Il 1° Maggio marciamo assieme contro il regime capitalista neofascista di Meloni
Basta con Mussolini in gonnella

di Andrea Cammilli *
Celebriamo la Giornata internazionale delle lavoratrici e dei lavoratori mentre in Italia è insediato da due anni e mezzo il governo neofascista presieduto dalla ducessa Giorgia Meloni, composto da una coalizione guidata da Fratelli d'Italia, erede del MSI, a sua volta erede del partito di Mussolini, e mentre nel mondo spirano sempre più forti i venti di una guerra mondiale imperialista.
Il Primo Maggio 2025 rappresenta un'importante occasione per le masse lavoratrici, in particolare per il proletariato, per riflettere su come affrontare questi due ostacoli che si presentano loro davanti.

Il governo Meloni
Appena Giorgia Meloni si insediò a Palazzo Chigi, il Partito marxista-leninista italiano definì il suo governo neofascista, lanciando un appello per creare un ampio Fronte Unito per combatterlo e abbatterlo quanto prima possibile. Questo mentre i partiti che si definiscono comunisti lo catalogavano come un semplice prolungamento del precedente governo Draghi, tutti i partiti borghesi lo accreditavano come un “governo legittimo eletto democraticamente”, l'ex “comunista” ora neofascista Marco Rizzo ironizzava su chi lanciava l'allarme di un nuovo fascismo al potere. I fatti hanno dato ragione all'analisi del PMLI.
L'elenco delle controriforme in corso d'opera, che vanno a stravolgere alcuni punti fondamentali della Costituzione e gli stessi diritti democratico-borghesi, è lunghissimo. Dalla “riforma” della Giustizia, o meglio della Magistratura per assoggettarla al governo, condita da minacce alle “toghe rosse” e ai “magistrati politicizzati”, ogniqualvolta le indagini e le sentenze sono sgradite al governo. All'autonomia differenziata, che divide lo Stato unitario a discapito del Mezzogiorno e delle regioni più povere. Al presidenzialismo, nella forma di premierato, che porta a compimento il Piano della P2 di Licio Gelli, Craxi e Berlusconi, tagliando definitivamente il legame con la prima Repubblica parlamentare. La controriforma di scuola e università per renderle ancor più classiste e al servizio dei padroni, dove si soffocano il protagonismo e le voci critiche dei giovani indottrinandoli con la Bibbia, il nazionalismo e il militarismo.
E poi il decreto legge cosiddetto “sicurezza”, da poco firmato da un connivente Mattarella, che istituisce lo Stato di polizia come ai tempi di Mussolini, con l'obiettivo primario di reprimere le lotte sociali, sindacali e ambientaliste, e che tratta le problematiche e il disagio sociale (causato dal capitalismo) in modo securitario. Il controllo sempre più stretto sull'informazione, le minacce ai giornalisti e ai programmi considerati scomodi, sia in maniera esplicita che attraverso lo spionaggio e i servizi segreti. La guerra ai migranti, incarcerati in veri e propri lager, deportati in Albania, senza aver commesso nessun reato, colpevoli solo di fuggire dalla guerra e dalla povertà. Una politica estera sempre più votata all'interventismo, per soddisfare gli appetiti della borghesia e dell'imperialismo italiano nel Mediterraneo, Medio Oriente e in altre regioni.
Quanto alla politica sociale ed economica del governo la propaganda governativa è asfissiante, ma i dati e la realtà parlano chiaro, con un generale impoverimento delle masse popolari: 5,7 milioni di italiani sono poveri, quasi il 10% del totale, mentre i salari delle lavoratrici e dei lavoratori italiani rimangono agli ultimi posti in Europa, compresi quelli pagati dallo Stato, quelli dei dipendenti pubblici. Altro che “un milione di posti di lavoro”, la produzione industriale è in calo da due anni, gli stipendi dal 2008 ad oggi hanno perso l'8,7% del loro valore reale, un trend che continua con la Meloni a Palazzo Chigi. I provvedimenti del governo favoriscono il dilagare del precariato in ogni settore e le morti sui posti di lavoro (più di tre morti al giorno).
