La guerra commerciale anticamera della guerra militare
Trump scatena la guerra dei dazi
A pagarne le conseguenze saranno le masse popolari

Come preannunciato nel suo intervento video al Forum economico mondiale di Davos in Svizzera, il fascioimperialista Trump ha scatenato la guerra commerciale contro i tre principali partners degli Stati Uniti, Messico, Canada e Cina. L'Europa al momento sta sullo sfondo e ascolta le minacce della Casa Bianca.
In premessa sottolineiamo che Trump ha collegato l'istituzione dei dazi al fentanyl, una droga sintetica che ha causato migliaia di morti per overdose negli Usa, dandone alla Cina la responsabilità della produzione, e a Messico e Canada quella di averla fatta entrare negli USA, essendosi disimpegnati nei controlli di frontiera.
La Cina ha definito la spiegazione di Trump una "scusa fragile", ma non ci vuole certo una intelligenza superiore alla media per capire che si tratta di una foglia di fico, usurata e trasparente, con la quale Trump cerca inutilmente di coprirsi, fino a cadere nel grottesco.

L'attacco al socialimperialismo cinese
Nel suo discorso di oltre cento minuti sullo stato dell'Unione a stelle e strisce al Congresso, infarcito di menzogne e inesattezze, Trump ha fatto chiaramente capire che lo scopo del suo mandato e della sua politica economica interna ed esterna, è sostanzialmente quello di dividersi il mondo con i grandi imperialismi della terra come Russia e Cina, in un nuovo assetto mondiale nel quale tutti gli altri Paesi non sono altro che pedine di scambio per un gioco assai più grande.
Ma adesso, per giungere all'obiettivo, è il momento dell'attacco, e i primi a cadere sotto i colpi dei nuovi dazi USA non potevano non essere i loro principali nemici, e cioè il socialimperialismo cinese. Dopo l'ordine esecutivo di Trump che ha raddoppiato i dazi al 20% sulle importazioni dei prodotti “made in China” (da marzo), Pechino ha reagito immediatamente imponendo a sua volta un dazio aggiuntivo del 15%, a partire dal 10 marzo, su “pollo, grano, mais e cotone statunitensi” e un'imposta aggiuntiva del 10% su “soia, sorgo, maiale, manzo, prodotti acquatici, frutta e verdura e latticini”, per un valore di circa ventuno miliardi di dollari (stima Reuters).
Secondo alcuni analisti, la scelta di mettere nel mirino i prodotti agricoli nasce dalla volontà di Pechino di colpire una delle basi dell'elettorato trumpiano negli USA, composta proprio dai produttori.
La Cina ha inoltre imposto restrizioni alle esportazioni e agli investimenti a venticinque aziende statunitensi per “motivi di sicurezza nazionale” e l'ambasciata cinese negli Stati Uniti ha affermato in un post sul social media X che “se la guerra è ciò che vogliono gli Stati Uniti, che si tratti di una guerra tariffaria, di una guerra commerciale o di qualsiasi altro tipo di guerra, siamo pronti a combattere fino alla fine”, ribadendo quanto già affermato dal portavoce del Ministero degli esteri cinese Lin Jian in altre sedi.
Non è un caso infatti che in un mondo dove tutti i paesi imperialisti corrono al riarmo, il 14° Congresso Nazionale del Popolo ha fissato quale obiettivo della Cina per il 2025, l’incremento della spesa per la difesa del 7,2% per "salvaguardare" la sicurezza nazionale.

Canada e Messico
Se il Messico ancora non ha dato una risposta netta, circa l'istituzione di dazi in USA al 25% sulle importazioni, una dura replica è arrivata dal Canada che ha già imposto a sua volta dazi del 25% su 155 miliardi di dollari canadesi in merci statunitensi.
“I nostri dazi rimarranno in vigore fino a quando l’azione commerciale degli Stati uniti non sarà ritirata – ha dichiarato Trudeau in un comunicato – e, nel caso in cui i dazi statunitensi non dovessero cessare, stiamo discutendo attivamente e costantemente con le province e i territori per perseguire diverse misure non tariffarie. I canadesi sono ragionevoli ed educati ma non si tireranno indietro da una battaglia, soprattutto quando in gioco c’è il Paese e il benessere di tutti coloro che vi abitano”.
Se la Cina, come già accennato, ha chiosato sull'attacco “fentanyl” con un lapidario “scusa fragile”, il premier canadese ha rispedito al mittente le accuse sostenendo che l’imposizione dei dazi serve solo a paralizzare l’economia e rendere più facile l’annessione del Canada, che continua ad essere un obiettivo espansionista di Trump assieme a Panama e Groenlandia. “Ma il Canada – ha continuato Trudeau – non sarà mai il 51° stato americano. Non accadrà mai”.
Le pressioni seguenti all'andamento dei mercati finanziari dove Nasdaq e Down Jones hanno sostanzialmente bruciato tutti i guadagni arrivati dopo le elezioni, hanno indotto Trump a sospendere per il solo mese di marzo le tariffe del 25% sulle auto importate da Canada e Messico lasciando però in vigore le altre nei confronti dei due Paesi confinanti. Certamente il presidente fascioimperialista sta aggiustando il tiro per non penalizzare troppo i profitti dei capitalisti a stelle e strisce, e ciò darà probabilmente adito ad altri interventi nei prossimi giorni; nel momento in cui scriviamo, ad esempio, la Casa Bianca sta valutando alcune esenzioni agricole ai dazi su Messico e Canada.

