Mezzo milione di serbi in piazza contro il presidente padrone Vucic
Chiedono giustizia per le vittime di Novi Sad e galera per i politici corrotti

La protesta contro la corruzione dilagante nelle istituzioni borghesi della Serbia nata dopo la strage causata dal crollo di una struttura mal costruita nella stazione di Novi Sad lo scorso 1 novembre non si è fermata alle prime manifestazioni, anzi si è sviluppata nel tempo per merito del movimento degli studenti che è arrivato a occupare un'ottantina di facoltà e a coinvolgere lavoratori e categorie professionali in un'onda lunga che ha avuto il suo culmine con l'oceanica manifestazione del 15 marzo a Belgrado quando mezzo milione di serbi sono scesi in piazza contro il presidente padrone Aleksander Vucic chiedendo giustizia per le vittime di Novi Sad e la galera per i politici corrotti.
A quella che è stata considerata una delle manifestazioni più imponenti dai tempi della caduta del criminale Slobodan Milosevic nel 2000 e che ha riempito tutte le principali strade e piazze di Belgrado hanno partecipato studenti e lavoratori provenienti da tante città, arrivate nella capitale con tutti i mezzi disponibili dopo che molte linee ferroviarie erano state interrotte per due giorni dal governo, con la motivazione ufficiale di un allarme per un “pacco bomba”. Il tentato boicottaggio governativo si è ritorto contro il regime del presidente Vucic dato che i manifestanti nel viaggio hanno trovato ospitalità nei paesi dove spesso sono stati accolti con entusiasmo e rifocillati. E dalle zone rurali anche contadini con i trattori si sono mossi sulla capitale schierandosi con i mezzi alla testa e in fondo ai cortei per proteggerli da assalti della polizia o piuttosto delle milizie filogovernative. “Blokada”, blocchiamo la Serbia avevano promesso gli organizzatori e l'hanno mantenuta.
La mobilitazione di massa aveva preso il via dopo la tragedia di Novi Sad dello scorso 1 novembre quando il crollo della tettoia della stazione ferroviaria aveva causato 15 morti e decine di feriti. La stazione della città era stata recentemente restaurata da un consorzio di aziende cinesi in quanto parte del progetto della linea di alta velocità Belgrado-Budapest finanziata da Pechino; uno dei progetti del socialimperialismo cinese per mettere piede attraverso lo strumento economico nei pesi dell'Est europeo, nello spazio offerto in questi caso dalla coppia formata dal presidente padrone Vucic e dal sodale fascista ungherese della Meloni, Orban. Dalle prime indagini risultava già chiaro che all'origine della strage c'era la corruzione intrinseca delle istituzioni, manifestata da una serie di normative aggirate, contratti da svariati milioni di euro stipulati segretamente, molti subappaltatori ingaggiati, costi dei lavori aumentati a dismisura ma procure e tribunali allineati al governo indagavano in altre direzioni.
L'imbelle opposizione parlamentare non si muoveva, lo facevano gli studenti che iniziavano a costruire una protesta che non si fermava ai primi arresti e alla repressione governativa. A dicembre avanzavano una serie di richieste, fra le quali la pubblicazione di tutta la documentazione relativa ai lavori di rinnovo della stazione di Novi Sad, la liberazione dei manifestanti fermati, l’aumento del 20% dei fondi statali per le università pubbliche. Il presidente Vucic prometteva di aumentare i finanziamenti destinati alle facoltà, consentiva la pubblicazione solo di parte della documentazione dei lavori, omettendo però quella relativa alla tettoia crollata. Sacrificava il premier Milos Vucevic, dimesso il 28 gennaio, il ministro dei Trasporti e mandato a processo 13 pedine minori. Paventava complotti di non ben identificate potenze straniere contro il suo governo, la neofascista Meloni a quanto pare ha fatto scuola in Europa e ottenuto successi significativi, sul tipo quelli che a suo parere a fine anni ’90 rovesciò il suo mentore Milosevic, di cui era portavoce. Ma la protesta è andata avanti, vuole sostanzialmente la fine del sistema corrotto costriuito dal presidente padrone dalla salita al potere nel 2012 e dal suo partito, il Partito progressista serbo (Sns), che ha conquistato di nuovo la maggioranza assoluta nelle elezioni generali del dicembre 2023, anche se furono denunciati grossi brogli, non sanati dalla decisione del presiente di concedere la ininfluente ripetizione dell’elezione soltanto del sindaco di Belgrado.
Vucic pensa di restare al potere grazie al controllo instaurato su istituzioni, stampa e magistratura ealla rete di alleanze che ha construito. In una Ue silente sulle proteste e che solo il giorno prima della manifestazione di Belgrado si è espressa chiedendo il “rispetto dei diritti democratici” ed è stata giustamente definita “complice” dal movimento di protesta che elencava i vantaggi incassati dai paesi comunitari, dagli investimenti tedeschi per aprire la più grande miniera di litio d’Europa fermate dalle proteste nel 2022, agli affari militari della Francia con la vendita dei suoi caccia Rafale. Assieme agli affari con la Cina, evidenziati proprio dalla strage di Novi Sad e con la Russia di Putin di cui la Serbia rimane storica alleata, tanto che Belgrado non si è unita alle sanzioni contro Mosca dopo l’invasione dell’Ucraina. E senza disdegnare i rapporti con l'imperialismo americano, anche con la nuova amministrazione a guida Trump.
Una delle anime della protesta, il movimento Kreni-Promeni (Parti e Cambia!), in risposta all'ipotesi che il governo decida di andare ad elezioni per fermare gli studenti sosteneva che “non vogliamo elezioni. Vogliamo un governo di transizione, composto da esperti, senza rappresentanti del governo o dell’opposizione”, esperti nominati dalle assemblee delle autogestioni delle facoltà occupate. L'obiettivo è sostituire il regime del presidente padrone con uino stato di diritto, con una stampa libera e una magistratura indipendente.

19 marzo 2025