Tutti contro tutti
L'Artico conteso dai paesi imperialisti
Anche l'Italia nella partita
L’Artico, o Polo Nord che dir si voglia, è tornato alla ribalta mondiale con l’elezione alla Casa Bianca del dittatore fascista Trump, che ha chiarito fin da subito di volersi concentrare sui contesti reputati esistenziali al mantenimento dell’egemonia e alla sicurezza interna dell’imperialismo americano, ossia dominare e preservare il controllo sulle rotte marittime globali. Da qui nasce la rilevanza della rotta artica che nei voleri di Washington dovrebbe diventare la nuova frontiera americana. Il progressivo scioglimento della calotta polare avvicina pericolosamente la Cina e la Russia ai confini settentrionali del Nord America. Prospettiva inaccettabile per l’imperialismo americano, che da quasi un secolo esercita un’influenza decisiva sul centro nevralgico dell’Artico, la Groenlandia.
Alla fondamentale posizione geografica di queste terre va aggiunto il valore in termini di risorse minerarie e energetiche, dal petrolio all’oro, passando per i minerali utili per alimentare la corsa all’intelligenza artificiale, di cui il suolo groenlandese deterrebbe circa il 20% delle riserve globali, altro dossier tatticamente rilevante nel confronto con il socialimperialismo cinese e su cui insisterà nel prossimo futuro la competizione tra le due superpotenze per il dominio del mondo.
Conteso tra NATO e Unione Sovietica nella Guerra Fredda, l’Artico ha vissuto una stagione di pace con il crollo del Muro di Berlino. Fino a oggi quando è tornato nelle mire di Stati Uniti e Russia. Ma anche Cina, Regno Unito, Francia, e Italia vantano nel territorio i loro interessi.
Gli Usa e l’Artico
Il sogno americano di acquistare la Groenlandia ha radici lontane. Nel 1867, dopo aver concluso l’acquisto dell’Alaska dalla Russia zarista, gli Stati Uniti avviarono tramite il segretario di Stato William H. Seward una trattativa con la Danimarca per rilevare la sua colonia artica. L’accordo non ebbe seguito, ma la posizione geografica del possedimento danese continuò ad ossessionare la futura superpotenza imperialista. La Groenlandia è la più grande isola non continentale del pianeta e oltre a essere la porta d’accesso al Nord America, nonché la sua prima linea di difesa settentrionale, rappresenta storicamente un formidabile avamposto di collegamento tra Europa e America.
Nel 1940 l’occupazione nazista della Danimarca suscitò le immediate preoccupazioni degli USA. Inclusa nell’area protetta dalla cosiddetta dottrina Monroe, la Groenlandia fu prontamente rifornita per evitare che finisse sotto il controllo della Germania. Il 9 aprile del 1941 furono concesse le prime basi militari agli Stati Uniti e l’isola artica divenne collegamento fondamentale tra Washington e il Regno Unito.
Con la fine della seconda guerra mondiale, il presidente Harry Truman propose nuovamente di acquistare l’isola dal Regno di Danimarca, offrendo a Copenaghen cento milioni di dollari in lingotti d’oro, offerta rispedita al mittente. In compenso fu siglato un nuovo accordo di cooperazione tra Danimarca e Stati Uniti in funzione antisovietica. A partire dal 1951 furono allestite le tre principali basi statunitensi sull’isola: Narssarsuaq e Sondrestrom, eredità della guerra, e Thule. Le installazioni militari nacquero con lo scopo di monitorare l’Artico russo e assicurare un’adeguata deterrenza missilistica, ma la dissoluzione dell’Unione Sovietica e i decenni unipolari comportarono un parziale ridimensionamento della presenza statunitense nell’isola.
La Groenlandia, nel frattempo, vide ampliare notevolmente i propri margini di autonomia dall’ex potenza colonizzatrice. Nel 1979 la capitale Godthab fu riniminata Nuuk (dal termine inuit, che significa “capo”). Successivamente il referendum del 2008 sancì una forma di auto-governo groenlandese a partire dal 2009, a dimostrazione di un crescente sentimento indipendentista.
Respinta nuovamente al mittente un’offerta di acquisto durante la prima presidenza Trump nel 2019, gli USA stanno spingendo sulla Danimarca, per ora senza successo, per accrescere la propria influenza sull’isola a scapito delle ingerenze russe e cinesi.
Dal punto di vista militare Washington tramite la NATO ha intensificato i rapporti con la Norvegia. Durante la Guerra Fredda USA e Alleanza atlantica hanno sempre affidato alla Norvegia il compito di “custode dell’Artico”: una missione che Oslo ha ritenuto vitale dopo la scoperta dei giacimenti di idrocarburi nei mari più settentrionali. Con l’adesione al Patto Atlantico di Stoccolma e Helsinki si è formato un nuovo schieramento, affiatato e determinato, che dispone della maggiore esperienza e dei migliori equipaggiamenti per condurre attività belliche in ambiente artico: si tratta di situazioni in cui è il fattore umano a fare la differenza, perché i soldati devono sapere resistere a temperature e venti infernali. Non a caso gli americani si sono appoggiati a loro per tentare di recuperare una capacità artica: a febbraio c’è stata tra Norvegia e Finlandia l’esercitazione Arctic Forge in cui 330 soldati statunitensi si sono addestrati insieme a 750 scandinavi.
