Decreto “Sicurezza”, il manganello di Mussolini in gonnella Meloni
Irrisorie correzioni al testo del ddl 1236 (ex 1660) per coprire l'avallo di Mattarella allo Stato di polizia. Denunce da parte di giuristi, magistrati e avvocati penalisti
Il decreto “Sicurezza” non deve passare

L'11 aprile, con la firma di Mattarella, è entrato in vigore il decreto legge “Sicurezza”, ovvero il famigerato disegno di legge ex 1660 che istituisce lo Stato di polizia come ai tempi di Mussolini, varato il 16 novembre 2023 e già approvato in prima lettura alla Camera il 18 settembre 2024 (ma ancora in attesa di essere discusso in aula al Senato col n. 1236), che il Consiglio dei ministri del 4 aprile, presieduto dalla neofascista Meloni, ha trasformato nel decreto legge n.48/2025 per saltare il confronto parlamentare e renderlo immediatamente operativo.
Si tratta quindi di un vero e proprio golpe istituzionale, col quale il governo cambia per decreto il Codice penale, inventando ben 14 nuovi reati e svariate aggravanti di pena, che vanno a ledere diritti fondamentali e garanzie costituzionali, senza nemmeno sottoporli al giudizio del parlamento, giacché è chiaro che in soli 60 giorni non ci sarà neanche il tempo di esaminarli, ed è comunque scontato che il decreto sarà convertito in legge col voto di fiducia, come questo governo neofascista fa regolarmente.
Il pretesto per il golpe sono stati i rischi di incostituzionalità rilevati da Mattarella su 6 dei 38 articoli del ddl 1236, che avrebbero richiesto una sua modifica e quindi il ritorno alla Camera, allungando ulteriormente l'approvazione definitiva, mentre Salvini insisteva perché il provvedimento fosse approvato subito senza modifiche dal Senato. Sicché la neofascista Meloni ha potuto coprirsi dietro il rispetto dei rilievi del Quirinale per trasformarlo in decreto legge con le necessarie modifiche, saltando sia la difficile discussione del ddl in aula al Senato, dove l'attendevano migliaia di emendamenti dell'opposizione, sia la necessità della terza lettura alla Camera. E al tempo stesso per dare scacco al movimento di lotta che sta crescendo nelle piazze e alle forti critiche che stanno piovendo da giuristi e costituzionalisti, e perfino da autorevoli istituzioni internazionali, tra cui l'Ocse, il Consiglio d'Europa e sei relatori speciali dell'Onu per i diritti umani.
“Volevamo dare tempi certi a provvedimenti per noi molto importanti e in parlamento, con la terza lettura, i tempi del ddl Sicurezza si sarebbero prolungati troppo”, ha detto il ministro dell'Interno Piantedosi giustificando con questa risibile scusa il golpe dell'esecutivo contro il parlamento. La stessa scusa con cui, la ducessa Meloni, negava che si trattasse di un colpo di mano, bensì di norme “necessarie che non possiamo più rinviare per rispettare gli impegni presi con i cittadini e con chi ogni giorno è chiamato a difendere la nostra sicurezza”. Mentre il caporione fascista e razzista Salvini, gongolante per aver fatto in tempo ad esibire il decreto come un trofeo al congresso della Lega a Firenze, postava su Instagram: “Più poteri e tutele a donne e uomini delle forze dell’ordine, norma anti-Salis per sgomberare più rapidamente le case occupate, borseggiatrici in carcere anche se sono in gravidanza. Sono solo alcune delle misure fortemente volute dalla Lega e inserite nel decreto Sicurezza appena approvato dal Consiglio dei ministri. Un’altra promessa mantenuta”!

