Intervenendo all'europarlamento
Draghi detta la linea: “Occorre agire come unico Stato e spetterà a noi la sicurezza”
Nel suo rapporto sulla competitività presentato lo scorso settembre alla Commissione e al parlamento europei, Mario Draghi non aveva risparmiato i moniti sulla “lenta agonia” della Ue, sulla “sfida esistenziale” a cui è chiamata a rispondere e sui “cambiamenti radicali” che deve accettare se vuol essere una superpotenza in grado di competere con Stati Uniti e Cina. In questo quadro aveva individuato tre aree strategiche su cui puntare: l'innovazione, la decarbonizzazione, (insieme alla riduzione dei costi del gas e dell'energia elettrica), e la sicurezza, in altre parole lo sviluppo dell'industria bellica europea, la creazione di un esercito europeo e l'accesso alle materie prime strategiche per garantire lo sviluppo delle tecnologie avanzate come l'intelligenza artificiale.
Tutto questo avrebbe richiesto un colossale piano di investimenti da 800 miliardi l'anno, anche attraverso un debito comune europeo, e una riforma della governance dell'Unione per superare lo scoglio del diritto di veto dei singoli paesi (voto a maggioranza e altri strumenti decisionali). Il tutto ovviamente sulle spalle dei lavoratori e delle masse popolari europee, chiamate a pagare il conto finale col taglio della spesa sociale, anche se a parole il rapporto lo nega.
Il 18 febbraio l'ex presidente della Bce ed ex premier italiano, col suo discorso di apertura della Settimana parlamentare europea 2025, si è accreditato come il vero leader della superpotenza europea: è tornato davanti al parlamento di Strasburgo per rilanciare quel rapporto e quei temi, ma ammonendo gli astanti che a cinque mesi dalla sua presentazione “il senso di urgenza di intraprendere il cambiamento radicale sostenuto nel rapporto è diventato ancora più grande”, tenuto conto dell'ulteriore allargarsi del divario tra un'economia europea stagnante e quella di Usa e Cina in crescita. E soprattutto dei mutamenti provocati dal ritorno di Trump alla Casa Bianca, con i pesanti dazi alle esportazioni europee e il rischio ormai incombente, come ha voluto sottolineare, “di essere lasciati in gran parte soli a garantire la sicurezza in Ucraina e nella stessa Europa”.
Aumentato il divario tra l'Ue e le due grandi superpotenze
Nel tratteggiare impietosamente i mutamenti svantaggiosi per l'Unione intervenuti in questo frattempo, Draghi ne ha sottolineati tre. Il primo è l'accelerazione nel progresso dell'intelligenza artificiale (AI), avvenuto tutto “al di fuori dell'Europa”, tanto che tra i primi dieci grandi modelli otto sono sviluppati negli Stati Uniti e gli altri due in Cina. Il secondo è il prezzo del gas naturale, aumentato di circa il 40% da settembre, mentre quello del Gnl importato dagli Usa ha superato il doppio dall'anno scorso. Per non parlare dell'energia elettrica, che è ancora due o tre volte più cara che negli Stati Uniti. E qui ha citato ad esempio la crisi energetica di dicembre, che in Germania ha fatto aumentare di oltre dieci volte il prezzo medio annuale dell'energia elettrica.
Il terzo cambiamento, ha proseguito Draghi, è che “quando il rapporto è stato scritto, il tema geopolitico principale era l'ascesa della Cina. Ora l'Ue dovrà affrontare i dazi imposti dalla nuova amministrazione statunitense nei prossimi mesi, nelle prossime settimane, probabilmente. Ostacolando il nostro accesso al nostro più grande mercato di esportazione. Inoltre, le tariffe statunitensi più elevate sulla Cina reindirizzeranno la sovracapacità cinese in Europa, colpendo ulteriormente le aziende europee”. Oltre a ciò, “potremmo anche trovarci di fronte a politiche ideate per attrarre le aziende europee a produrre di più negli Stati Uniti, basate su tasse più basse, energia più economica e deregolamentazione”; e per di più, “se le recenti dichiarazioni delineano il nostro futuro, possiamo aspettarci di essere lasciati in gran parte soli a garantire la sicurezza in Ucraina e nella stessa Europa”.
