Assemblea delle Assemblee generali nazionali di categoria a Bologna
La CGIL lancia la campagna del Sì ai 5 referendum
“Il voto è la nostra rivolta”, così Landini sostituisce l'elettoralismo e il riformismo alla lotta di classe. Solo l'ANPI definisce “neofascista” il governo Meloni. L'area di minoranza CGIL lo fa intendere mentre chiama alla mobilitazione di piazza
Il PMLI farà la sua parte nella campagna referendaria di primavera
Nei giorni 12 e 13 febbraio la segreteria generale della CGIL ha organizzato la cosiddetta Assemblea delle Assemblee generali nazionali di tutte le categorie confederali, portando al PalaDozza di Bologna centinaia di delegati e delegate provenienti da tutta Italia.
L'iniziativa è la prima di una serie di assemblee territoriali che si svolgeranno nelle prossime settimane a tutti i livelli, da quello regionale fino a dentro i luoghi di lavoro, per avviare quella grande macchina organizzativa che porterà alla campagna referendaria di primavera quando quasi cinquanta milioni di italiani saranno chiamati alle urne per votare i 4 quesiti referendari proposti dalla CGIL e approvati dalla Consulta, e un quinto per ottenere il dimezzamento, da 10 a 5 anni, dei tempi di residenza legale in Italia per la richiesta di concessione della cittadinanza italiana.
I primi quattro quesiti promossi dalla CGIL riguardano l'abrogazione del Jobs Act, delle norme che facilitano i licenziamenti illegittimi nelle piccole imprese, di quelle che hanno liberalizzato l’utilizzo del lavoro a termine, e delle regole che, in caso di infortunio sul lavoro negli appalti, impediscono di estendere la responsabilità all’impresa appaltante.
Ricordiamo che avrebbe dovuto esserci anche un quinto quesito proposto dalla CGIL relativo all'abrogazione della legge “Calderoli” sull'autonomia differenziata delle Regioni, che però è stato ritenuto inammissibile dalla Consulta e pertanto bocciato nonostante il numero ampiamente sufficiente di firme raccolte.
Al PalaDozza è andato dunque in scena il battesimo di questa campagna che si annuncia complicata e difficile, come affermato anche dallo stesso segretario generale Landini.
Moderatore dell'assemblea nella prima giornata è stato il saggista e giornalista Luca Telese che ha introdotto fra gli altri anche l'intervento di uno degli ospiti principali, Alessandro Barbero.
Landini apre la campagna referendaria
Nella sua relazione il segretario generale Maurizio Landini ha attaccato la presidente del consiglio Meloni che dodici ore prima alla kermesse della CISL nel quale si è rafforzato il sodalizio del sindacato di Sbarra (uscente dalla carica di segretario ma con una carriera in Forza Italia che lo aspetta) con il governo neofascista, aveva affemato che “Landini ha una visione tossica del conflitto”. Tante le stoccate a Meloni, alla fine però ricondotte al messaggio “grazie al voto democratico loro governano il Paese”, che di fatto la legittima nonostante sia l'erede di un’ideologia bandita dalla stessa Costituzione borghese del 1948.
In ogni caso, consapevole della impegnativa battaglia che dovrebbe portare oltre 25 milioni di italiani alle urne per raggiungere il quorum, e cosciente dell'astensionismo elettorale alle politiche, Landini ha correttamente spiegato la differente natura del voto “politico” e del voto referendario: “Nel voto al referendum, non c'è delega, non c'è bisogno di fidarsi di nessuno, ma si decide individualmente nel merito della questione, in pratica se il tuo voto vince, immediatamente le sue proiezioni divengono operative”.
Ora, visto l'esito del referendum sulla ripubblicizzazione dell'acqua, stravinto ma poi completamente ignorato, è chiaro che la realtà non sia proprio questa, ma il messaggio lanciato per il fine che si pone è sostanzialmente corretto.