Detenute madri in carcere e più tutele ai poliziotti
D'altra parte le sei modifiche richieste da Mattarella sono veramente minime, e hanno richiesto al governo neofascista solo qualche ritocco formale che non cambia la sostanza fascista degli articoli su cui intervengono. La prima riguarda l'articolo 15, che cancella l'obbligo di differimento, rendendolo facoltativo per il giudice, della carcerazione per le donne incinte o con figli minori di un anno. Una norma razzista pensata chiaramente per punire le donne rom. Mattarella ha voluto che si specificasse che la detenzione deve avvenire “esclusivamente presso un istituto di custodia attenuata per detenute madri” (Icam). Peccato però che ce ne siano solo 4 in Italia, di cui uno solo al Sud, per cui in molti casi la detenuta dovrà scegliere se allontanarsi parecchio dai familiari o preferire il carcere.
La seconda modifica riguarda l'articolo 19 che aumenta le pene in caso di violenza, minaccia e resistenza ad un pubblico ufficiale, agente di polizia giudiziaria o pubblica sicurezza (pene da 6 mesi a 5 anni). Nel ddl 1236 era prevista anche la non concessione delle attenuanti, norma cassata perché giudicata dal Quirinale fonte di disparità di diritti tra imputati. Nel vecchio testo era previsto l'aumento di pena anche in caso di violenza, minaccia o resistenza durante manifestazioni contro le grandi opere. Il Quirinale, con la terza modifica, volendo evitare la vergogna di un reato specifico contro le lotte popolari in difesa dei territori e dell'ambiente, ha chiesto che lo si camuffasse sotto la dicitura di “infrastrutture destinate all'erogazione di energia, di servizi di trasporto, di telecomunicazioni o di altri servizi pubblici”. Il che è forse anche peggio, perché le comprende tutte, grandi e piccole. In compenso gli aumenti di pena erano di un terzo nel ddl, mentre nel decreto salgono alla metà (quindi si va da 9 mesi a 7 anni e mezzo).
Ad ogni modo le norme a tutela delle forze repressive dello Stato, polizia, carabinieri, guardia di finanza e polizia penitenziaria, non sono solo queste. C'è anche l'estensione del reato di lesioni personali ad agenti e ufficiali in tutti i casi di manifestazioni pubbliche, che finora era ristretto alle manifestazioni sportive, con pene che variano da 2 a 5 anni (lesioni), da 4 a 10 (gravi) e da 8 a 16 (gravissime); e c'è anche l’arresto in flagranza differita in occasione di manifestazioni in luogo pubblico o aperto al pubblico. A questo scopo gli agenti saranno dotati di videocamere bodycam per individuare i cosiddetti violenti, ma anche per costruire un enorme schedario illegale di partecipanti alle manifestazioni politiche. Ovviamente non è stata presa minimamente in considerazione la richiesta, portata avanti da anni dalle associazioni per i diritti umani e civili, di un codice identificativo per i poliziotti in servizio di ordine pubblico.

Agenti sceriffi, rivolte carcerarie, agenti segreti
C'è inoltre la possibilità per gli agenti di portare armi private senza licenza fuori dall'orario di servizio; e c'è la tutela legale fino a 10 mila euro pagati dallo Stato, per gli agenti sotto procedimento e i loro familiari, oltre quella gratuita d'ufficio, per pagarsi un avvocato privato. Al governo non è riuscito di inserire nel decreto anche il progettato “scudo penale”, per evitare agli agenti di essere iscritti nel registro degli indagati dalla magistratura in casi come quello dell'assassinio di Ramy e decine di altri precedenti, ma il ministro della Giustizia Nordio ha fatto sapere che lo metterà a punto “subito dopo la separazione delle carriere”.
Anche gli articoli 26 e 27, con i nuovi reati che puniscono rispettivamente le rivolte nelle carceri e nei centri di detenzione dei migranti, anche se condotte in forma pacifica e finanche di resistenza passiva, con pene che vanno da 1 a 5 anni per i partecipanti e da 2 a 8 anni per i promotori, rientrano in questa stessa logica. Qui interviene la quarta correzione chiesta dal Quirinale, più ridicolmente formale che mai, in quanto si limita a specificare che “la violenza o minaccia o resistenza all'esecuzione degli ordini impartiti” scatta se questi ultimi sono finalizzati al “mantenimento dell'ordine e della sicurezza”, definizione talmente generica da poter essere sempre invocata in ogni circostanza.
Altrettanto ipocrita è la quinta correzione, che riguarda la norma razzista dell'articolo 32 che obbligava i gestori di servizi telefonici a fornire le Sim solo ai migranti provvisti di permesso di soggiorno. Ora al permesso di soggiorno sono stati aggiunti anche passaporto o documento di riconoscimento validi. Ciò che comunque esclude, come si sa, un gran numero di migranti irregolari che sono solitamente sprovvisti di tali documenti.
La sesta e ultima modifica riguarda l'articolo 31, con la cancellazione dell'obbligo per gli enti pubblici e università di collaborare coi servizi segreti per fornire informazioni personali, anche in violazione delle regole sulla privacy: una norma troppo accusata da magistrati, avvocati, giuristi e costituzionalisti di richiamare l'Ovra mussoliniana per essere accettata persino dal più che compiacente inquilino del Quirinale. Restano intatte però tutte le altre super immunità concesse agli spioni agli ordini del presidente del Consiglio, a cominciare dalla facoltà per gli infiltrati in organizzazioni criminali o terroristiche, finanche di organizzare e dirigere attentati senza esserne legalmente responsabili. Una cosa di una gravità inaudita, evidentemente “sfuggita” a Mattarella, ma non all'inascoltato Coordinamento delle Associazioni dei familiari delle stragi, che la denuncia come una “beffa” che “riporta pericolosamente alle condizioni di cui i servizi segreti hanno fatto in passato pessimo uso, come testimoniano i costanti depistaggi, se non vere complicità, che hanno accompagnato le vicende delle stragi che hanno insanguinato il nostro Paese”.

