Brano tratto dal Documento dell'Ufficio politico del PMLI “Contro il federalismo, per l'Italia unita, rossa e socialista”
Il “Manifesto di Ventotene” e il federalismo dal fascismo alla Resistenza

Qui di seguito pubblichiamo il brano che denuncia la natura liberal-democratica e federalista del “Manifesto di Ventotene”, tratto dall'importantissimo Documento dell'Ufficio politico del PMLI dal titolo: Contro il federalismo, per l'Italia unita, rossa e socialista, datato 17 marzo 2011.
 
Dal momento in cui il fascismo - presentato dal filosofo del fascismo Giovanni Gentile come lo "Stato nuovo" autoritario, gerarchico e militarizzato - aveva annullato ogni ipotesi di decentramento, anche la più velleitaria e astratta, l'istanza regionalista e autonomista divenne patrimonio comune delle forze antifasciste. Per la corrente liberal-democratica il fascismo rappresentava l'estrema manifestazione dello Stato monarchico e centralistico nato dal Risorgimento, fondamentalmente ostile fin dalla sua nascita alla libera espressione delle autonomie locali e al principio liberal-democratico di matrice anglosassone dell'autogoverno. Negli anni della dittatura fascista, la corrente liberal-democratica si riallacciò così alle correnti autonomiste e federaliste sconfitte nel Risorgimento e nell'Italia post-unitaria. A loro volta, le correnti socialista e comunista revisionista legavano la questione delle autonomie al problema della concezione della democrazia borghese e della partecipazione delle masse popolari e contadine alla direzione dello Stato capitalistico. Tra le riviste antifasciste impegnate nel dibattito sul decentramento, fu "Il Quarto Stato" di Pietro Nenni e Carlo Rosselli a porre le basi di una convergenza tra forze liberal-democratiche e socialiste, individuando i pilastri della rinascita dello Stato borghese nell'autonomismo e nella forma repubblicana. Proprio questi due principi rappresentarono il punto di partenza del programma liberaldemocratico di "Giustizia e Libertà" del '32. Esso delineava un nuovo Stato borghese fondato sulle autonomie e con un governo centrale le cui prerogative si sarebbero limitate alle sole "intraprese [...] nazionali". Non mancò neppure chi, come Emilio Lussu nell'articolo "Il federalismo" pubblicato nel 1933 sui "Quaderni di Giustizia e Libertà", richiamandosi alla tradizione risorgimentale, ripropose la "repubblica regionale" con competenze legislative e amministrative. Per Lussu, come per il "socialista-liberale" Rosselli, l'obiettivo era di trovare il modo di avviare un'azione "rivoluzionaria dal basso", per arrivare a una riforma del capitalismo, individuato nella sua concentrazione monopolistica come uno dei principali supporti della dittatura fascista e nazista. Proprio per questo, nell'illusione di potere "democratizzare" il fascismo e il capitalismo, i torinesi di "Giustizia e Libertà" come Leone Ginzburg, sulla scorta di Gramsci e Gobetti, preferivano parlare chiaramente di federalismo dei "sovieti" e di "consigli di fabbrica". Dopo l'assassinio di Rosselli da parte dei fascisti, le idee degli intellettuali democratico borghesi di "Giustizia e Libertà" culminarono nella riflessione di Silvio Trentin, approdato nel corso degli anni Trenta dal precedente radicalismo democratico borghese al "socialismo federalista e rivoluzionario", in virtù del "riconoscimento della necessità di una rivoluzione che si proponga d'instaurare nuove istituzioni economiche e politiche sulle rovine del capitalismo". Così scriveva Trentin nel 1933 in "Riflessioni sulla crisi e le rivoluzioni", la stessa opera in cui egli annunciò di guardare "al socialismo e di conseguenza all'accettazione incondizionata dell'economia collettivista, della politica di piano, e alla presentazione dell'Unione Sovietica [...] come un indispensabile alleato per la futura rivoluzione italiana". Molte delle idee di Trentin, va sottolineato, confluirono nella "Carta ideologica" di "Giustizia e Libertà"" del 1938. Dopo lo scoppio della seconda guerra mondiale, l'idea federalista dell'antifascismo conobbe un ulteriore grande sviluppo con la Resistenza. Nacque la Federal Union a Londra nel 1939, il Comitato francese per la federazione europea nel 1944, e, soprattutto, il Movimento federalista europeo, con il "Manifesto di Ventotene" del 1941 e gli scritti del trotzkista Altiero Spinelli, espulso nel 1937 dal PCI revisionista con l'accusa di voler "colpire dall'interno le basi della dottrina marxista e minare l'ideologia bolscevica", ed Ernesto Rossi, tra i fondatori di "Giustizia e Libertà". Essi, per superare il "bellum omnium contra omnes" degli Stati capitalistici nazionali sovrani, proponevano una federazione europea, l'unica forma politico-istituzionale che potesse garantire, secondo loro, all'intero continente pace, libertà, giustizia sociale, sviluppo economico e progresso culturale. Fondamentalmente Spinelli e Rossi, nella loro prospettiva complessivamente liberal-democratica e interclassista, finivano per giudicare non antagonistici gli interessi di borghesia e proletariato. Con il conseguente ingresso di Spinelli e Rossi nel Partito d'Azione, le tesi federaliste permearono l'azione del partito nel Nord Italia. Il regionalismo del Partito d'Azione era accolto favorevolmente dai repubblicani, alcuni liberali e dai democristiani eredi della tradizione di Luigi Sturzo. Ne diffidavano inizialmente PSI e PCI revisionista preoccupati che organismi locali dotati di vasti poteri potessero cadere in mano delle forze conservatrici e reazionarie. Era già cominciato quel dibattito sul regionalismo che troverà nell'Assemblea Costituente la sua più approfondita e consapevole espressione.

26 marzo 2025