Nonostante la sospensione di 90 giorni dei dazi USA a 75 paesi
Guerra dei dazi, scontro frontale tra l'imperialismo americano e il socialimperialismo cinese
La contesa commerciale scatenata dagli USA spinge l’Unione europea nelle braccia di Pechino
La guerra dei dazi scatenata agli inizi di aprile dal dittatore fascioimperialista Trump contro il mondo intero sembra essere già arrivata al nocciolo della questione. Alla sospensione di 90 giorni per tutti i dazi reciproci, Europa inclusa, decisa dal presidente americano l’11 aprile dopo aver deriso i Paesi pronti a negoziare (“Tutti in fila per baciarmi il culo
”) e accettata dall’Unione europea che col vertice informale dei suoi ministri economici e finanziari di Varsavia ha riaffermato il "pieno sostegno a un approccio deciso, ma calmo e calcolato della Commissione UE. Riteniamo che la decisione della Commissione di sospendere le misure di ritorsione sia un buon passo nella giusta direzione: vogliamo utilizzare i prossimi tre mesi per un dialogo serio e costruttivo con gli USA
”, è seguito l’aumento al 145% di quelli contro la Cina. Che poche ore dopo ha risposto innalzando i suoi verso gli USA. Uno scontro frontale tra l’imperialismo americano e il socialimperialismo cinese anticamera di quello per il dominio globale del mondo destinato a scatenarsi prima o poi anche sul piano militare. Come aveva previsto l’attuale consigliere per il commercio e la produzione di Trump Peter Navarro, l'ispiratore della politica trumpiana sui dazi, feroce anticinese, che nei suoi libri “The Coming China Wars – Le prossime guerre cinesi” del 2006 e “Death by China – Morte per mano della Cina” del 2011 prospettava proprio la guerra aperta contro “il dragone cinese”.
Guerra commerciale USA-Cina
Intanto la guerra commerciale in corso fra Stati Uniti e Cina avrà grosse conseguenze sulle economie dei due paesi e grandi ripercussioni sul resto del mondo. A pochi giorni dal suo inizio, si vedono già i primi effetti: le spedizioni si sono ridotte, diversi ordini sono stati cancellati e diversi i casi di aziende cinesi che dipendono totalmente dagli acquisti statunitensi, o aziende statunitensi che vendono merci prodotte esclusivamente in Cina, che hanno licenziato o messo a riposo forzato i loro dipendenti, mentre le borse sono crollate.
I dazi statunitensi sulle merci cinesi che entrano nel paese sono ora del 145%. Per fare un esempio, vuol dire che per ogni telefono dal valore di 200 dollari proveniente dalla Cina l’importatore deve pagarne complessivamente 490: 290 sono di diritti doganali, cioè di tasse incassate dagli Stati Uniti. In risposta la Cina aveva inizialmente deciso dazi sulle merci statunitensi dell’84%, e l’11 aprile li ha aumentati al 125%: a questi se ne aggiungono altri del 10-15% su vari prodotti agricoli ed energetici. La Commissione dei dazi doganali del governo, in un comunicato pubblicato dal Ministero delle Finanze, ha spiegato di aver preso questa decisione "poiché a questo livello di tariffe, i prodotti americani esportati in Cina non hanno più alcuna possibilità di essere accettati sul mercato". Secondo Pechino, “l'imposizione da parte degli Stati Uniti di tariffe anormalmente elevate sulla Cina viola gravemente le norme economiche e commerciali internazionali, le leggi economiche di base e il buon senso, ed è completamente un'intimidazione e una coercizione unilaterali”. Nell'annunciare i controdazi al 125%, il ministero del commercio cinese ha affermato che la Cina è pronta a "combattere fino alla fine".
