale poteva ben essere spezzata. Sempre nella stessa importante opera, Lenin sostiene che il capitalismo si trasforma in un sistema globale dominato dal capitale finanziario e dai monopoli”.
È la situazione che stiamo vivendo.
“Infatti, anche oggi, quest’evoluzione porta inevitabilmente a guerre combattute tra le potenze imperialiste per il controllo delle risorse e delle colonie. Ma proprio queste guerre - come appunto la Prima guerra mondiale - aprono delle brecce nel sistema, creando crisi che possono essere sfruttate dalle classi oppresse per rovesciare il dominio borghese.
Sulla base di queste considerazioni, il futuro che si prospetta è piuttosto problematico e alle classi oppresse spetta ancora un compito difficile e gravoso”.

19 febbraio 2025