Viterbo, comitati in rivolta contro il deposito delle scorie nucleari

La Tuscia, cioè la provincia di Viterbo, è in rivolta. La miccia è stata accesa dall’ipotesi di realizzare in quest’area il deposito nucleare nazionale, cioè il luogo in cui far affluire i rifiuti radioattivi di tutta Italia. Le aree selezionate per la scelta del deposito nucleare sono 51 e ben 21 si trovano nella provincia di Viterbo. Le zone individuate si trovano nei pressi di Montalto, Canino, Cellere, Soriano nel Cimino, Tarquinia, Tuscania, Arlena e altri Comuni nel cuore della Tuscia.
Il deposito dovrebbe occupare una superficie di 150 ettari, destinato a stoccare 95.000 metri cubi di scorie nucleari. Il progetto prevede la costruzione di due strutture, tra cui un magazzino per scorie a bassa e media intensità. Questo deposito sarebbe definitivo e destinato a contenere rifiuti con livelli di radioattività relativamente bassi, provenienti dai settori della medicina, della ricerca, dell'industria. Un altro magazzino per scorie ad alta radioattività, all'incirca 17.000 metri cubi derivanti dagli impianti nucleari dismessi (Caorso, Latina, Trino vercellese e Garigliano), chiusi dopo i referendum che hanno confermato la contrarietà della maggioranza degli italiani ad avere centrali nucleari sul suolo nazionale.
Quest'ultima struttura viene definita “temporanea”, con una durata prevista fino a cento anni, in attesa di individuare un sito definitivo a diverse centinaia di metri di profondità per lo stoccaggio permanente. L’ipotesi di una permanenza “temporanea” di 100 anni non suona particolarmente tranquillizzante per le comunità locali. Attualmente, questi rifiuti sono conservati in depositi situati in Piemonte, Emilia Romagna e Lombardia, e relativamente vicini alle ex centrali.
La questione va avanti ormai dal 2021, cioè da quando la Sogin, società del ministero di Economia e finanza che si occupa dello smaltimento dei rifiuti nucleari, ha individuato le 51 aree idonee a ospitare il deposito nazionale di scorie nucleari. La sensazione è che la scelta di Sogin di mettere nel mirino la Tuscia, sia stata motivata dal fatto che la Provincia di Viterbo è tra le meno popolate d’Italia, e che la realizzazione di questo progetto avrebbe incontrato poca resistenza da parte di chi ci risiede.
Ma così non è stato. Che il 40% dei probabili siti per il deposito di scorie nucleari sia nel viterbese, ha immediatamente allertato la popolazione e innescato le proteste. La popolazione, le associazioni, i comitati di cittadini, i Sindaci hanno deciso di far sentire la loro voce con una serie di proteste. Il 6 aprile una grande manifestazione si è tenuta nel parco archeologico di Vulci, coinvolgendo migliaia di persone che hanno sfilato nella campagna verdeggiante: famiglie, anziani e giovani generazioni, assieme a loro tutti i comitati No Scorie, l’Università Agraria di Tarquinia e i cinque biodistretti che riuniscono i Comuni viterbesi impegnati nella tutela della biodiversità.
Due mesi fa, i sindaci del viterbese hanno presentato un ricorso al Tar, sostenendo che la carta dei siti potenzialmente idonei è stata redatta senza considerare adeguatamente le esigenze del territorio e basandosi su una cartografia obsoleta di 40 anni fa. Una territorio a vocazione turistica e ricca di parchi naturali, ma stiamo parlando anche di una zona prettamente agricola, orientata verso produzioni di eccellenza come le nocciole, castagne, olio, vino, e rispettose dell'ambiente. Non a caso nella Tuscia si trovano ben 5 biodistretti.
I rischi temuti sono però tanti, e primo fra tutti è quello della salute. Il dato di partenza non è dei migliori: l’incidenza tumorale nel viterbese è già molto alta a causa dell’emissione naturale di radon, un gas cancerogeno sprigionato dal suolo di origine vulcanica, e la realizzazione del deposito non può che preoccupare ulteriormente gli abitanti, e per di più si tratta di una zona sismica. Anche la possibilità di inquinamento delle falde acquifere è una questione che suscita sgomento.
Questa è una decisione presa dall'alto, senza tenere in minima considerazione la realtà locale, e la popolazione si sente tradita e presa in giro, ma non ha nessuna intenzione di arrendersi. “Quello che abbiamo di fronte non è un percorso breve, è un percorso lungo”, ha dichiarato a conclusione dell’evento il presidente del biodistretto “Valle Amerina e forre” Famiano Crucianelli, “Allora avere una struttura organizzata, comune per comune, realtà per realtà, è la più solida garanzia che questa lotta andrà avanti. Non siamo che all’inizio”, ha continuato.
La mobilitazione si sta infatti diffondendo e radicando sempre di più. Dopo lo slancio preso a Vulci, il prossimo appuntamento sarà a Corchiano l’11 maggio, con un nuovo corteo. Ma nella platea che si era ammassata ad ascoltare gli interventi che si sono poi susseguiti dal palco si vociferava già a gran voce: “se non ci ascoltano, andremo a Roma”. Un precedente c'è già: nel 2003 la popolazione della Basilicata, con grandi e forti mobilitazioni in massa, riuscì a respingere il piano che prevedeva un deposito nazionale di scorie nucleari a Scansano Jonico.

16 aprile 2025