Nel 2024 Cina e Stati Uniti si sono scambiati beni per un valore totale di 582 miliardi di dollari: gli Stati Uniti hanno esportato beni per 143 miliardi, mentre la Cina ha esportato beni per 439 miliardi. Il deficit commerciale degli Stati Uniti, cioè la differenza tra ciò che un paese esporta e ciò che importa, è di circa 295 miliardi. Per gli Stati Uniti le importazioni dalla Cina sono il 13 per cento del totale, per la Cina le esportazioni negli Stati Uniti valgono il 15 per cento del totale: entrambi i dati sono calati negli ultimi anni, come risultato di una prima guerra commerciale iniziata durante il primo mandato di Trump.
Se la guerra commerciale dovesse continuare, gli effetti sarebbero molto più consistenti. Gli Stati Uniti comprano dalla Cina una enorme varietà di prodotti, fra cui elettronica, giocattoli e componenti industriali: interi settori commerciali statunitensi sono stati costruiti sulla possibilità di accedere a queste merci a bassi costi, merci che vengono spesso progettate, assemblate, rifinite, promosse con operazioni di marketing negli Stati Uniti. La produzione cinese è difficilmente sostituibile, a breve o medio termine: i dazi imporranno prima una riduzione del margine di guadagno delle aziende, poi causeranno un aumento dei prezzi per i consumatori, con aumento generale dell’inflazione. Alcune delle aziende potrebbero essere costrette a chiudere.
I dazi in ritorsione decisi dalla Cina colpiscono soprattutto il settore agricolo: per esempio la Cina è la principale destinazione della soia esportata dagli Stati Uniti. Per la Cina sarà complesso trovare un mercato alternativo per le proprie merci. Da anni il governo centrale cerca senza troppo successo di aumentare la domanda e i consumi interni, per superare il modello economico di crescita basato sulla produzione di merci a basso costo per l’esportazione. Il surplus di merci non vendute negli Stati Uniti potrebbe finire a costi ancora più bassi su altri mercati, soprattutto quelli vicini del sudest asiatico, condizionandone l’economia e mettendo in crisi i loro settori industriali.
La banca d’affari Goldman Sachs stima che 10-20 milioni di cinesi lavorino alla produzione di beni destinati al mercato statunitense, mentre altre stime ritengono che la guerra commerciale possa causare una riduzione della crescita del PIL cinese dell’1,5-2%. L’economia cinese dopo la pandemia è in una fase di crescita più lenta, ma il regime socialimperialista ha comunque fissato l’obiettivo di una crescita annua del 5%. La già problematica disoccupazione giovanile potrebbe aumentare in caso di una crisi prolungata causata da una riduzione dei commerci.
Pechino ha pubblicato un “libro bianco”, un pamphlet di 50 pagine, che elenca la “posizione della Cina su alcune questioni riguardo le relazioni economiche e commerciali con gli Stati Uniti”. Sulla situazione economica legata ai dazi, si legge per esempio che gli Stati Uniti non hanno onorato le promesse fatte nell’accordo commerciale “Fase 1” concluso durante il primo mandato di Trump, e si sostiene che, tenendo conto del commercio nel settore dei servizi e delle filiali cinesi di società USA, lo scambio economico fra i due Paesi è già “grosso modo bilanciato”; e che la Cina aveva un deficit commerciale con gli Stati Uniti di 26,57 miliardi di dollari nel 2023 nei servizi, area composta da settori come assicurazioni, banche e contabilità. I dazi di Trump sono stati progettati per colmare i deficit commerciali con i Paesi stranieri, ma questi sono stati calcolati solo sulla base degli scambi di beni fisici e tangibili: “La storia e i fatti hanno dimostrato che l’aumento dei dazi da parte degli Stati Uniti non risolverà i loro problemi”, si legge nella dichiarazione del ministero del Commercio cinese, “al contrario, provocherà forti fluttuazioni nei mercati finanziari, aumenterà la pressione inflazionistica negli Stati Uniti, indebolirà la base industriale statunitense e aumenterà il rischio di una recessione economica negli Stati Uniti”.
