81 anni dal 7 aprile 1944 quando si consumò la più grande strage di partigiani della storia, sull’Appennino non lontano da Genova
L’eccidio della Benedicta, simbolo del sacrificio della Resistenza e della ferocia nazifascista
Dal corrispondente di Genova de “Il Bolscevico”
C’è una data, soprattutto c’è una località, per ogni antifascista Ligure e del basso Piemonte, che rievocata fa volare la memoria, e il pensiero, tra i boschi dell’Appennino Ligure, tra i castagneti, tra i rovi del sottobosco. In un ambiente, che il peso di quell’eccidio di partigiani compiuto, riesce a imporre un silenzio che si fa irreale a chiunque si sofferma, a chiunque scende nello slargo sterrato che ospita il memoriale, per rinnovare il proprio ricordare.
Era il 7 aprile del 1944. Ingenti forze armate naziste, affiancate dai loro servi e fedeli fascisti della Guardia nazionale repubblicana, circondavano l’Abbazia della Benedicta, in località Capanne di Marcarolo (comune di Bosio, provincia di Alessandria), e attaccavano il campo in cui si erano radunati oltre 700 partigiani della 3ª Brigata Garibaldi Ligure. I partigiani armati di semplici fucili da caccia e qualche pistola ma anche sorpresi dall’azione di accerchiamento, diedero comunque battaglia. E la battaglia fu cruenta. 72 partigiani caddero in combattimento, e altri 75 furono fucilati sommariamente sul posto. L’antico edificio della Benedicta, sorto come convento benedettino, e diventato base operativa partigiana, venne minato e distrutto la sera dello stesso 7 aprile e i corpi dei partigiani caduti vennero sepolti in due fosse comuni. Tra le grinfie dei nazifascisti rimasero altri 190 partigiani che furono in seguito deportati nel campo di concentramento di Mauthausen e nei suoi sottocampi di Linz, Melk e Gusen. Solo 35 partigiani, a fine conflitto armato, fecero ritorno a casa.
Il rastrellamento, l’eccidio della Benedicta, la più grande strage di partigiani della storia della Resistenza italiana, che nelle intenzioni dei nazisti e dei fascisti avrebbe dovuto fare terra bruciata attorno al movimento della Resistenza, ottenne l’effetto contrario. Non piegò assolutamente lo spirito antifascista della popolazione, anzi proprio dal dolore, dalla rabbia e da quella sconfitta il movimento partigiano, facendo oro degli evidenti errori compiuti in quel frangente, riuscì a riprendere con ancora più forza, con ancora più vigore le proprie attività: la Divisione Mingo, operativa nell’ovadese, ebbe tra i suoi promotori proprio alcuni degli scampati, perché riusciti a sottrarsi all’arresto, dell’eccidio della Benedicta.
Per ogni ligure, per ogni piemontese, per ogni antifascista italiano, la strage della Benedicta è diventata simbolo del sacrificio della Resistenza e della ferocia della repressione fascista e nazista. Oggi il sito, aperto a chiunque si accosti per semplicemente scorrere, sulle lastre di marmo, i nomi dei caduti, ospita un memoriale in cui ogni anno, in occasione del 7 aprile, si tengono cerimonie per ricordare e per trasmettere la memoria alle nuove generazioni, ma pure per riattivarla a tutti quanti.
Il terreno che ospita le lapidi, con incisi i nomi di tutti i partigiani trucidati, è cosparso di ghiaia. A camminarci sopra il pietrisco geme, scricchiola, come respira. Quando ci si avanza sopra il passo vuole essere lento, lieve. Per rispetto, per indugiare su quel periodo, e perché si ha come l’impressione che lo sguardo di quei centoquaranta partigiani caduti, nella battaglia o fucilati, scruti nell’intimo di chi passa, di chi sosta in contemplazione, per scuotere le coscienze come se, dando la vita, il compito dei partigiani non si sia ancora concluso.
Che l’esempio eroico della Resistenza conservi le sue peculiarità e che continui a ispirare e formare nuove e sempre più belle generazioni di antifascisti.
9 aprile 2025