Mentre annunciano un attacco via terra nel sud della Striscia
Massacro nazisionista di operatori sanitari e umanitari a Rafah
Un nuovo atto criminale sionista parte del genocidio palestinese

Con un post del 31 marzo su X l'esercito sionista annunciava un attacco di terra nella città di Rafah, nel sud della Striscia per “eliminare le capacità delle organizzazioni terroristiche in queste aree" e “invitava” la popolazione a spostarsi di nuovo, a lasciare quasi il 20% di Gaza, incluso l’intero governatorato di Rafah e parti di Khan Younis, trasferendosi nella zona costiera di al-Mawasi. Una nuova invasione in forze del tipo di quella del maggio dello scorso anno che aveva concluso lasciandosi dietro morti e case distrutte e l'ennesima di quella serie di offensive che da due anni e mezzo i nazisionisti lanciano su una Gaza che hanno praticamente ridotto a uin cumulo di macerie ma senza riuscire nell'obiettivo principale di eliminare la Resistenza palestinese. L'annunciata ripresa dei massicci attacchi di terra dei sionisti, dopo aver stracciata l'intesa sulla tregua del gennaio scorso, farà salire di nuovo i numeri del bilancio giornaliero delle vittime palestinesi, che secondo il ministero della Salute di Hamas ha registrato altri 80 morti e 305 feriti solo fra il 30 e 31 marzo; dal 18 marzo, dalla rottura della tregua, sotto i bombardamenti nazisionisti ci sono stati 921 palestinesi morti e altri 2.054 feriti, per la maggior parte donne e bambini. Il bilancio del genocidio palestinese è arrivato così a 50.277 morti, 114.095 feriti e più di 14.000 dispersi.
Proprio nella città di Rafah si è registrato un altro crimine nazisionista col massacro di 15 operatori umanitari trovati morti e sepolti, con le mani legate e segni di colpi d'arma da fuoco alla testa e al petto; gli operatori della Mezzaluna Rossa, di una squadra della Difesa civile e un dipendente dell’UNRWA (Agenzia delle Nazioni Unite per i rifugiati palestinesi) erano stati assassinati il 23 marzo ma dalla morsa stretta sulla Striscia dagli occupanti è uscito alle cronache ben una settimana dopo. Ricordiamo che operatori sanitari e componenti della protezione civile godono dell'immunità internazionale e sono protette dal diritto umanitario internazionale, una regola che non vale per i criminali nazisionisti.
La prima comunicazione dell'esercito occupante sull'episodio seguiva l'oramai arcinoto copione preso per buono solo dai media imperialsti, allineati alla vigliacca campagna propagandistica che tasforma i carnefinici nazisionisti in vittime: i soldati "hanno eliminato diversi terroristi di Hamas e della Jihad islamica" aprendo il fuoco sui loro veicoli e su "altri veicoli che sono avanzati in modo sospetto verso le truppe”. I primi veicoli erano ambulanze colpite nonostante avessero chiari simboli di riconoscimento, così come le altre vetture di pompieri e Protezione civile accorse e bloccate. Per alcuni giorni l'occupante sionista ha impedito alla Mezzaluna Rossa l'accesso nella zona del massacro a Rafah e ha dato il via libera solo il 27 marzo alla richesta appoggiata anche dall'Ufficio delle Nazioni Unite per il Coordinamento degli Affari Umanitari (OCHA) e dal Comitato Internazionale della Croce Rossa (CICR).
In un comunicato del 31 marzo, l'ufficio stampa governativo di Hamas condannava l'esecuzione dei 15 soccorritori a Rafah da parte dell'occupazione israeliana e chiedeva “un'indagine internazionale indipendente su questo barbaro crimine, sotto gli auspici delle Nazioni Unite e della Corte penale internazionale per rivelare i dettagli di questo crimine barbaro e consegnare i suoi autori alla giustizia”. Il comunicato affermava che “questo crimine atroce compiuto dall’occupazione e dopo che l’esercito israeliano ha deliberatamente impedito il recupero dei corpi dei martiri per otto giorni consecutivi, è un’ulteriore prova della politica sistematica seguita dall’occupazione per prendere di mira le squadre mediche e umanitarie, in flagrante violazione di tutti gli standard e le convenzioni internazionali, comprese le Convenzioni di Ginevra che garantiscono la piena protezione degli operatori umanitari e sanitari”, è un crimine dovuto non a “una sparatoria casuale ma un'esecuzione deliberata decisa dall'esercito israeliano” e che vede corresponsabili i paesi occidentali che coprono i sionisti. E chiudeva affermando che “questi barbari massacri non annulleranno il diritto del nostro popolo palestinese alla vita, alla libertà e alla dignità e non dissuaderanno le nostre équipe mediche e umanitarie dal continuare a compiere il loro dovere di salvare gli innocenti”.