Un decreto fotocopia del ddl 1236
Ma a parte queste sei insignificanti correzioni ai succitati articoli, per il resto è tutto il ddl 1236 che è stato inserito con il copia e incolla in questo decreto, le cui norme penali, che vanno persino oltre il codice fascista Rocco, abbiamo spiegato dettagliatamente sul n. 36 del 17/10/2024. A cominciare dalla trasformazione da semplice illecito amministrativo a reato penale, punibile fino a 2 anni di reclusione, del blocco stradale e ferroviario (art. 14), anche solo in forma di resistenza passiva, utile per colpire anche gli scioperi e i picchetti operai. A cui si aggiungono il reato di danneggiamento in occasione di manifestazioni pubbliche, punibile fino a 5 anni e 15 mila euro di multa (art.12), e l'inasprimento del Daspo urbano, col divieto di accesso a stazioni, porti e aeroporti e “relative pertinenze”, anche solo sulla base di denunce o condanne non definitive riportate nei precedenti 5 anni.
Altrettanto integralmente vi sono stati ricopiati l'articolo 1, coi nuovi reati di detenzione o divulgazione di istruzioni atte a costruire ordigni con finalità di terrorismo (che equipara una potenziale intenzione di reato a un reato effettivamente commesso); l'articolo 10, che istituisce il nuovo reato di “occupazione arbitraria di immobili”, estendibile anche agli attivisti di movimenti contro gli sfratti come l'Unione inquilini, con pene da 2 a 7 anni di carcere, che nel caso di immobili di proprietà pubblica è perseguibile anche d'ufficio; L'articolo 18, che equipara penalmente la cannabis leggera alla cannabis stupefacente, perseguendone la produzione e commercializzazione finora consentite; l'articolo 24, che istituisce aggravi di pena fino ad un anno e sei mesi e 1.000 euro di multa per il danneggiamento e imbrattamento di beni mobili e immobili pubblici, se commesso al fine di “ledere l'onore, il prestigio o il decoro” delle istituzioni; e fino a 3 anni e 12.000 euro se recidivi.

Affossare il decreto “Sicurezza” con la lotta
Come ha potuto il capo dello Stato avallare con la sua firma l'imposizione per decreto dello Stato di polizia? Anche a prescindere dal principio che il codice penale, intervenendo sulle libertà fondamentali costituzionalmente garantite del cittadino non può essere materia di decreti-legge, dov'erano almeno i necessari “requisiti di necessità e urgenza”, visto che i delitti sono costantemente in calo da anni e che il provvedimento era in discussione da oltre un anno e mezzo in parlamento, come hanno rilevato anche insigni giuristi e docenti come Gian Luigi Gatta, Alessandra Algostino, Mauro Palma e la rivista Sistema penale?
Lo aveva denunciato il 5 aprile, prima che Mattarella la facesse diventare legge esecutiva senza possibilità reale di cambiarla, anche la Giunta dell'Unione Camere penali, con un comunicato in cui, nell'annunciare uno sciopero di protesta di tre giorni, dal 5 al 7 maggio, condannava “ancora una volta l’abuso della decretazione d’urgenza nella materia penale”. In particolare perché la stessa “viene attuata con riferimento ad una serie di norme, già da più parti sottoposte a severe critiche, mentre è in corso un’ampia e approfondita discussione davanti al Senato”.
Un giudizio, questo degli avvocati penalisti, stavolta perfettamente in linea con quello della maggioranza dei magistrati, come espresso dal segretario dell'Anm, Rocco Maruotti, che definiva “inquietante il messaggio del dl sicurezza, che sembra avere solo un duplice obiettivo: da un lato, creare nella collettività un problema che non esiste, non mi pare che ci sia alcun allarme sociale o alcuna questione emergenziale legata all’ordine pubblico; dall’altro, tentare di porre le basi per la repressione del dissenso”. Tutti appelli che Mattarella ha bellamente ignorato, così come la petizione con 100 mila firme ricordata da Michele Giuli, professore liceale ed esponente di Ultima generazione, durante il suo sciopero della fame prima davanti al Quirinale, blindato però dalla polizia, e poi davanti a Montecitorio, dal quale è stato allontanato dai carabinieri.
All'approvazione del decreto Sicurezza l'opposizione parlamentare ha reagito promettendo di dare battaglia: una “forzatura gravissima, sarà battaglia dura”, hanno detto Alessandra Maiorino e Ada Lopreiato del M5S. “Una mossa gravissima, significa che per mesi i parlamentari sono stati presi in giro dal governo. Ci batteremo in parlamento e nelle piazze da oggi”, ha dichiarato il capogruppo dei senatori del PD, Francesco Boccia.
Li prendiamo in parola, ma perché l'opposizione sia credibile occorre che sia disposta ad usare l'arma dell'ostruzionismo e ogni altro mezzo possibile in parlamento per ostacolare la conversione del decreto, e che contemporaneamente mobiliti la sua base, in un fronte unito antifascista con gli anticapitalisti, le forze sindacali confederali e di base, e tutte le forze democratiche e progressiste, per affossare con lo sciopero generale e con la lotta di piazza la legge liberticida e fascista, manganello della Mussolini in gonnella Meloni, sull'esempio della storica e vittoriosa lotta contro la “legge truffa” negli anni '50.
 
16 aprile 2025