Il vantaggio storico della Russia
Se gli USA e la Cina si autoproclamano “potenze artiche” anche la Russia ha incrementato la sua presenza militare nella regione, rinforzando quella che è ritenuta dal Cremlino la prima linea di contenimento settentrionale in Siberia, schierando sistemi di Difesa aerea Bastion-P e Pantsir-S1 nell’isola di Kotelny e a Novaja Zemlya, con l’obiettivo di trasformare l’Artico in un “lago russo” e in una zona economica e commerciale a uso esclusivo di Mosca.
Qui il nuovo zar del Cremlino Putin, ripercorrendo i fasti del socialimperialismo sovietico da Breznev in poi, ha fatto costruire nuove infrastrutture e creato reparti specializzati, apparendo subito in vantaggio sui competitor. La rete di presidio intorno al circolo polare è arrivata a contare 13 aeroporti militari, 10 stazioni radar, 20 distaccamenti delle guardie di frontiera, che dipendono dal servizio segreto FSB, 10 basi “dormienti” pronte a ospitare contingenti di spetsnaz. Putin ha altresì ordinato un programma navale per varare 13 grandi rompighiaccio, alcune con propulsione nucleare, in aggiunta alle 40 esistenti.
Il 27 marzo al sesto Forum Internazionale Artico di Murmansk, il presidente russo ha affermato senza mezzi termini che “La Russia è la più grande potenza artica” e che gli Stati Uniti “hanno piani seri riguardanti la Groenlandia. Questi piani hanno radici storiche da tempo, ed è ovvio che continueranno a perseguire i loro interessi geo-strategici, militari-politici ed economici nell’Artico. Per quanto riguarda la Groenlandia, siamo preoccupati per il fatto che i paesi della NATO la possano utilizzare come un trampolino di lancio per possibili conflitti, utilizzando le loro ‘nuove reclute’ Finlandia e Svezia”. La regione dell’Artico, ha continuato Putin, “rappresenta oltre un quarto del territorio della Federazione Russa. Due milioni e mezzo di cittadini russi vivono e lavorano qui, rendendo un significativo contributo al progresso della nazione. Le stime attuali indicano che l’Artico genera il 7% del prodotto interno lordo della Russia e circa L’11% delle nostre esportazioni. Allo stesso tempo, vediamo un enorme potenziale per l’ulteriore sviluppo globale della regione. Una priorità fondamentale è rafforzare il quadro logistico e di trasporto dell’Artico”.
Negli ultimi dieci anni, - ha proseguito il nuovo zar del Cremlino - “il traffico merci lungo la rotta del Mare del Nord – che va dallo Stretto di Kara Gates allo Stretto di Bering – è notevolmente aumentato. Nel 2014 solo quattro milioni di tonnellate di merci sono state trasportate attraverso questo corridoio. Nell’ultimo anno, quella cifra era salita a quasi 38 milioni di tonnellate, cinque volte il record dell’era sovietica. Prevediamo, con fiducia, che i volumi raggiungeranno 70-100 milioni di tonnellate entro il 2030. Eppure i nostri piani – in termini di volumi di carico, portata geografica ed espansione della flotta artica – sono molto più ambiziosi. La rotta del Mare del Nord è pronta a diventare un segmento fondamentale del corridoio Transartico di trasporto, che si estende da San Pietroburgo attraverso Murmansk fino a Vladivostok. Questo corridoio è progettato per collegare i centri industriali, agricoli ed energetici globali con i mercati dei consumatori. Attraverso un percorso più breve, più sicuro ed economicamente più vantaggioso”. Insomma “Faremo di tutto per consolidare la leadership della Russia nell’Artico, nonostante tutte le sfide e i travagli che stiamo affrontando oggi”.
L’ingresso della Cina nella competizione
La posizione dell’Artico e della Groenlandia in particolare, nonché le sue risorse, hanno attirato l’interesse della Cina. Presente non a caso alle celebrazioni per l’autonomia dell’isola nel 2009, tra il 2012 e il 2017 Pechino ha investito circa due miliardi di euro in Groenlandia, contribuendo all’11,8% del suo Pil. Al netto della propaganda abilmente intessuta intorno alla lotta al cambiamento climatico, la Cina guarda con interesse allo scioglimento dei ghiacci, al disvelamento del tesoro minerario artico e groenlandese, nonché all’auspicata apertura di una rotta marittima polare, podromo a una “via della seta artica” e alla corsa alle immense risorse nascoste dal ghiaccio in ritirata.
Un interesse quello cinese manifestatosi in tutta la sua portata nel 2018, con la pubblicazione di un documento governativo per delineare la sua politica artica volta a “utilizzare le risorse artiche in modo legale e razionale”. Nel testo si leggeva che “la Cina è un importante stakeholder (parte interessata, ndr) negli affari artici” e che è “uno degli Stati continentali più vicini al Circolo Polare Artico”.