La situazione umanitaria nella Striscia è prossima al punto di non ritorno, “la gente è esausta, niente cibo, niente acqua, niente medicine, nessuna fornitura dall’inizio di marzo” denunciava il 27 marzo la portavoce dell’Unrwa, che ribadiva la richiesta del “rinnovo del cessate il fuoco, il rilascio immediato di tutti gli ostaggi e un accesso senza ostacoli agli aiuti umanitari”. “Il mondo è distratto, segue altre crisi internazionali, ma qui a Gaza stiamo vivendo il momento più duro di questi 18 mesi di bombardamenti e stragi, manca tutto e il blocco israeliano totale, iniziato il 2 marzo, sta portando alla disperazione un’intera popolazione”, dichiarava un portavoce di Pingo, il coordinamento delle Ong di Gaza. Queste denunce confermavano una situazione sempre più critica per la popolazione palestinese che era all'origine delle manifestazioni che hanno avuto eco sui media imperialisti, ma rivendute soprattutto come proteste contro Hamas, perché finora la propaganda nazisionista viaggia sulla falsa equazione “palestinesi uguale Hamas e uguale terroristi” per giustificare il genocidio.
Le proteste con alcune centinaia di manfestanti erano partite il 25 marzo a Beit Lahiya, nel nord della Striscia, dove i nazisionisti avevano nuovamente ordinato alla popolazione di evacuare e dirigersi a sud e si sono nei due giorni successivi estese ad altre località nel centro e nel sud con la richiesta anzitutto della fine della guerra, per protestare contro i governi occidentali e arabi che non muovono un dito per fermare la distruzione di Gaza, e in alcuni casi per chiedere a Hamas di dimettersi e lasciare i negoziati di cessate il fuoco all’Autorità Palestinesedi Abu Mazen e ad altri stati arabi.
In una dichiarazione alla CNN, l’Ufficio stampa del Governo di Gaza sosteneva che gli slogan nelle proteste di questa settimana contro Hamas erano “spontanei” ma che rappresentano solo una parte delle posizioni e non certo “la posizione nazionale generale”. In ogni caso ribadiva che i cittadini di Gaza hanno il “legittimo diritto” di protestare, cosa che è “una parte essenziale dei valori nazionali in cui crediamo e che difendiamo”. Tuttavia notava che le proteste sono il risultato della “pressione senza precedenti che la nostra gente sta vivendo e dei continui tentativi dell’occupazione di incitare a conflitti interni e di distogliere l’attenzione dai suoi continui crimini”.
La posizione di Hamas era ribadita il 30 marzo con un comunicato in occasione della festività dell'Eid al-Fitr che chiude il periodo della festa religiosa del Ramadan.nel quale il movimento di resistenza islamica invitava la nazione araba e islamica a raddoppiare gli sforzi per sostenere il popolo palestinese nella Striscia di Gaza e esortava i palestinesi a rafforzare le relazioni di mutuo aiuto. Hamas elogiava la resilienza del popolo palestinese che non si è piegato all’assedio impostogli, ai massacri, alla fame e alla distruzione delle case e dell’intera infrastruttura delle sue città, in un momento in cui la comunità internazionale sta solo a guardare e non osa intervenire. Nel chiedere alla nazione araba e musulmana di sostenere la Striscia di Gaza, invitava a continuare le manifestazioni popolari per fermare l’aggressione israeliana e porre fine al blocco sionista. Infine rinnovava la sua determinazione a mantenere la via della resistenza fino alla liberazione e alla fondazione dello Stato palestinese indipendente con al-Quds come capitale.

2 aprile 2025