Di fatto la Cina può negare agli americani le famose terre rare indispensabili per le tecnologie più avanzate, anche se questo rappresenterebbe un ulteriore danno per l’export cinese. Può svalutare lo yuan. Può ordinare di vendere buoni del tesoro americano in mano cinese, che ora sono valutati in quasi 800 miliardi di dollari.
La guerra dei dazi spinge l’UE in braccio alla Cina
Se la sospensione dei dazi USA all’Europa intende spingere Bruxelles ad entrare in un blocco anticinese, da Pechino è partito il corteggiamento all’imperialismo europeo in funzione antiamericano. Sempre l’11 aprile il presidente cinese Xi Jinping ha auspicato che Cina e Unione Europea uniscano le loro forze contro "il bullismo unilaterale" degli Stati Uniti, mentre Bruxelles faceva sapere che il prossimo vertice UE-Cina si terrà a Pechino a luglio e non nella capitale belga come sarebbe dovuto essere. Un segnale che sembrerebbe indicare la volontà dei 27 di “fare piacere” a Xi e di usare il summit che celebra i 50 anni di rapporti per rafforzare le relazioni tra l’imperialismo europeo e il socialimperialismo cinese dopo le tensioni degli anni scorsi sul Covid, la via della Seta e le accuse di “sovracapacità produttiva”.
Intanto il governo spagnolo e quello cinese hanno adottato un "nuovo piano d'azione per rafforzare l'associazione strategica integrale tra i due Paesi" e firmato diversi nuovi accordi bilaterali: è quanto ha dichiarato il 10 aprile il premier Pedro Sánchez da Pechino, durante una visita in cui ha incontrato il presidente cinese, Xi Jinping e il primo ministro Li Quiang. Nello specifico, ha precisato Sánchez, sono stati firmati due "protocolli di esportazione in ambito agricolo e dell'allevamento, che riguardano prodotti suini e ciliegie", un'intesa per "un accesso equilibrato al mercato" nel settore di prodotti sanitari, medicine e cosmetici, e quattro accordi riguardanti scienza, tecnologia, educazione e cinema. "La Cina è un partner imprescindibile per affrontare le sfide globali", ha detto il premier spagnolo, citando aspetti come "il contrasto al cambiamento climatico, il finanziamento dello sviluppo e la lotta contro le disuguaglianze". Dal canto suo per Xi Jinping Cina e Unione europea dovrebbero non solo salvaguardare "i propri diritti e interessi legittimi", ma anche "l'equità e la giustizia internazionale, le norme e l'ordine internazionale", tenendo conto che "non c'è alcun vincitore in una guerra dei dazi e andare contro il mondo porterà all'isolamento". La Cina "considera l'UE come una delle componenti essenziali di un mondo multipolare ed è una nazione che supporta esplicitamente l'unità e lo sviluppo dell'Europa. La costruzione di una partnership sino-europea incentrata su pace, crescita, riforme e civiltà ha un'importanza pratica fondamentale", ha continuato, sostenendo che Cina e UE "devono mantenere il loro posizionamento di partner e continuare a perseguire una cooperazione aperta".
La presidente della Commissione europea Ursula Von der Leyen ha parlato invece l’8 aprile con il primo ministro cinese Li Qiang, mentre il capo del commercio, Maros Sefcovic, ha comunicato il giorno dopo con il ministro del Commercio cinese Wang Wentao. Durante una videochiamata, Wang e Sefcovic hanno concordato di "avviare immediatamente i negoziati sui compromessi di prezzo per i veicoli elettrici, oltre a discutere la cooperazione negli investimenti dell'industria automobilistica tra Cina e UE", secondo un comunicato del ministero del Commercio cinese.
Intanto Xi Jinping dal 14 aprile è in tour in Vietnam, Malaysia e Indonesia, minacciati da dazi americani pesantissimi anche perché negli ultimi anni sono stati utilizzati dai cinesi per far passare parte del loro export diretto verso gli USA. Mentre a maggio il presidente brasiliano Lula è atteso a Pechino per nuovi accordi sulle importazioni di derrate alimentari.
16 aprile 2025