In una lettera congiunta contro la “ingerenza politica”
187 università americane si ribellano a Trump
L'attacco dell'amministrazione Trump alle università americane, a colpi di minacce di tagli ai finanziamenti pubblici se non si fosero allineate alla nuova politica fascista della Casa Bianca, al momento ha ottenuto casomai l'effetto opposto e alla prima ribellione di Harvard è seguita una mobilitazione del mondo accademico americano con 187 presidenti di grandi università pubbliche di ricerca come di college privati più piccoli che hanno firmato un documento di condanna dei tentativi governativi di controllare le università: “noi siamo aperti a riforme costruttive e non ci opponiamo a un legittimo controllo da parte del governo. Tuttavia, dobbiamo opporci a un’ingerenza governativa indebita nelle vite di coloro che studiano, vivono e lavorano nei nostri campus; a un'interferenza governativa e politica senza precedenti che oggi mette in pericolo l’istruzione superiore”.
Ai primi di aprile la responsabile del dipartimento dell’Istruzione Linda McMahon, nominata da Trump con lo scopo di smantellarlo e con esso la quota pubblica dell'istruzione, a fronte delle proteste antisioniste e in solidarietà al popolo palestinese nelle università attaccava una delle più prestigiose sostenendo che “il fallimento di Harvard nel proteggere gli studenti del campus dalla discriminazione antisemita, il tutto mentre promuove ideologie divisive invece della libertà di ricerca, ha messo la sua reputazione in serio pericolo. Harvard può raddrizzare questi torti e ripristinare il suo status di campus dedito all’eccellenza accademica e alla ricerca della verità”, quella voluta dalla Casa Bianca. Altrimenti minacciava il taglio di 9 miliardi di dollari di finanziamenti, poi “ridotti” sempore come minaccia a 2,2, e tra le altre la sospensione della possibilità di accogliere studenti stranieri.
La direzione dell'università aveva iniziato un processo di “autocensura”, bloccato anche dall'iniziativa polica dei lavoratori dell'università con una lettera sottoscritta da oltre 700 firme. “Gli attacchi in corso contro le università americane minacciano i principi fondamentali delle società democratiche, fra cui la libertà di espressione, associazione e ricerca”. Un “assalto senza precedenti” che doveva essere respinto dalla direzione dell'ateneo esortata a “condannare pubblicamente gli attacchi alle università”, a respingere “richieste illegittime che mettono in pericolo le libertà accademiche”, e a coordinarsi con altri atenei per resistere agli “attacchi anti democratici”.
Le accuse di antisemitismo distribuite a mani larghe dalla Casa Bianca per coprire il genocidio palestinese degli alleati nazisionisti erano palesemente strumentali, a partire dal fatto che alle massicce proteste degli universitari americani hanno partecipato larghe rappresentanze di studenti ebrei casomai antisionisti; erano il grimaldello per colpire ogni forma di opposizione alla politica dell'amministrazione Trump. Che non a caso con la oramai consueta arroganza ripeteva “la pacchia degli aiuti federali a istituzioni come Harvard, che arricchiscono i loro burocrati strapagati con i soldi delle tasse delle famiglie americane in difficoltà, sta giungendo al termine”.
Il 23 aprile partiva la risposta del responsabile di Harvard che annunciava di aver fatto causa all’amministrazione Trump definendo le azioni del governo nei suoi confronti arbitrarie, illegali e che violano il diritto alla libertà di parola sancito dal Primo emendamento. L'iniziativa era annunciata da una lettera indirizzata alla comunità universitaria, con la quale respingeva l'attacco del governo federale sottolineando che il blocco dei finanziamenti ostacola la ricerca su malattie come il cancro pediatrico, l’Alzheimer e il morbo di Parkinson, e che viene utilizzato come “leva per ottenere il controllo del processo decisionale accademico”. Altri 187 presidenti di college e università lo sostenevano.
30 aprile 2025