La minaccia all'UE
Relativamente al vecchio continente, è dal 14 febbraio che Trump ha avviato una revisione della politica commerciale con la Ue.
Nell'incontro alla Casa Bianca con il premier britannico Starmer, Trump ha attaccato l'UE perché “impone già dazi sotto forma di Iva, circa al 20%, e con altre tasse. Esporta le auto, ma non compra le nostre”, e ha stimato in ben 300 miliardi di dollari l’attivo commerciale Ue sugli Usa che a suo avviso dovrà essere colmato il più rapidamente possibile.
In sostanza Trump afferma di voler instaurare dazi del 25% anche verso le importazioni UE, a partire proprio dall'industria automobilistica e perdurando quella su acciaio ed alluminio come già successo al suo primo mandato.
La Commissione Europea nell'ultima riunione ha ricordato che tra Ue e Usa esiste “la più grande relazione bilaterale di commercio e di investimenti al mondo”, avvertendo però che “La Ue proteggerà i suoi consumatori e le sue imprese ogni istante e reagirà fermamente e immediatamente a ostacoli ingiustificati al commercio libero e equo”.

Chi paga i dazi?
In ogni caso è proprio il frutto di quel “commercio libero”, e dunque il profitto da garantire ai capitalisti anche in fasi caotiche come questa, che non può venire meno.
È chiaro che la guerra commerciale della quale i dazi rappresentano l'attuale punta dell'iceberg, sia solo parte della guerra imperialista che si sta consumando oggi a livello globale, con alcune brusche accelerate; tuttavia come negli scontri armati pagano con la vita – oltre mercenari di professione - i “figli del popolo”, i risvolti di quella economico-finanziaria sono anch'essi totalmente a carico delle masse popolari.
Secondo alcuni esperti i dazi, e il conseguente aumento dei costi delle materie provenienti dai Paesi colpiti, dovrebbero portare le aziende importatrici a farsi carico in primis del sovrapprezzo. Ma siamo in regime liberista, e quindi qualsiasi importatore non prenderà neanche in considerazione l'idea di assorbire i costi, poichè ciò inciderebbe negativamente sui suoi profitti.
È vero infatti che alcuni importatori hanno già lanciato l'allarme, sostenendo che il pagamento di un dazio del 25% cancellerebbe completamente i loro margini di profitto e li metterebbe “fuori mercato”, “costringendoli” a intervenire sui prezzi e dando così vita ad una nuova spirale inflazionistica.
L'altra alternativa per risolvere parzialmente la questione della quale gli analisti parlano, sarebbe “costringere” in qualche modo il fornitore che ha venduto loro la merce ad abbassare i prezzi per compensare il dazio. Ma anche questa rimane una ipotesi tutta sulla carta perché nel sistema capitalista, dall'altra parte di ogni compravendita c'è sempre un altro capitalista che a sua volta vende o compra esclusivamente per fare profitto.
In realtà quello che vedremo – nonostante le rassicurazioni dello stesso Trump al Consiglio di Stato – sarà un'impennata dei prezzi dei prodotti e dei servizi, ed anche dell'energia, poiché non c'è nulla di più facile per gli operatori commerciali, che trasferire i costi dei dazi sotto forma di prezzi più alti all'ulteriore acquirente.
Ecco perché i dazi saranno in sostanza una sorta di sovraimposta indiretta, come l'lVA ad esempio, che tutti scaricano fino appunto al consumatore finale che non può far altro che pagarla, sia nel prodotto finito, o nel servizio che si compra sul maledetto mercato capitalistico.

12 marzo 2025