Sul caso Cospito
Il sottosegretario FdI Del Mastro condannato per rivelazione di segreti d'ufficio
La ducessa Meloni attacca i giudici e blinda il sottosegretario
Delmastro deve dimettersi subito

Il 20 febbraio l’ottava sezione penale del tribunale di Roma presieduta dal giudice Francesco Rugarli ha condannato a otto mesi di carcere e un anno di interdizione dai pubblici uffici (pena sospesa) il sottosegretario alla Giustizia Andrea Delmastro Delle Vedove, fedelissimo della ducessa Meoni, riconosciuto colpevole di aver rivelato documenti segreti inerenti le conversazioni tra l'anarchico Alfredo Cospito e alcuni boss mafiosi detenuti al 41 bis del carcere di Sassari.
Si tratta di documenti, coperti dal segreto d'ufficio, che Del Mastro aveva chiesto con insistenza il 29 gennaio 2023 all'allora capo del Dipartimento dell'amministrazione penitenziaria (Dap) Giovanni Russo e che due giorni dopo, il 31 gennaio del 2023, furono utilizzati in aula dal deputato Giovanni Donzelli, suo camerata di partito, per sferrare un violento attacco politico e diffamatorio alla delegazione del Pd composta da Debora Serracchiani, Walter Verini, Andrea Orlando e Silvio Lai, che nei giorni precedenti si era recata a far visita all'anarchico durante il suo lungo sciopero della fame, accusando il Pd di intrattenere tramite Cospito rapporti con i boss della mafia.
Durante la requisitoria la sostituta Rosalia Affinito ha ricostruito i fatti con estrema chiarezza e puntualità dimostrando che Del Mastro ha commesso il reato di violazione del segreto d'ufficio perché quelle carte sono uscite dal Dap dietro sua insistente richiesta e che quindi non ci sono mai stati dubbi sul fatto che fossero “a limitata divulgazione”.
Del resto, come hanno ribadito in aula gli avvocati di parte civile Mitja Gialuz, David Ermini e Federico Olivo, Delmastro non è uno sprovveduto “sapeva bene che quegli atti erano riservati. È un avvocato penalista iscritto all'albo dei Cassazionisti, un parlamentare che è stato anche presidente della Giunta delle autorizzazioni a procedere e parte del comitato che si occupa dei procedimenti d'accusa al presidente della Repubblica. È un sottosegretario alla Giustizia”.
La sentenza è arrivata dopo quasi due ore di camera di consiglio nonostante la richiesta di assoluzione avanzata dall'accusa, rappresentata dall’ex aggiunto Paolo Ielo e dalla sostituta Rosalia Affinito, secondo cui invece “il fatto non costituisce reato”. Nei mesi scorsi va ricordato che Ielo aveva già chiesto l’archiviazione per Delmastro, poi negata dal Giudice per indagini preliminari (Gip) Emanuela Attura che invece aveva disposto l’imputazione coatta di Delmastro ritenendolo, in base alle risultanze investigative, colpevole del reato.
La condanna di Del Mastro ha scatenato l'ennesima levata di scudi a difesa dell'imputato e moltiplicato gli attacchi dell'Esecutivo e di tutta la maggioranza neofascista contro le "toghe rosse" e la “magistratura politicizzata” con alla testa la ducessa Meloni che ancora una volta si scaglia contro i giudici e blinda il sottosegretario Delmastro esternando tutto il suo “sconcerto” per una sentenza che non è di merito ma “tutta politica”. Sono “Sconcertata per la condanna – ha tuonato con piglio ducesco la Meloni - Per Delmastro il Pm aveva sollecitato l’archiviazione e poi l’assoluzione. Mi chiedo se il giudizio sia realmente basato sul merito della questione. Il sottosegretario Delmastro rimane al suo posto”. Si tratta di una “Condanna vergognosa, fondata sul niente, col solo obiettivo di fermare la riforma della giustizia”. Mentre il sottosegretario di Stato alla Presidenza del Consiglio dei ministri Giovanbattista Fazzolari ordina a tutti i camerati del Partito, ai parlamentari e ministri di sparare a zero contro una “sentenza ingiusta” orchestrata da magistrati che “usano i tribunali invece delle urne”.
A ruota, il ministro della Giustizia Carlo Nordio rilancia e aggiunge di sentirsi “disorientato e addolorato per una condanna che colpisce uno dei collaboratori più cari e capaci”. Mentre Lucio Malan, presidente dei senatori di Fratelli d’Italia, accusa senza mezzi termini il Tribunale di Roma di aver emesso “una sentenza che ha il sapore della condanna più politica che giuridica”. Accusa condivisa in pieno anche dal vicepresidente del Consiglio e ministro degli EsteriAntonio Tajani: “La sentenza appare una decisione priva di fondamento giuridico. È una scelta politica contro la riforma” e dal presidente dei deputati FdI, Galeazzo Bignami: “Sentenza politica, chi tocca il Pd va punito”.