Per rafforzare la possibilità di vittoria, definita addirittura una “svolta storica per l'Italia e per l'Europa intera”, Landini ha inserito la battaglia referendaria in un quadro generale fatto di guerre e di un aumento generalizzato di spese belliche senza precedenti. Su Trump Landini non ha risparmiato critiche, soprattutto perché rappresenterebbe un traino a livello internazionale per i più ricchi del pianeta: “Mercato e profitto si sono fatti Stato negli USA”, unendo a ciò la volontà di “comprare” Gaza e la Groenlandia, e di far cessare il fuoco in Ucraina in cambio di terre rare.
Alcune stoccate sono arrivate anche nei confronti di Meloni, sia per l'accordo sulla sorveglianza satellitare con Musk, sia per “voler cambiare la Costituzione”, ricordando la controriforma Calderoli sull'autonomia differenziata, sulla separazione delle carriere dei giudici, e sull'apertura alla partecipazione relativa all'art. 46 della Costituzione della quale Meloni ha dato pieno affidamento all'amico Sbarra, pur affermando che “la CGIL non ha nulla contro la partecipazione”.
Dopo aver illustrato i record negativi dell'Italia sul mondo del lavoro e dell'occupazione e passando in rassegna le forti argomentazioni sui temi dei 5 referendum in gioco, Landini ha sintetizzato questa tornata referendaria come ricerca di “un nuovo modello fondato sulla giustizia sociale”, non prima però di aver ricordato le tante battaglie storiche del proletariato italiano, prima sollevato in armi contro il fascismo e poi resistente nelle lotte operaie. La frase “Pertini diceva che la libertà senza giustizia sociale è solo quella di morire di fame”, gli ha poi consentito di raccogliere scroscianti applausi.
“Facciamo politica? - ha concluso Landini - Si, la CGIL l'ha sempre fatta, perché fare sindacato significa intervenire sui diritti, e quindi sulla politica nella sua più alta eccezione. E ricordate, noi non diventeremo mai un sindacato di mestiere, corporativo”. Il messaggio ovviamente va alla CISL, ormai passata ufficialmente e senza vergogna armi e bagagli nel campo padronale, corporativo e filogovernativo.
L'area di minoranza CGIL chiama alla mobilitazione di piazza
Per l'area programmatica “Le radici del sindacato” alla quale anche il PMLI aderisce, è intervenuta la portavoce Eliana Como che dopo aver messo in parallelo la salita al potere di Mussolini, capace di superare i “confini” politici del tempo con le azioni delle squadracce nere e ciò che avviene adesso in Italia, ha parlato di battaglia referendaria “difficile” ma indispensabile poiché “la rassegnazione non è un'opzione”, in un periodo nel quale la politica - riferita anche al “centro-sinistra” - non è credibile.
“La rivolta - ha poi affermato Como - non è solo il voto, dobbiamo farla nelle piazze, altrimenti non parleremo nemmeno di referendum… Se vogliamo la rivolta allora dobbiamo dare seguito rapidamente allo sciopero generale di novembre, chiamando il governo alle proprie responsabilità anche per gli altri temi come l'autonomia differenziata, il DDL Sicurezza e la questione femminile con lo sciopero dell'8 Marzo”.
In conclusione cita l'esperienza GKN e chiude rivolgendosi direttamente al governo in questo modo: “Meloni, tu sei l'inverno, noi la primavera. Ed arriveremo”.
Tra gli interventi delle associazioni presenti, di particolare interesse è stato quello di un rappresentante dell'Associazione familiari delle vittime della strage ferroviaria di Bologna che ha denunciato i numerosi depistaggi, l'azione di copertura del guardasigilli Nordio, il ruolo della P2 di allora che continua nell'ombra nei governi di oggi, fino al puntare il dito contro l'articolo 13 del DDL Sicurezza che dà mano libera ai servizi segreti che hanno le mani grondanti di sangue dei momenti più bui del periodo stragista del nostro Paese.