Da qui l'urgenza, sottolineata con forza dall'oratore, di “agire sempre di più come se fossimo un unico Stato”, e con un “livello di coordinamento senza precedenti tra tutti gli attori, governi e parlamenti nazionali, Commissione e Parlamento europeo”. Ma la riposta “deve essere rapida, perché il tempo non sta dalla nostra parte. Con l'economia europea stagnante, mentre gran parte del mondo cresce”, ha avvertito l'ex governatore della Bce.
800 miliardi l'anno per difesa, energia e digitale
La sua ricetta è sempre quella già delineata nel rapporto sulla competitività, con l'abbattimento delle barriere interne e l'armonizzazione e semplificazione delle normative nazionali; l'unificazione del mercato dei capitali, che deve essere più basato sul capitale azionario, cercando di incanalare su di esso l'ingente risparmio degli europei (tre volte che negli Usa) e che se ne va all'estero per ben 300 miliardi all'anno; accelerare la decarbonizzazione e abbassare il costi dell'energia, con contratti energetici a lungo termine (come quelli che l'Ue vuole trattare con gli Usa per il Gnl, anche per venire incontro ai desiderata di Trump) e con acquisti a lungo termine del gas naturale; e per quanto riguarda la difesa, standardizzare e rendere interoperabili i vari sistemi europei. Altrimenti, ha ammonito, “anche se siamo collettivamente terzi al mondo per spesa militare, non saremmo in grado di aumentare la spesa per la difesa con le nostre capacità produttive”.
“Le esigenze di finanziamento sono enormi, 750-800 miliardi all'anno, secondo una stima prudente” (il 5% del Pil europeo, ndr), è tornato a ribattere. “Ma non ci sono piani per nuovi fondi Ue”, ha rimproverato Draghi, consapevole che tutto quello su cui per ora la Commissione è riuscita a trovare un accordo di massima è di scorporare gli aumenti della spesa militare dei singoli Stati dal nuovo patto di Stabilità per tenere sotto controllo il debito. Mentre lui ha voluto richiamare lo stesso la sua proposta di “combinare gli strumenti dell'Ue con un uso più flessibile degli aiuti di Stato, coordinato da un nuovo strumento europeo”. Che poi sarebbero i bond basati sul debito comune per finanziare il riarmo europeo, ma anche le ingenti spese per la transizione energetica e digitale; strumenti di cui però la Germania e gli altri paesi “virtuosi” del Nord Europa non vogliono ancora sentir parlare.
“Non si può dire di no a tutto”
Tuttavia il banchiere massone non ha mollato l'osso, e nella replica a braccio, in risposta alle domande dei parlamentari (ma rivolto anche ai commissari e ai governanti europei) ha anzi alzato i toni, sferzandoli tutti a prendere atto della gravità del momento per le sorti dell'Unione e a prendersi le loro responsabilità politiche al riguardo: “Oggi il mondo confortevole che ha garantito pace, sicurezza, democrazia e sovranità è finito. Dobbiamo chiederci di difendere questi valori essenziali o dovremmo andarcene, ma per andare dove?”, li ha apostrofati, rivendicando con forza che il suo rapporto è “un vademecum su cosa fare per difendere i nostri valori esistenziali”, che il finanziamento richiesto da 800 miliardi “è il minimo, potrebbe essere addirittura di più” e che, sì, “presuppone l'emissione di debito comune”.
A settembre, sempre a Strasburgo, aveva difeso il suo ambizioso piano di investimenti limitandosi ad avvertire i politici che “chi si oppone al debito comune si oppone agli obiettivi Ue e a garantire i suoi valori”. Stavolta ha ripetuto lo stesso concetto, ma i toni sono stati ben più duri, raggiungendo il livello della rampogna e dello schiaffo in faccia: “Dite no al debito comune, dite no al mercato unico, dite no alla creazione dell'unità del mercato dei capitali. Non potete dire di no a tutto. Altrimenti dovete anche ammettere ed essere coerenti che non siete in grado di mantenere i valori fondamentali per cui questa Unione è stata creata. Quindi quando mi chiedete 'cosa è meglio fare ora', vi dico che non ne ho idea. Ma fate qualcosa”! Così li ha strapazzati l'ex governatore, irridendoli anche sullo “spauracchio del debito pubblico”, quando negli ultimi 15-20 anni “gli Stati Uniti hanno iniettato nell’economia risorse pubbliche per 14 mila miliardi, noi sette volte meno. Il che dimostra che per crescere di più a volte ci vogliono anche i soldi pubblici”.
