Fallito il tentato golpe dei sostenitori di Assad
Accordo tra il governo della Siria, i curdi e i drusi
Istituito un Comitato per indagare sugli eventi sanguinosi della costa siriana e sulle violenze contro i civili

La nuova Siria sta nascendo grazie ai recenti accordi del governo siriano con le SDF, le forze di difesa curde dell'Amministrazione autonoma della Siria nord-orientale (Rojava), e con la comunità Drusa della regione meridionale di Suweida, e la firma della nuova Costituzione provvisoria, che dovrebbe garantire i diritti di cittadinanza di tutte le minoranze, la divisione dei poteri e la libertà di espressione e di stampa della nuova Repubblica araba siriana.
L'accordo firmato l'11 marzo tra il presidente siriano e Mazloum Abdi per le SDF, e quello firmato con la comunità drusa di Suweida, sembrano andare effettivamente incontro alle speranze di una nuova Siria che veda la coesistenza paritaria tra le diverse componenti religiose, etniche e territoriali dei sunniti, curdi e drusi. Anche se però, vista dal lato curdo, l'intesa col governo siriano potrebbe nascondere l'insidia del disarmo delle SDF e della rinuncia all'indipendenza del Rojava, come sollecitato nell'appello capitolazionista firmato dal leader del PKK, Ocalan.

L'accordo con i drusi e la nuova Costituzione siriana
L'accordo governo-SDF è stato accolto con favore da tutti gli Stati sunniti della regione, Arabia Saudita, Qatar, Emirati, Giordania e Turchia, nonché dal Dipartimento di Stato USA (che ha fatto da mediatore) e dall'ONU. Il giorno dopo è stato firmato un accordo anche tra il governo di Damasco e la comunità drusa di Suweida nel Sud, integrando formalmente la regione nello Stato siriano. La struttura dell'accordo è molto simile, e prevede tra l'altro il dislocamento di 300 agenti di sicurezza siriani a Suweida e l'integrazione di 600 poliziotti drusi nelle forze di polizia nazionali, la nomina da parte di Damasco di un capo della polizia provinciale e di due deputati, di cui uno di Suweida, e la presentazione di 400 membri scelti dalle comunità locali per il loro inserimento nella struttura del ministero dell'Interno.
Subito dopo questi due accordi, il presidente ha firmato anche la bozza della nuova Costituzione provvisoria della Repubblica araba siriana in 9 punti, che pur riconoscendo l'Islam come “fonte primaria del diritto in Siria”, afferma tuttavia l'uguaglianza di diritti e responsabilità di tutti gli individui, la divisione dei poteri, con il legislativo al parlamento e l'esecutivo al presidente, l'indipendenza della magistratura e la tutela delle libertà di espressione e di stampa, insieme al rispetto del diritto internazionale. Afferma specificamente anche il potere presidenziale di “dichiarare lo stato di emergenza quando necessario”, così come, per contrappeso, il potere del parlamento di mettere sotto accusa il presidente e di concedere un'amnistia generale.
Anche da questa Costituzione provvisoria, della durata di cinque anni in attesa che una commissione speciale rediga quella definitiva, sembra confermarsi lo sforzo del nuovo presidente siriano, pur mediando con le componenti islamiche più radicali, di tenere unito il Paese in tutte le sue componenti, dandogli una base politica e istituzionale di tipo democratico-borghese che possa garantirle tutte. E al tempo stesso possa permettere al nuovo governo siriano di essere pienamente riconosciuto nel consesso internazionale, in particolare in Occidente e in Europa.
La quale, da parte sua, ha interesse a stabilizzare la Siria soprattutto per bloccare e invertire il flusso di profughi siriani, ma anche per partecipare, insieme agli altri imperialismi regionali e mondiali, al ridisegno delle sfere di influenza che usciranno dagli sconvolgimenti che l'intero Medio Oriente sta attraversando. Lo dimostra anche, dopo la revoca delle sanzioni al vecchio regime, la promesse di aiuti per 2,5 miliardi di euro che al-Sharaa ha ricevuto dalla Commissione europea partecipando il 17 marzo alla Conferenza per la Siria a Bruxelles.