Sulle pensioni, a dispetto delle promesse elettorali, mentre si continua con la legge Fornero dal 2027 serviranno tre mesi in più di contributi, ce lo conferma l'Inps. La tanto decantata riduzione del cuneo fiscale, di fatto ha partorito solo piccoli sgravi fiscali a carico della finanza pubblica, portando pochi spiccioli in busta paga e per alcuni addirittura una diminuzione. La spesa per la sanità pubblica, tenuto conto dell'inflazione, ha subito pesanti tagli, compresa l'assistenza economica agli anziani bisognosi nelle RSA. Secca la riduzione dei trasferimenti finanziari a Regioni e Comuni, su cui si scarica il compito di mettere nuove tasse per reperire risorse, eliminazione del reddito di cittadinanza senza un valido sostituto. E poi i ridicoli bonus a cascata, poco più di un elemosina, per i più bisognosi, anziché intervenire con piani straordinari per affrontare le problematiche legate al lavoro, al caro casa, all'assistenza sanitaria a sociale, ai trasporti pubblici, al caro bollette.
Verso i lavoratori e le masse popolari il governo Meloni usa il metodo del bastone, o meglio del manganello, quando certe lotte, come ad esempio quelle nel settore della logistica, si fanno dure e bloccano le merci, oppure minacciando di usare il manganello legislativo per limitare ulteriormente il diritto di sciopero. Altre volte quello che in apparenza sembrerebbe il metodo della “carota”, come quando propone, di comune accordo con il sindacato collaborazionista e filogovernativo della Cisl, l'attuazione dell'articolo 46 sulla partecipazione dei lavoratori alla gestione delle aziende contenuto nella Costituzione.
Una proposta corporativista di chiara ispirazione mussoliniana da rigettare senza indugio, dove il ruolo dei lavoratori è meramente consultivo e senza reali poteri. Accettarla significherebbe abbandonare l'idea stessa per cui è nato il sindacato, ossia difendere e rappresentare gli interessi e le rivendicazioni dei lavoratori di fronte al capitale e sposare il corporativismo, il collaborazionismo di classe e servire gli interessi della borghesia che adesso, con la guerra commerciale sui dazi in corso e quella militare in prospettiva, ne ha un disperato bisogno. Non a caso la Meloni recentemente ha attaccato il confitto sociale, contrapponendovi il “Rinascimento partecipativo” basato sulla coesione sociale.

Venti di guerra mondiale imperialista
Sulla crisi economica che attanaglia lavoratrici e lavoratori, pensionati e masse popolari, si è innescata la corsa al riarmo e alla guerra in atto da anni e che negli ultimi mesi ha subito una fortissima accelerazione dopo i proclami del neoeletto presidente americano, il fascioimperialista Trump. Prima le minacce di annessione di Groenlandia, Panama e Canada, poi gli ultimatum agli altri Paesi Nato, compresi quelli europei, ad aumentare le spese militari, infine i dazi sulle merci. Come reazione i leader dei 27 Stati membri dell'Unione Europea hanno dato il via libera al piano ReArm della Commissione guidata da Ursula von der Leyen e al Libro Bianco sulla Difesa.
Mentre a livello continentale e nazionale si taglieggia senza pietà lo Stato sociale, con un piano da 800 miliardi di euro per il riarmo e l’aumento delle spese destinate alla difesa, i Paesi dell'Unione possono aumentare il proprio debito oltre i limiti consentiti, senza rischiare procedure di infrazione da parte della Commissione, fino a un massimo di 650 miliardi di euro. È previsto inoltre un fondo da 150 miliardi di euro da cui i paesi membri potranno ottenere prestiti per finanziare le proprie spese militari. Un passo importante verso il riarmo e l’esercito dell’UE imperialista, che si prepara anch’essa a entrare nella competizione mondiale con USA, Cina e Russia per il dominio del mondo, alimentando pericolosamente i venti di guerra mondiale imperialista che stanno soffiando sempre più forte.