Nuove regole per una governance europea “forte”
Con altrettanto sferzante sarcasmo, pari a quello di un capo di azienda davanti ad un branco di amministratori litigiosi e inetti, il banchiere massone ha rivendicato anche la sua proposta di riforma dell'attuale governance basata sull'unanimità delle decisioni: “Ci dobbiamo chiedere se l'unanimità dev'essere la regola del nostro modus operandi”, ha detto, sottolineando che “in tanti ambiti bisognerebbe passare alla maggioranza qualificata”; che nei prossimi mesi ci si dividerà tra chi è per “l'unanimità ad ogni costo” e chi invece “è più propenso alla maggioranza qualificata”; e che occorrerà sperimentare anche forme di “cooperazione variabile” tra Stati e di “cooperazione intergovernativa”.
Tradotto: cominciare a fare le cose importanti “con chi ci sta”, e gli altri si uniranno in seguito. “Per andare insieme tutti quanti – ha spiegato infatti con una sfumatura di sarcasmo, pensando evidentemente allo scompaginamento dello schieramento europeo sotto l'urto della politica aggressiva e divisiva di Trump – in ambiti come ad esempio la politica estera, la difesa, ci vuole un'analisi condivisa dei rischi, delle compensazioni, soprattutto di chi è il nemico”.
A settembre, consapevole dello scetticismo con cui era stato accolto il suo piano, in particolare dai tedeschi e dai nordici restii a condividere il debito, aveva chiuso l'intervento limitandosi a dichiarare un po' stizzito che “a me spetta il compito di presentare la diagnosi. A voi, rappresentanti eletti, quello di tradurre questo programma in azione”. Stavolta invece si è presentato davanti agli stessi come il leader che li ammonisce sull'urgenza di intervenire nella strategia e nell'operato della Ue: “Il rapporto è stato pubblicato ai primi di settembre....oggi, cinque mesi dopo, noi cosa abbiamo fatto? Abbiamo discusso, ma cosa abbiamo ottenuto da questa discussione? Ciò che era nel rapporto è anche più urgente di quanto era cinque mesi fa. Ma questo è. Spero che la prossima volta, se mi inviterete, potremo discutere di ciò che è stato fatto, di ciò che è stato fatto in modo efficace”.
La sveglia di Draghi ai leader europei
L'intervento di Draghi è caduto nel bel mezzo dell'ondata di panico che ha sconvolto le cancellerie europee, a causa dell'aperta ostilità manifestata da Trump nei confronti dell'Ue e del capovolgimento da lui impresso alla linea di Biden verso l'Ucraina e la Russia, arrivando anche a minacciare l'uscita dalla Nato. In questo contesto di crisi profonda per la tenuta dell'Unione, aggravata dalle diverse reazioni dei suoi leader verso il dittatore fascioimperialista, tra cui la neofascista Meloni, e dall'instabilità politica di Francia e Germania, col suo ruvido intervento Draghi si è comportato ed è apparso perciò come lo statista di caratura sovranazionale in grado di suonare la sveglia agli altri confusi e balbettanti leader europei, richiamandoli energicamente ad agire come un “unico Stato”.
E ciò non solo per difendere l'Ue dagli assalti a cui è sottoposta e prepararsi da subito a badare da sé alla propria sicurezza, col rischio sennò di finire come il classico vaso di coccio tra vasi di ferro, ma anche per scongiurare il declino a cui sta andando inesorabilmente incontro, perché la sua statura politica corrisponde sempre meno alla ricchezza della sua economia complessiva e al primato mondiale del suo mercato.
Draghi detta perciò la linea alle smarrite istituzioni europee per rilanciare con urgenza e decisione l'Ue, non solo sul piano economico, ma anche su quelli politico, militare e internazionale, affinché diventi davvero quella superpotenza imperialista, in grado di competere alla pari con Usa e Cina, che le élite economiche e finanziarie europee, di cui egli si conferma essere il leader politico di fatto, ambiscono a costruire fin dalla sua fondazione. Se poi la sua sveglia basterà a scuoterle dal loro smarrimento e ricompattarle per far fronte a tale sfida in questo momento critico, è ancora tutto da dimostrare.
26 febbraio 2025