Intervenendo al Consiglio generale della Cisl che le ha tributato un'ovazione
Meloni attacca il conflitto sociale e invoca il “Rinascimento partecipativo” basato sulla “coesione sociale”
Uno spettacolo indegno persino per un sindacato aziendalista e collaborazionista, quello andato in scena all'Assemblea nazionale della Cisl, svoltasi a Roma l'11 febbraio dove, tra le altre cose, è stata eletta la nuova segretaria generale Daniela Fumarola, che succederà all'attuale leader Luigi Sbarra. Ai lavori era stata invitata anche la ducessa Giorgia Meloni, come del resto aveva fatto la Cgil in occasione del suo congresso (che per questo si era beccata le critiche nostre e della minoranza di sinistra). Landini aveva inopinatamente offerto una tribuna al capo di un governo antioperaio e di chiara impronta neofascista, che meritava il totale ostracismo da parte di chi dovrebbe rappresentare gli interessi delle lavoratrici e dei lavoratori, e non la sua legittimazione.
Ma qui siamo a un livello superiore perché la Cisl si è prestata a fare da zerbino alla premier. La sala dei delegati ha tributato una vera e propria ovazione alla presidente del Consiglio, interrotta da ripetuti applausi, mentre Luigi Sbarra, che l'ha salutata con uno sgargiante mazzo di fiori, e Giorgia Meloni si scambiavano degli ossequiosi “grazie Presidente” e amichevoli “caro Gigi”. Non si tratta di “buone maniere” o di ospitalità, ma di forma che rispecchia la sostanza. C'è stata una sintonia da far invidia a quella che intercorre col sindacato fascista l'Ugl, legato a doppio filo a Fratelli d'Italia. In questa Assemblea è stata resa pubblica l'alleanza tra il secondo sindacato italiano per numero di iscritti e la destra neofascista ora al governo, in nome del corporativismo mussoliniano.
E non ci meraviglia più di tanto perché i segnali di una Cisl appiatita organicamente sulle posizioni dell'esecutivo erano sempre più numerosi. Le tre manovre economiche di lacrime e sangue del governo giudicate ogni volta in crescendo: “migliorabile, apprezzabile, positiva”, che l'avevano portata a dissociarsi dagli scioperi di Cgil e Uil. La firma separata di accordi o intese sui rinnovi contrattuali come quella del personale sanitario non medico e del settore Funzioni centrali della pubblica amministrazione, accettando l'elemosina proposta dal governo. Su quasi tutto oramai l'unità confederale con Cgil e Uil è rimasta solo sulla carta, anche se le trattative per i rinnovi contrattuali del settore privato si stanno facendo tutte su piattaforme unitarie.
Questa evoluzione della Cisl e l'unità di intenti con il governo si è manifestata prepotentemente sul palco dell'assemblea. I nemici comuni di entrambi sono stati la Uil e la Cgil in particolare, attaccati da destra con inusitata veemenza. I due sindacati non sono certo dei campioni di lotta intransigente ai governi borghesi e al padronato, ma l'aver contrastato in una certa misura la politica economico-sociale e anche le “riforme” di questo governo, tanto è bastato per essere additati di avere una “tossica visione conflittuale” (queste le parole usate dalla Meloni). Ma in ultima analisi l'attacco, più che alle due sigle, è alla lotta di classe in generale, da sostituire invece con il “Rinascimento partecipativo” e la “coesione sociale”.
Per la Meloni (citando il precedente intervento di Sbarra) la lotta di classe sarebbe il risultato di “pregiudizi, antagonismo e furore ideologico”. Bisogna “lasciarsi alle spalle il Novecento”, ma questo non vale per lei che rilancia idee e ricette che si rifanno a cento anni fa, e precisamente al ventennio mussoliniano. Stavolta il PMLI non è il solo a catalogare le proposte meloniane come corporativismo fascista: lo hanno fatto anche diverse testate giornalistiche e on-line, esponenti e organizzazioni politiche e sindacali. In effetti di questo si tratta, anche se si tenta di riverniciarlo con slogan più moderni e meno nostalgici.
"Dobbiamo superare definitivamente la visione conflittuale tra impresa e lavoro” di alcuni sindacati, ha poi continuato la ducessa. Parole rivolte all'attualità: il riferimento è alla Cgil, alla sua opposizione al premierato e all'autonomia differenziata, alla sua campagna referendaria per la cittadinanza italiana e contro alcune norme introdotte dal Jobs Act. Ma non solo: ha rilanciato un modello di relazioni sindacali e di lavoro neo corporativo. Le lavoratrici e i lavoratori dovrebbero mettere da parte ogni velleità rivendicativa e di contrapposizione, e i sindacati abbandonare finanche la presunzione di voler fare da intermediari tra capitale e lavoro (i cosiddetti “corpi intermedi”). Capitalisti e proletari, ognuno nei propri ruoli di sfruttatori e sfruttati, dovrebbero essere coalizzati, annullando il conflitto di classe. Il tutto nell'interesse supremo della Nazione, per assicurare all'Italia un posto di rilievo tra le potenze imperialiste.
Per portare avanti questo neocorporativismo, alla Meloni e al suo governo neofascista si presta a fagiolo la proposta di legge promossa dalla Cisl. Non a caso la ducessa e i suoi alleati vi hanno subito messo sopra il cappello peggiorandola ulteriormente. In pratica si tratta, in versione rivista, dell'articolo 46 della Costituzione sulla partecipazione dei lavoratori alla gestione delle aziende, fin qui mai attuato per svariati motivi, e che trattiamo in un articolo a parte. Infine la Meloni ha dato una stoccata anche ai Contratti nazionali di lavoro riproponendo le gabbie salariali. “La contrattazione sindacale va legata ai territori e alla dimensione aziendale per superare le rigidità dei contratti nazionali”. Anche qui ha sfondato una porta aperta poiché la Cisl è da sempre il sindacato aziendalistico per eccellenza.
Dei problemi che attanagliano i lavoratori nemmeno una parola, né dalla Meloni né da Sbarra e company, anzi. La presidente del Consiglio si è lanciata nel solito disco rotto recitato a memoria che vaneggia di “economia in ripresa”, “meglio di Francia e Germania”, di “sostegno a lavoratori e famiglie e ai redditi più bassi”. Addirittura ha avuto la faccia tosta di sostenere che per finanziare questi fantomatici sostegni il suo governo ha preso i soldi anche dalle banche. Una bufala vera e propria, una fake news
, perché sull'annunciata tassa sugli extraprofitti il governo ha fatto marcia indietro consentendo alle banche di non pagare la nuova imposta se avessero rafforzato il proprio patrimonio (e così è stato).
Dalla Cisl nemmeno un appunto alla Meloni sui 5,7 milioni di italiani in povertà assoluta, sui risparmi sempre più ridotti delle famiglie, sulle bollette di luce e gas alle stelle, gli oltre mille morti all'anno sul lavoro, i salari tra i più bassi d'Europa, la produzione industriale in calo da 24 mesi, la cassa integrazione in aumento. Evidentemente per Sbarra la responsabilità è di “chi non riesce a liberarsi di visioni e dinamiche novecentesche e sterilmente antagoniste”, mentre per la Meloni la colpa è di alcuni sindacati che hanno una “visione conflittuale tossica”. È vero semmai l'esatto contrario: la mancanza di conflittualità e la complicità di molti sindacati (Cisl in testa ma anche Uil e Cgil) hanno portato alla perdita di salario e diritti, e di tossico c'è questa alleanza organica tra Cisl e governo secondo una visione corporativa dei rapporti sindacali e di lavoro.
19 febbraio 2025