Lo certifica l'Istat
Il governo Meloni ha aumentato povertà e disuguaglianze
Anche i numeri certificano il repentino impoverimento di una larga fascia della popolazione italiana. Una conferma, perché lavoratrici e lavoratori, pensionate e pensionati, piccoli commercianti e masse popolari, lo hanno già constatato sulla propria pelle quando si recano a fare a spesa e pagano le bollette, sempre più salate, e di contro vedono i loro salari, pensioni e guadagni fermi al palo. Allo stesso tempo però raddoppiano i miliardari, che vedono accrescere il loro patrimonio mentre le aziende aumentano i profitti, spesso anche quelle che si dichiarano in crisi e licenziano gli operai.
Come dice un vecchio proverbio: “le bugie hanno le gambe corte”. La propaganda del governo ci martella attraverso mass-media e social
, la ducessa Meloni parla di una Italia in ripresa economica e di riconquistata “autorevolezza”. I suoi ministri, e in particolare i suoi scagnozzi di Fratelli d'Italia, ripetono a pappagallo i soliti slogan: “con il governo Meloni un milione di posti di lavoro, più soldi a chi ne ha più bisogno, più investimenti nella sanità pubblica, pensioni più alte”, e via di questo passo. La narrazione di un Paese che non esiste, che la realtà dei fatti smentisce clamorosamente.
Un tema su cui la propaganda governativa insiste molto, è quello della redistribuzione del reddito e il sostegno ai soggetti e alle famiglie più povere. In particolare attraverso tre misure: la riforma delle aliquote Irpef (ridotte da quattro a tre), il passaggio a un sistema, secondo il governo, più efficace del Reddito di Cittadinanza (RdC), che “pagava i fannulloni per stare seduti sul divano”, il “bonus natale” di 100 euro. In realtà anche su questo il governo racconta delle bufale, come ci conferma l'ultimo rapporto Istat che calcola l'impatto derivante dalle modifiche al welfare.
La metodologia utilizzata dall'istituto di statistica è questa: “Gli effetti sono valutati attraverso il confronto tra la stima del reddito disponibile nel 2024 e la stima di quello che si sarebbe osservato se i parametri di tali politiche fossero rimasti quelli in vigore nel corso del 2023”. Ebbene, il rapporto sulla redistribuzione del reddito nel 2024 ci dice che l’indice di Gini, (che misura le disuguaglianze) aumenta di più di un decimo di punto, da 30,25% a 30,40%. La disuguaglianza è significativamente più alta nel Mezzogiorno (48,19%) rispetto al Centro (43,97%) e al Nord (43,02%). Nel concreto significa che l'operato del governo ha aumentato gli squilibri già esistenti nella società invece di ridurli.
Analizzando la riforma delle aliquote e degli scaglioni Irpef e delle detrazioni da lavoro contenuta nelle ultime manovre di Bilancio, per le famiglie con almeno un percettore di reddito da lavoro dipendente gli effetti della riforma si valutano congiuntamente a quelli delle due forme di decontribuzione previste per il 2024. In questo gruppo di famiglie, si stima che siano 11,8 milioni quelle che vedono migliorare, grazie alle misure, il proprio reddito disponibile, per un ammontare medio annuo di 586 euro. Stiamo parlando di cifre che, al netto dell'inflazione, non coprono neppure l'aumento del costo della vita.
Dal punto di vista distributivo però, le famiglie che traggono il maggior guadagno in valore assoluto sono comunque quelle dei quinti più alti (720 euro per il penultimo quinto e 866 per l’ultimo), che percepiscono anche la quota maggioritaria del guadagno totale. Ma ci sono 300 mila famiglie interessate da entrambe le misure che invece registrano una perdita. Il peggioramento, pari in media a 426 euro, è riconducibile in larga parte alla perdita del diritto al trattamento integrativo dei redditi da lavoro dipendente (il cosiddetto Bonus Irpef).
Secondo l'Istat un altro fattore che ha aumentato povertà e disuguaglianze è stato il passaggio dal RdC all’Assegno di inclusione, che ha impattato negativamente sulle famiglie con reddito disponibile più basso. L'abolizione del RdC aumenta di oltre 2 decimi di punto l’indice di Gini e questo effetto è solo parzialmente compensato dal lieve effetto positivo connesso alla riforma dell’Irpef, valutata congiuntamente agli esoneri contributivi e all’indennità per i lavoratori dipendenti. L’effetto negativo sui redditi più bassi emerge più chiaramente osservando come i redditi delle famiglie alle code della distribuzione si rapportano a quelli delle famiglie mediane. La variazione nella distribuzione è attribuibile quasi esclusivamente al peggioramento dei redditi più bassi.
“Si stima – continua l'Istat-, che il passaggio dal RdC, già depotenziato nel corso del 2023, all’Assegno di inclusione comporti un peggioramento dei redditi disponibili per circa 850mila famiglie (3,2% delle famiglie residenti). La perdita media annua è di circa 2mila 600 euro e interessa quasi esclusivamente le famiglie che appartengono al gruppo delle famiglie più povere”. In tre quarti dei casi si tratta di nuclei che perdono il diritto al beneficio e nel restante quarto di nuclei svantaggiati dal nuovo, e più stringente, metodo di calcolo.
Infine l'indennità una tantum di 100 euro per i lavoratori dipendenti, più conosciuta come “bonus natale”, niente di più di una mancia. Difatti, pur avendo raggiunto circa 3 milioni di famiglie (11,6% delle famiglie residenti), ha generato una variazione del reddito disponibile pari in media allo 0,2%.
In conclusione, secondo l'Istat, “nel complesso, le modifiche al sistema di tasse e benefici prese in esame esercitano un effetto contenuto sulla distribuzione dei redditi”. Ma, aggiungiamo noi, quando lo esercitano, le misure messe in campo dal governo neofascista della Meloni non fanno altro che aumentare le disuguaglianze, andando a colpire direttamente chi ha meno reddito disponibile, cioè i più poveri. Come dimostra la riforma dell'Irpef, che va ha beneficio dei redditi più alti, e con la cancellazione del pur discutibile RdC, sostituito da altre misure del tutto inefficaci che hanno penalizzato i più poveri.
16 aprile 2025