L'accordo tra SDF e governo siriano
L'accordo tra SDF e governo siriano è in 8 punti e prevede l'istituzione di un comitato esecutivo congiunto per ognuno dei punti da realizzare nel giro di un anno. Al primo c'è la garanzia per tutti i siriani alla rappresentanza e al processo politico senza discriminazione etniche e religiose. Nel secondo si riconosce alla “comunità indigena curda nello Stato siriano” il diritto alla cittadinanza e tutti i diritti costituzionali, ciò che sembrerebbe il mantenimento di un certo grado di autonomia. Seguono poi il cessate il fuoco su tutti i territori siriani, il ritorno di tutti gli sfollati, in particolare quelli di Efrin, il sostegno alla lotta contro i resti dei seguaci di Assad, e la lotta ad ogni tentativo di seminare odio e divisione tra le componenti della società siriana.
Particolarmente critico, per il futuro del Rojava, quantomeno della sua attuale autonomia, è il quarto punto, che prevede di “integrare tutte le istituzioni civili e militari nella Siria nord-orientale nell’amministrazione dello Stato siriano”, e che comprende anche il controllo di Damasco su tutti i valichi di frontiera, aeroporti, giacimenti di gas e di petrolio del Rojava. Resta ancora da sciogliere, inoltre, il nodo di come debba avvenire l'integrazione delle SDF nel nuovo esercito siriano, se mantenendo integra la sua attuale struttura, come chiedono i curdi, o sciogliendosi e arruolandosi individualmente, come vorrebbe il governo di Damasco: cosa anche questa non di poco conto per il futuro della sicurezza del Rojava, specie alla luce dell'esortazione di Ocalan ai combattenti curdi a deporre le armi e le evidenti mire egemoniche del dittatore fascista Erdogan sulla nuova Siria.
Secondo Salih Muslim, portavoce delle relazioni estere del Partito dell'unione democratica (PYD) - partito curdo vicino al PKK e attivo nella Federazione del Nord della Siria, che appoggia l'accordo insieme ad altre organizzazioni curde come il PUK (Unione patriottica del Kurdistan), il Partito progressista democratico curdo siriano, il Partito Democratico curdo siriano e il Partito dell’Unione Democratica Curda Siriano (YEKIT) – l'accordo firmato tra il generale Abdi e il presidente al-Sharaa è coerente con quanto chiesto nella lettera di Ocalan: “Vogliamo far parte della Siria, vogliamo l’unità, vogliamo la pace. In altre parole, non ci siamo discostati da quanto affermato nella lettera”, ha detto in un'intervista all'agenzia ANF. Egli ha poi cercato di rassicurare dalle accuse di “capitolazione” da parte di certi “media di parte”, aggiungendo che “in sostanza accettiamo di fare la pace e di far parte di questo Stato. Naturalmente, prenderemo il nostro posto in questo Stato proteggendo i nostri diritti e la nostra identità. Lo abbiamo sempre detto, quindi non siamo esclusi”.

La testimonianza di mons. Jallouf
A dare credito al nuovo governo siriano è anche la chiesa cattolica, nella persona di monsignor Hanna Jallouf, vicario apostolico di Aleppo, che in un'intervista a La Repubblica , ha motivato la sua fiducia nel nuovo presidente siriano, che conosce personalmente da tempo, osservando che aveva sollecitamente inviato una delegazione a parlare con tutti i capi religiosi di Latakia per pacificare gli animi.
“Vuol dire che il governo sta pensando e sta lavorando a una pace duratura tra le genti”, ha sottolineato il prelato, confermando anche che i massacri sono stati innescati dal tentativo del fratello di Assad, che “si è spostato in Iraq, ha raccolto un po’ di ex ufficiali del vecchio regime e ha provato a fare un colpo di Stato” con l'aiuto del generale Dallah. Alla domanda su cosa basasse questa sua sicurezza sull'intervento di Maher al-Assad, Jallouf ha risposto: “Quando la rivolta è fallita abbiamo avuto notizia che ha preso l’aereo dall’Iraq ed è tornato in Russia”.
Pur confermando la gravità delle violenze commesse dalle forze di sicurezza, “a cui si sono aggiunti tanti stranieri, estremisti iuguri e turkmeni”, il prelato ha detto di ritenere ancora che il presidente e capo dell'HTS è l'uomo che può portare la pace in Siria: “Sì, penso che ce la farà. L’80 per cento del popolo siriano è sunnita e sta con lui”, ha detto, aggiungendo che “sta aprendo a tutti e si è circondato di gente intelligente e moderata”. E infatti al-Sharaa aveva dichiarato alla Reuters che le violenze inaccettabili sulla costa rappresentano “una minaccia” ai suoi sforzi per riunificare il paese devastato dalla guerra, promettendo di punire i responsabili, anche se fossero le sue “persone più vicine”.