Intanto la guerra commerciale diventa sempre più acuta ed esplicita, come dimostrano i dazi imposti da Trump per riequilibrare la bilancia commerciale americana verso gli altri Paesi, ridurre il mostruoso debito, e per riportare negli Usa la produzione manifatturiera, dopo decenni di deindustrializzazione a tutto vantaggio dell'alta tecnologia, i servizi digitali e la finanza. Dazi che colpiscono le nazioni di tutti i continenti, Europa compresa, e sopratutto la Cina, antagonista principale degli Usa per il dominio globale. A sua volta il socialimperialismo (socialismo a parole, capitalismo e imperialismo nei fatti) cinese ha risposto per le rime. Dazi che, se confermati, produrranno effetti anche sulle esportazioni delle industrie italiane della meccanica, farmaceutica, moda e agroalimentare, con conseguenze sull'occupazione. Dazi che confermano come ci si appelli al “libero mercato” fintantoché questo non danneggia il proprio capitalismo.

Opposizione inconsistente e inadeguata della “sinistra” borghese
Una situazione di questa gravità richiederebbe da parte della “sinistra” borghese, partitica e sindacale, un'opposizione senza sconti al governo e una politica che prepari il proletariato a rifiutare risolutamente la guerra mondiale imperialista. Niente di tutto questo. Quella “rivolta sociale” evocata dal segretario nazionale della Cgil Maurizio Landini si è rivelata un bluff. Niente di più che un richiamo a dare maggiore credito alle istituzioni borghesi e a riporre la fiducia nella Costituzione del 1948 che, seppur definita antifascista perché (in teoria) vieta la ricostituzione del partito fascista (ma ce ne sono altri con nomi diversi), rimane sempre borghese e capitalista.
L'opposizione dei due sindacati confederali, Cgil e Uil, al governo rimane sopratutto a parole ma non nei fatti. Si annunciano mobilitazioni ma poi ci si ferma al primo sciopero generale. Il PMLI appoggia i cinque referendum di giugno con spirito unitario invitando a votare 5 Sì, perché si tratta di abolire leggi (o parti di esse) inique. Ma non siamo d'accordo con la Cgil perché con gli slogan “Il voto è la nostra rivolta”, “Votiamo Sì per cambiare l'Italia” mette in soffitta la lotta di classe e persino la parola d'ordine della “rivolta sociale”, che aveva suscitato consenso e fermento nella classe operaia, specie dopo la riuscita degli ultimi scioperi, creando illusioni che attraverso il voto si possa cambiare l'Italia, addirittura col voto referendario che non sposta i rapporti di fora e non intacca il sistema capitalistico.
Per questo la proposta del PMLI di un unico e grande sindacato basato sulla democrazia diretta e sul potere sindacale e contrattuale alle Assemblee generali delle lavoratrici e dei lavoratori, è quanto mai necessaria per dare una svolta alla lotta sindacale. Occorre un sindacato unico che operi esclusivamente per la difesa degli interessi fondamentali e immediati delle masse lavoratrici, pensionate e disoccupate, senza vincoli e compatibilità dettate dai capitalisti e dal governo, contrario alla collaborazione padronale, governativa e istituzionale, al corporativismo, alla “moderazione salariale”, alle limitazioni del diritto di sciopero e allo svilimento del contratto nazionale di lavoro.
