Lo certifica il Rapporto sui salari dell'Ilo
Salari sempre più giù in Italia
Dal 2008 perso l'8,7% del potere di acquisto. L'Italia sui redditi è la peggiore dei G20. Il salario delle lavoratrici è il 9,3% inferiore a quello dei lavoratori. I migranti guadagnano in media il 26,3% in meno

A causa del caro energia, dei livelli record di inflazione sui beni di prima necessità e dell'aumento vertiginoso delle spese per la casa, in particolare per quanto riguarda i mutui e gli affitti e della precarizzazione del lavoro; dal 2008 al 2024 il potere di acquisto dei salari ha subito un perdita secca pari all'8,7% e l'Italia figura in fondo alla classifica con salari reali addirittura inferiori a quelli del 2008.
A certificarlo è l’OIL (Organizzazione internazionale del lavoro) che il 24 marzo ha presentato a Roma il “Rapporto mondiale sui salari” secondo cui: “Questi dati mostrano che in Italia i salari reali sono diminuiti nel 2022 e 2023, tornando a crescere solo nel 2024. Come nella maggior parte degli altri paesi, l’aumento registrato nell’ultimo anno non è stato tuttavia sufficiente a compensare le perdite subite durante il periodo di alta inflazione. Inoltre, a differenza della maggior parte dei paesi del G20, l'Italia si distingue per una dinamica salariale negativa nel lungo periodo, con salari reali inferiori a quelli del 2008”.
Il Rapporto OIL viene pubblicato con cadenza biennale e si inserisce nel quadro dell’Agenda 2030 per lo Sviluppo Sostenibile (Obiettivo 10) delle Nazioni Unite che mira a ridurre le disuguaglianze sia all’interno dei singoli paesi che a livello globale.
L’edizione 2024-25 del Rapporto analizza le tendenze dei salari a livello globale, regionale e nazionale, aggiornando i dati sugli andamenti salariali negli anni 2023 e 2024 (Parte I); esaminando la situazione delle disuguaglianze salariali a livello globale, regionale e nazionale, così come l’evoluzione delle disuguaglianze salariali durante il primo quarto del XXI secolo (Parte II); e proponendo una serie di implicazioni riguardo l’adozione di politiche mirate ed efficaci per ridurre le disuguaglianze (Parte III).
A soffrire di più nell’ultimo triennio, si legge nel Rapporto, sono i lavoratori a basso reddito. Quelli su cui l’inflazione colpisce duro, perché il 60% dei loro introiti viene speso in alimentari, affitti e bollette. “Le politiche non sono sufficienti a compensare l’aumento del costo della vita” per questa fascia di popolazione, osserva l’agenzia dell’Onu. Anche perché l’Italia non ha neppure il salario minimo a proteggere il lavoro povero. “Adeguare i salari solo sull’indice generale dei prezzi non basta per loro”, visto che “da marzo a novembre del 2022 i prezzi degli alimentari erano schizzati del 13,6%” e quelli relativi agli alloggi trainati dalle bollette ancora di più che negli altri Paesi Ue.
Il Rapporto infatti mette in evidenza che nel 2022 e nel 2023, soprattutto a causa della fortissima inflazione, i salari reali (cioè l'aumento della parte del salario che permette di acquistare beni e servizi al netto dell’inflazione) sono scesi rispettivamente del 3,3% e del 3,2%.
Nel 2024 invece c'è stata un'inversione, sottolinea ancora L'OIL, e in Italia si è registrata una crescita salariale del 2,3%, superiore alla media dei Paesi G20.
Un dato all'apparenza positivo, estrapolato ad arte dal drammatico contesto economico a cui si riferisce, e presentato dal governo neofascista Meloni addirittura come: “Un successo. È la dimostrazione che la strada è giusta. Meno tasse sul lavoro, più soldi nelle buste paga e attenzione alle fasce più colpite dal caro vita”.
In realtà, come spiega la stessa OIL, la crescita salariale del 2,3% registrata in Italia nel corso del 2024 non è bastata a compensare nemmeno il calo dei precedenti due anni, e quindi tanto meno quello accumulato dal 2008 in poi. La conferma tra l'altro si trova nei dati Istat, in particolare quelli sulle retribuzioni contrattuali orarie del 2024, da cui si evince che “la crescita è dovuta a un maggiore numero di contratti nazionali rinnovati e a un contestuale rallentamento dell’inflazione”.
Ciò significa che il lieve aumento salariale registrato l'anno scorso non solo non ha permesso il recupero del potere di acquisto perduto, ma dimostra anche che il tanto sbandierato “Aumento del tasso di occupazione registrato in due anni sotto il governo Meloni” ha inciso in maniera marginale sui salari e che la stragrande maggioranza dei lavoratori italiani continua ad essere povero, mal pagato e supersfruttato.
La seconda parte del Rapporto si focalizza sulle disuguaglianze salariali rispetto al lavoro dipendente in Italia e nel modo con particolare riferimento alle fasce che raggruppano i salari alti e quelli bassi (disuguaglianze verticali) e i divari di genere e tra lavoratori nazionali e migranti.
Secondo l'OIL nel corso degli ultimi 25 anni il progresso sul fronte delle disuguaglianze salariali in Italia è stato “modesto”. A fronte di una riduzione media di appena lo 0,05% all’anno, dai dati risulta che nella fasce a più bassa retribuzione le disuguaglianze sono aumentate dello 0,1%. Mentre a livello mondiale si registra una riduzione media dell'’1,7% annuo.

A pagarne le conseguenze sono le donne e i lavoratori stranieri.
Il divario di genere in Italia è del 9,3%. Questo dato significa che, in media, una donna per un'ora di lavoro in Italia viene pagata il 9,3% in meno di un uomo. Il gap potrebbe essere più basso se uomini e donne lavorassero la stessa quantità di ore, ma così non è, sottolinea l'OIL perché: “le lavoratrici sono spinte a fare più uso dei congedi familiari, o al lavoro part time involontario” come peraltro ha segnalato poche settimane fa l'Inps che infatti calcola una distanza retributiva ben maggiore tra uomini e donne stimata intorno al 20% se si paragonano le paghe mensili e non quelle orarie. Le donne sono pagate di meno per ogni ora, e in più lavorano meno ore, quindi di fatto le loro entrate sono molto più basse. Un altro dato drammatico riguarda i lavoratori migranti: in media guadagnano il 26,3% in meno dei lavoratori italiani. Anche in questo caso, si parla di paga oraria. Un dato in peggioramento rispetto al 2006, quando era al 21,6%. Per le donne migranti la situazione è la peggiore: la differenza è del 10,3% rispetto agli uomini migranti.
Il gap salariale, osserva ancora l’Oil, riguarda soprattutto le disuguaglianze verticali dove le differenze fra i salari dei lavoratori e le retribuzioni dei dirigenti e dei quadri intermedi sono molto più evidenti tanto è vero che secondo l'OIL l'1% dei percettori dei salari più ricchi è l’unica fascia a non aver perso potere d’acquisto nell’ultimo triennio.
«Governo e imprese sono oggi direttamente responsabili della crisi salariale – ha sostenuto l’Unione Sindacale di Base (Usb) in occasione dello sciopero generale unitario dei metalmeccanici del 28 marzo – Bisogna modificare il meccanismo abominevole e complice creato dal sistema introdotto alla fine del 2008, quando fu stipulato un accordo fra Confindustria e Cgil, Cisl e Uil che è diventato la base di rinnovo di tutti i contratti nazionali in Italia”.

2 aprile 2025