Pur non affacciata sull’Artico, negli ultimi anni Pechino ha ottenuto da Mosca importanti concessioni, nel solco dell”amicizia senza limiti” tra i nazizaristi e i socialimperialisti. Nel pratico la cooperazione tra Cina e Russia ha preso avvio nello Yamal, dove la russa Rusitan e la cinese China Communications and Construction Company hanno firmato un accordo di partenariato per lo sviluppo di un progetto di estrazione di materiali che serviranno, fra le altre cose, per costruire un nuovo gasdotto. Tale progetto risulta avere massima importanza strategica per la Russia, dal momento che da qui partirà il gasdotto che, passando per la Mongolia, giungerà sino alla Cina, colmando il crollo delle esportazioni verso l’Europa dovuto alla guerra di aggressione nazizarista all’Ucraina.
Pechino con la sua Via della Seta Polare intende garantirsi una fornitura stabile di gas naturale liquefatto, oltre che una rotta marittima alternativa rispetto a quelle fin qui tradizionalmente utilizzate, che consentirebbe alla Cina di bypassare un eventuale blocco da parte degli Stati Uniti, in uno scenario di guerra per niente remoto, nel punto di strozzatura dello Stretto di Malacca, dal quale ogni anno transitano circa 100mila navi e tra il 30 e 40% del commercio globale.
La Cina ha una proiezione militare limitata verso il Polo: guarda al commercio marittimo e ha più interessi a sfruttare le rotte marittime rese possibili dallo scioglimento della calotta. Dal 2022 le sue iniziative sono diventate simbiotiche con quelle russe: non è un caso se uno degli episodi di sabotaggio più gravi nel Baltico - la distruzione del gasdotto Balticonnector - sia stato realizzato da un mercantile rompighiaccio - la Newnew Polar Bear - che faceva la spola tra San Pietroburgo e la Cina passando da Nord.
Francia e Regno Unito
Anche Francia e Regno Unito guardano con interesse all’Artico. A metà marzo un quadrimotore Airbus A400 dell’aviazione francese è atterrato sul ghiaccio nel profondo nord del Canada e sbarcato una squadra di incursori: sono state le prove tecniche della capacità di intervento dei soldati di Parigi in questo “deserto bianco” con temperature di trenta gradi sottozero.
Sin dall’epoca di De Gaulle, la strategia francese ha sempre tenuto Artico e Antartide nel mirino. Un tema molto caro al presidente Macron che vuole realizzare un battello per ricerche polari e investire 11 miliardi da qui al 2030 per studi e stazioni scientifiche nell’Artico. Non solo. Fregate, unità di chasseurs alpini e squadriglie di intercettori vengono istruite a operare in condizioni glaciali.
Le piattaforme petrolifere britanniche sono proiettate verso la Norvegia e Londra ha sempre avuto una forte attenzione alla regione polare. Anche per effetto della Brexit, nel 2018 è stata tra i primi a intensificare la formazione di unità speciali, consolidando la collaborazione con Oslo: i Royal Marines sono stati delegati a questa missione, già svolta nei fiordi scandinavi durante la Seconda Guerra Mondiale per sabotare le basi naziste.
Gli interessi dell’Italia
Alla Conferenza internazionale sull’Artico svoltasi a Roma il 31 marzo e 1° aprile che ha riunito esperti, accademici e rappresentanti istituzionali per discutere il ruolo sempre più centrale dell’Artico nelle dinamiche geopolitiche ed economiche globali, il ministro degli Esteri Antonio Tajani, dopo aver evidenziato l’importanza strategica dell’Artico per la sicurezza della NATO, per la disponibilità di risorse naturali e per l’apertura di nuove rotte marittime, ha affermato: “Vogliamo che l’Italia sia sempre più presente nell’Artico anche per cogliere le opportunità che si aprono per le nostre imprese in settori dall’elevato potenziale, come le infrastrutture, l’energia, la difesa, l’economia blu e la logistica, fino allo spazio e alla connettività”.
L’Italia ha altresì una robusta tradizione militare artica. Negli anni Settanta i piani NATO prevedevano che gli alpini della Taurinense venissero rischierati in Norvegia, a supporto del minuscolo esercito locale, e per questo le “penne nere” hanno sempre mantenuto equipaggiamenti speciali. Dopo il 2020 questa vocazione è stata rivalorizzata, sempre sotto il comando della Taurinense: lo scorso anno un contingente di 400 soldati si è addestrato nell’area di Maze, la più a nord in assoluto dove hanno operato militari italiani, mettendo sul campo ogni tipo di supporto tecnico logistico. Poco più a sud, la task force della portaerei Garibaldi ha messo a terra 150 fanti di Marina del San Marco. Poche settimane fa c’è stata un’esercitazione sulle Dolomiti a duemila metri di quota: 1.300 militari si sono confrontati con uno “scenario artico” e hanno testato tutti i mezzi in un’attività a meno venti gradi, dai droni ai disturbi elettromagnetici fino alle trasmissioni via satellite, visto che al Polo la curvatura terrestre rende le comunicazioni molto difficili.
9 aprile 2025