L'opposizione dei partiti del regime, specie di quelli che siedono in parlamento, è ancora più blanda, insulsa e inefficace rispetto a quella dei sindacati confederali. Perché, come ha affermato il Segretario generale del PMLI compagno Giovanni Scuderi, nel suo discorso alla 7ª Sessione plenaria del 5° Comitato centrale del PMLI: “I partiti della 'sinistra' borghese non riconoscono che siamo in presenza a una riedizione della dittatura fascista, diversamente espressa nella forma, perché allora sarebbero costretti a mobilitare le masse per abbatterla con la lotta di piazza”. Perciò tutto si riduce a scaramucce parlamentari e, anche quando organizzano manifestazioni di piazza, lo fanno senza mai mettere in discussione “il diritto costituzionale di governare”.
Occorre invece formare un largo Fronte unito il più ampio possibile per buttare giù con la lotta di piazza e la mobilitazione popolare il governo neofascista della Meloni che, avendo riportato al potere il fascismo, con i dovuti camuffamenti, aggiornamenti e aggiustamenti, non può essere trattato come un qualsiasi governo borghese. Va quindi combattuto e abbattuto senza esclusione di colpi, usando tutte le forme di lotta, legali e illegali, parlamentari e extraparlamentari, pacifiche e violente di massa. Una lotta che va portata avanti fino alle estreme conseguenze, alla guerra civile, se risponde alla volontà delle masse.
Inoltre è necessario opporsi risolutamente alla guerra mondiale imperialista. E se l'Italia dovesse parteciparvi, come ha affermato il Comitato centrale del PMLI nel documento del 15 dicembre 2023, “Noi chiameremo il proletariato e l'intero popolo italiano alla guerra civile”.
Il proletariato, le masse lavoratrici, pensionate e disoccupate, i giovani che sono in prima fila nel sostegno all'eroica Resistenza palestinese e in difesa dell'ambiente, le donne a cui si vogliono togliere diritti acquisiti, le masse popolari e disoccupate, gli intellettuali progressisti, devono marciare uniti e spingere i loro partiti, sindacati, associazioni a fare lo stesso contro il regime capitalista neofascista di Meloni.
 
Appello alle operaie e agli operai
Oggi più che mai è attuale la questione della conquista del potere politico da parte del proletariato, la madre di tutte le questioni. L'ha posta il Segretario generale del PMLI nell'Editoriale de “Il Bolscevico” per il 48° Anniversario della fondazione del Partito dal titolo “Operaie, operai, parliamoci!”. Egli ha detto: “Una questione che è assente nelle discussioni nei luoghi di lavoro, nei sindacati e nei partiti che si richiamano ai lavoratori. Un tempo non era così, anzi era viva e operante all'interno del proletariato e degli anticapitalisti. Appassionava anche gli intellettuali del popolo. Dovreste riaffrontarla, ne va del vostro avvenire”. E ha aggiunto: “Nulla ci impedisce, se non la borghesia e i suoi servi revisionisti e riformisti, a riprendere la via maestra dell'Ottobre, se voi operaie e operai italiani siete disposti a percorrerla”.
È questa la via che, fin dalla sua fondazione, indica il PMLI, in contrapposizione alla via riformista e costituzionale della “sinistra” borghese che, come dimostrano tutte le esperienze governative passate, non scalfisce minimamente il capitalismo e non cambia di una virgola la condizione di subalternità del proletariato rispetto alla borghesia, che riceve unicamente i benefici della ricchezza prodotta dal proletariato.
Infatti, usando ancora le parole di Scuderi, “Non esiste nella storia, in teoria e nella pratica, un'altra via che consenta al proletariato la conquista del potere politico e il socialismo. Il socialismo è la società a misura del proletariato e delle masse lavoratrici, l'esperienza sociale, politica, economica, istituzionale, culturale più avanzata della storia umana realizzata dai marxisti-leninisti in vari Paesi del mondo”.
Viva il 1° Maggio!
Viva il potere del proletariato!
Abbasso il potere della borghesia!
 
* Responsabile della Commissione del lavoro di massa del Comitato centrale del PML
30 aprile 2025