Nel secondo giorno di assemblea è intervenuto Gianni Alessandro di Greenpeace che ha legato i cambiamenti cimatici alla “democrazia da mantenere col conflitto nonviolento”, e anche Anna Cocchi, vicepresidente nazionale dell'ANPI che in qualche modo ha rappresentato l'unica voce chiara assieme all'area di minoranza che lo ha fatto intendere, che non ha girato intorno alla natura neofascista del governo Meloni. “Il fascismo - ha detto - non è iniziato con le leggi razziali, bensì con gli arresti degli oppositori e con l'assalto alle Camere del Lavoro. I fascisti oggi sono ben rappresentati dalla classe politica al governo (…) Nella Costituzione c'è posto per tutti, tranne che per i fascisti”.
L'intervento è proseguito con un richiamo collettivo all'antifascismo militante e quotidiano, di riscossa, poiché “questo non è certo il mondo che desideravano i partigiani che oltre a cacciare fascisti e nazisti, volevano un mondo nuovo, solidale e più giusto”.
In conclusione però Cocchi non è riuscita a non indicare nel “voto” l'essenza stessa della democrazia e della libertà, confermando i limiti strategici dell'associazione partigiana ancorata a questa Costituzione borghese e questo regime capitalista neofascista che sono distanti anni luce da quella società che i partigiani e le partigiane auspicavano e per la quale hanno versato il sangue.
Per il “cambiamento sociale” serve la lotta di classe
Nel merito, gli specifici quesiti che saranno oggetto dei referendum di primavera sono da appoggiare poiché incidono positivamente sulla legislazione attuale. Il PMLI parteciperà con tutte le sue forze attivamente alla campagna referendaria per il Sì, da solo o all'interno dei comitati che si costituiranno sui territori dove ne avrà le forze.
Landini a Bologna ha sostenuto che attraverso la vittoria referendaria si può “avviare un cambiamento sociale in Italia e non solo”. Naturalmente non siamo d'accordo con questa sua affermazione poiché un reale, corposo e duraturo cambiamento sociale lo si può ottenere solo con la lotta di classe contro il capitalismo, fino a conquistare il socialismo. Ma di tutto ciò non c'è traccia in questa due giorni bolognese. Paradossale a nostro avviso anche l'affermazione interclassista con la quale ha sostenuto di rivolgersi in questa campagna “anche agli imprenditori che non vogliono ridurre il lavoro a merce”, semplicemente perché è proprio quello, che quotidianamente fanno nel sistema di produzione capitalista.
Comprendiamo che sia giusto richiamare le pagine più gloriose del movimento operaio e antifascista, ma poi a cosa serve se oggi la strategia del maggiore sindacato italiano punta da tutt'altra parte? Cosa c'entrano il riformismo e l'istituzionalismo con i citati scioperi del 1943 o col Biennio rosso? Al di là delle critiche, Landini finisce per legittimare un governo che per la sua stessa natura si colloca inderogabilmente al di fuori della stessa Costituzione borghese del '48. Ecco perché non lo definisce mai “neofascista”, perché, al pari dei partiti della “sinistra” borghese, allora sarebbe costretto a chiamare la piazza alla mobilitazione per abbatterlo, non avendone nessuna intenzione.
D'altra parte il suo slogan “Il voto è la nostra rivolta” smaschera il suo inguaribile riformismo e parlamentarismo e ridimensiona quel suo appello alla rivolta come un demagogico invito al voto piuttosto che alla lotta di piazza contro il governo neofascista Meloni. Sostituire il voto alla lotta di classe è stata da sempre la missione dei riformisti e non dei rivoluzionari e spinge i lavoratori alla passività e all'illusione che per vincere basta imporre per via referendaria alcune leggi a loro più favorevoli.
In conclusione, oggi il richiamo al voto referendario è opportuno per far vincere il Sì, ma senza intensificare la lotta di classe il proletariato non potrà mai liberarsi dal capitalismo e dalla schiavitù salariata e conquistare il potere politico.
26 febbraio 2025