Immediata la replica dell'Associazione nazionale dei magistrati che, nell'annunciare lo sciopero del prossimo 27 febbraio contro la legge di riforma della giustizia e la separazione delle carriere, rispedisce le accuse al mittente e si dice “sconcertata nel constatare che ancora una volta il potere esecutivo attacca un giudice per delegittimare una sentenza. Siamo disorientati nel constatare che il ministro della Giustizia auspica la riforma di una sentenza”. Quelle della premier Meloni sono “Dichiarazioni gravi che minano la fiducia nelle istituzioni democratiche”.
A Roma, puntualizza ancora l'Anm, un Pm ha chiesto l'assoluzione e il Tribunale ha emesso una sentenza di condanna: “Questo dimostra che il Pm può chiedere l'assoluzione, nonostante la sua carriera non sia separata da quella del giudice, e che il giudice non è succube del Pm”.
La verità è che Delmastro ha violato il segreto d'ufficio per attaccare e screditare l'opposizione parlamentare esattamente come faceva il suo maestro Mussolini negli anni venti; chi viola platealmente le leggi sapendo di violarle, chi elogia pubblicamente delinquenti, aguzzini e torturatori conoscendo la gravità degli atti abominevoli da essi compiuti nelle carceri deve solo dimettersi.
Anche perché Delmastro, già coinvolto nelle indagini della procura di Biella in cui è indagato il deputato “pistolero” di Fratelli d'Italia Emanuele Pozzolo per le ipotesi di reato di lesioni colpose, accensioni pericolose e omessa custodia di armi, in relazione a quanto accaduto la notte di capodanno 2023, rischia di finire nuovamente a giudizio dinanzi al Tribunale di Biella per aver pubblicato nel 2021 sui suoi social un video del procuratore generale della Corte dei conti del Piemonte, Quirino Lorelli definendolo il “Capitan Fracassa della sinistra giudiziaria italiana”.
Classe 1976, nato a Gattinara in provincia di Vercelli, figlio di un ex deputato di An, Delmastro è stato avvocato di fiducia di Giorgia Meloni e militante fin da giovanissimo del Fronte della Gioventù l'organizzazione giovanile del Movimento Sociale Italiano-Destra Nazionale (MSI-DN), divenendo a soli 16 anni segretario provinciale e mantenendo l'incarico nella sua confluenza in Azione Giovani, la nuova organizzazione giovanile di Alleanza Nazionale.
Dopo essere divenuto nel 2007 segretario provinciale di Alleanza Nazionale si schiera al fianco del segretario Gianfranco Fini per la confluenza del partito nel Popolo della Libertà di Berlusconi.
A dicembre 2012 partecipa alla scissione del PdL guidata da Giorgia Meloni, Ignazio La Russa e Guido Crosetto che porta alla fondazione di Fratelli d'Italia (FdI).
Eletto per la prima volta alla Camera nel 2018, Delmastro nel corso della XVIII legislatura è stato presidente della Giunta per le autorizzazioni a procedere di Montecitorio, membro del Comitato parlamentare per i procedimenti di accusa, componente e capogruppo di Fratelli d’Italia nella 3ª Commissione Affari esteri e comunitari, oltre a presentare come primo firmatario un'interpellanza parlamentare al Ministero della giustizia, rimasta senza risposta, per chiedere l'encomio solenne per i poliziotti penitenziari protagonisti il 6 aprile 2020 del brutale pestaggio di Stato contro i detenuti nel carcere di Santa Maria Capua Vetere.
Come sottosegretario alla Giustizia, ha la delega alla Polizia penitenziaria e controlla anche il reparto Gom che si occupa dei detenuti in 41bis.
Non contento, nel maggio scorso Delmastro ha creato anche il Gruppo di intervento operativo (Gio), un reparto di agenti penitenziari anti sommossa nato sul modello dell’Équipes régionales d’intervention et de sécurité francese, pronto a sedare in tempo reale le rivolte nelle carceri, laddove per «rivolta» si vuole intendere il nuovo reato istituito con il ddl Sicurezza (in itinere al Senato) che si configura anche con la resistenza passiva. Oppure la riforma con la quale nel maggio scorso ha cambiato la fisionomia del Dap emulando il dipartimento di Pubblica sicurezza, con un intervento di suddivisione delle competenze dell’amministrazione in “divisioni” la cui direzione è affidata esclusivamente a dirigenti di polizia penitenziaria.

26 febbraio 2025