Milano. 10 mila in corteo egemonizzato dalle bandiere rosse Cgil. I dirigenti sindacali denunciano lo stato di cose ma non chiamano alla lotta per strappare al padronato e al governo diritti e garanzie. Il PMLI diffonde i volantini con l'Editoriale sul 1° Maggio, poi sfila nello spezzone della Fiom intonando slogan e canzoni proletarie coinvolgendo i metalmeccanici

Redazione di Milano
Il 1° Maggio a Milano si è svolto con il tradizionale corteo sindacale mattutino. A Porta Venezia sono affluiti più di 10mila manifestanti provenienti da tutta la provincia, tra lavoratrici e lavoratori assieme a molti pensionate e pensionati.
Come ogni anno un corteo prevalentemente rosso, egemonizzato dalle bandiere della CGIL della quale si distinguevano in quantità le delegazioni degli operai edili della FILLEA, della FIOM, i lavoratori della Funzione Pubblica, della Scuola e i pensionati dello SPI.
Militanti e simpatizzanti della Cellula “Mao Zedong” di Milano del PMLI - presenti con la bandiera del Partito e il cartello sul 1° Maggio - hanno diffuso al concentramento centinaia di copie del volantino con estratti dell’Editoriale del compagno Andrea Cammilli dal titolo “Il 1° Maggio marciamo assieme contro il regime capitalista neofascista di Meloni. Basta con Mussolini in gonnella” per poi prendere posto nel corteo posizionandosi nello spezzone della FIOM così come s’addice al Partito d’avanguardia della classe operaia.
I marxisti-leninisti milanesi hanno coinvolto i manifestanti al canto di “Bandiera Rossa”, “L’Internazionale”, “Bella Ciao” e “Il nostro giorno è il Primo Maggio” e al grido di parole d’ordine tendenti a elevare la combattività e la coscienza di classe. Tra queste: “Né flessibile né precario lavoro stabile pari salario”; “ll posto di lavoro non si tocca lo difenderemo con la lotta”; “I licenziamenti sono da bloccare, governo Meloni è da cacciare”; “Art. 18 va ripristinato nessun lavoratore dev’esser licenziato”; “Il Jobs Act è da cancellare, chi lo sostiene è da cacciare”; “L’unica sicurezza da garantire, è quella sul lavoro per non morire”; “Basta morti sul lavoro”; “Lotta di classe è nostro dovere, classe operaia al potere”, “Del governo Meloni non ne possiamo più, dalla piazza buttiamolo giù”; “Premierato da rifiutare, forma di fascismo che non deve passare”; “Respingiamo l’autonomia differenziata, l’unità nazionale va preservata”; “Sanità pubblica da garantire, sanità privata da abolire”; “Il capitalismo, alla nuova generazione, dà solo precariato e disoccupazione”; “Un sistema in crisi: questo è il capitalismo, l’unica soluzione è il socialismo”; “35 ore il nuovo orario, per tutti, per legge e a pari salario”; “Lo sfruttamento somministrato, è caporalato legalizzato”; “Non discriminare gli immigrati, occorre garantirgli pari diritti”, “Ai referendum andiamo a votare, 5 Sì facciam trionfare”.
“Uniti per un lavoro sicuro”, questo il tema a cui è stato dedicato dagli organizzatori questo 1° Maggio. Dagli interventi dal palco, allestito in Piazza della Scala, è emersa la denuncia dei lavoratori sui tirocini non pagati, sui contratti a tempo determinato, sui pretesti del “sei troppo qualificato” e dello “inizia gratis, poi si vede”. Una lavoratrice ha rimarcato i motivi per cui occorre scendere in piazza non solo il 1° Maggio: “per chi lavora troppo e guadagna troppo poco. Per chi non lavora proprio. Per chi è pagato meno solo perché donna. Per chi rischia di essere sostituito da un algoritmo. Per chi vuole salvare il pianeta senza dover scegliere tra lavoro e giustizia climatica. Per chi muore sul lavoro e non potrà più riabbracciare i propri cari a fine turno".
I segretari locali di Cgil, Cisl e Uil si sono limitati a denunciare la gravità della situazione generale dandone un quadro veritiero ma senza rilanciare le necessarie iniziative di lotta; escludendo a priori che è la lotta di classe che paga, così come storicamente e inconfutabilmente dimostrato, continuano a parlare genericamente di “diritto al lavoro” e di “sicurezza sul lavoro” e della necessità di “più ispettori”, oltre che cianciare di “contrasto alla precarietà” senza mettere nemmeno in discussione il Jobs Act, senza nemmeno accennare al ripristino dell’art. 18 dello Statuto dei Lavoratori.
Il segretario milanese della CGIL, Luca Stanzione, ha giustamente rivendicato il ripristino della responsabilità del committente in appalti e subappalti senza però rilanciare i 5 Sì al referendum dell’8-9 giugno dei quali il quarto tratta proprio tale argomento.
Per Fabio Nava, segretario della Cisl Lombardia, la sicurezza sul lavoro si garantirebbe col “Rinascimento partecipativo” basato sulla “coesione sociale” ossia sul riesumato corporativismo fascista in versione meloniana. Enrico Vizza, segretario Uil Lombardia, dopo aver dichiarato la sua devozione per papa Bergoglio, si è appellato al buon cuore dei padroni affinché “preferiscano valorizzare il capitale umano al profitto” (sic!).
Nel pomeriggio, partito da piazzale Loreto, si è svolto il corteo della May Day Parade promosso dai sindacati di base insieme ad associazioni, centri sociali e studenti che ha percorso un tratto della circonvallazione est terminando al quartiere Corvetto. Un corteo definito dagli organizzatori “festoso, ma di lotta, per gridare 'No' al dilagare della precarietà e del lavoro povero e al Ddl sicurezza”. “Viviamo una pesante congiuntura politica, dove si intrecciano da una parte bassi salari, occupazione precaria, crisi abitativa e stato sociale sempre meno disponibile, e Milano è la punta più avanzata dell’impoverimento, frutto di quarant’anni di politiche concertative neoliberiste - ha detto Walter Montagnoli, segretario nazionale della CUB - e dall’altra l’incremento della repressione, con il Ddl sicurezza del governo, che rappresenta un pesante giro di vite per cercare di limitare i diritti di scioperare, manifestare, protestare”.

7 maggio 2025