Il fallito golpe militare dei seguaci di Assad
Dopo i gravi fatti di sangue di Latakia e Tartus per rappresaglia al fallito golpe militare dei seguaci di Assad, il nuovo presidente della Siria, Ahmed al-Sharaa (ex al-Jolani), ha cercato di riprendere il controllo della situazione e il faticoso processo di unificazione delle varie nazionalità e fazioni etnico-religiose nella nuova entità statale, per evitare il sempre incombente rischio di guerra civile.
Gli eventi sanguinosi accaduti a Latakia, Tartus, Banyas e in altre 40 località della costa siriana e del suo entroterra e della valle dell'Oronte, fino ad interessare la città di Homs, sono scoppiati il 6 marzo e sono durati per alcuni giorni, provocando, secondo l'Osservatorio siriano per i diritti umani (SOHR), circa 1.400 morti, per la maggior parte civili della minoranza alawita, che rappresenta il 12% della popolazione della Siria e da cui proviene anche il clan degli Assad. Tra i morti vi sono anche delle donne e dei bambini e persone di religione cristiana.
Le violenze sono iniziate con un tentativo golpista del “Comitato militare per la liberazione della Siria”, creato e guidato da un ex generale di Assad, Ghaith Dallah, e sotto la direzione politica del fratello del dittatore deposto, Maher al-Assad, con un attacco ad un posto di blocco governativo e l'uccisione di diversi uomini delle forze di sicurezza di Damasco. Ciò provocava la vendetta di milizie sunnite di origine cecena, turca e asiatica, sembra accorse da Idlib, che hanno scatenato la violenza anche contro la popolazione civile alawita, che è di fede sciita, con esecuzioni sommarie, cacce all'uomo casa per casa, torture e l'uso dei micidiali barili esplosivi scaricati dagli elicotteri sui villaggi alawiti, li stessi già ampiamente usati dalle truppe di Assad contro i villaggi dei ribelli sunniti.
Migliaia di persone hanno cercato rifugio presso la base russa di Hmeimim, altre centinaia hanno cercato di attraversare la frontiera col Libano. Una catastrofe che rischiava di mettere un'ipoteca pesante sul processo di pacificazione avviato da al-Sharaa; tal ché, in un intervento in video il presidente siriano, insieme alla ferma condanna del colpo militare dei “resti del precedente regime che ha commesso crimini contro l’esercito e le istituzioni statali, ha attaccato gli ospedali, ucciso civili innocenti e diffuso il caos in regioni sicure” (adombrando anche l'appoggio di un “paese straniero”, con probabile allusione all'Iran), ha annunciato l'istituzione di un Comitato nazionale indipendente per indagare e accertare i fatti relativi agli eventi sulla costa siriana, sottolineando anche la necessità di una “rigorosa responsabilità senza clemenza per chiunque sia coinvolto nello spargimento di sangue dei civili, che ha abusato dei poteri dello stato o dell’autorità sfruttata per guadagno personale”.
Gli eccidi di civili alawiti e cristiani avevano allarmato non poco le comunità curda e drusa, con le quali al-Sharaa stava trattando la loro partecipazione al processo di unificazione nel nuovo Stato multietnico e multireligioso siriano, col rischio che le violenze pregiudicassero le trattative stesse. Infatti, in una dichiarazione scritta all'agenzia Reuters, il comandante delle Forze democratiche siriane, Mazloum Abdi, rispondendo alle accuse dei miliziani di Idlib alle SDF di aver sostenuto i golpisti pro-Assad e di tentare un avanzamento su Aleppo durante alcuni scontri armati con i Jihadisti del Syrian national army di Abu Amsha, aveva invitato al-Jolani a rivedere il metodo di formazione del nuovo esercito siriano e il comportamento dei gruppi armati, in quanto alcuni gruppi stavano usando i loro ruoli all’interno dell’esercito per “creare conflitti settari e impegnarsi in conflitti interni”.
Quanto ai drusi, il rischio era che la ripresa delle violenze settarie contro le minoranze facesse il gioco di Israele, che ha approfittato della crisi siriana per occupare tutto il sud della Siria, compreso il monte Hermon e i villaggi fino ai sobborghi di Damasco, azione denunciata ufficialmente il 4 marzo, per la prima volta in oltre tre mesi, dal presidente siriano. E in tutto questo tempo Israele ha continuato a bombardare quotidianamente ed impunemente quel che resta delle installazioni militari siriane, tanto che soltanto a dicembre 2024 ha fatto più attacchi aerei che in tutto il 2023.
Attribuendo provocatoriamente gli eccidi avvenuti sulla costa allo stesso al-Jolani, “che ha tolto la maschera e ha mostrato il suo vero volto di terrorista Jihadista della scuola di al-Qaeda” (parole del ministro della Difesa Israel Katz), Israele si erge adesso a “protettore” della minoranza Drusa, per usarla come una pedina a supporto della sua strategia di annessione permanente di quel pezzo di Siria. Da tempo infatti i nazisionisti di Tel Aviv cercano di accattivarsi l'alleanza dei 700 mila drusi, che si sentono siriani, inviando loro “aiuti umanitari” (gli stessi che negano spietatamente ai palestinesi), e pagando loro alti salari per lavorare alle strade e fortificazioni che l'IDF sta costruendo in territorio siriano, nell'intento di staccarli dal governo di Damasco.

19 marzo 2025