Cassa integrazione per 3924 lavoratori
Nazionalizzare l'ex Ilva
I lavoratori chiedono le dimissioni di Urso

Mentre i lavoratori di Taranto ripiombano nell’incubo di perdere il lavoro, continua lo scaricabarile del governo sull’ex Ilva. Dopo una settimana caotica nell’industria siderurgica pugliese, il ministro alle Imprese Adolfo Urso ha scansato le domande delle opposizioni. "Ove ci fosse una richiesta di informativa sull’incidente all’Altoforno n. 1 del 7 maggio sono disponibile a farla anche domani. Ma oggi è sui dazi", ha detto Urso alle Camere, dopo aver rilasciato interviste in cui annunciava lo sblocco di 100 milioni di euro destinati all’integrazione del prestito ponte e aver assicurato "continuità produttiva e stabilità operativa da qui alla cessione dell’azienda", confermando la volontà dell’azera Baku Steel di portare avanti il percorso di acquisizione. A breve sarebbe previsto anche l’arrivo del decreto legge per le modalità di partecipazione della società con il probabile coinvolgimento di Invitalia.
Dopo un incidente all’interno dell’ex Ilva che poteva essere una strage (gli operai per salvarsi dalla colata si sono tuffati in una vasca) e l’azienda, che secondo la Procura, ha cercato di ridimensionare l’accaduto, l’altoforno è stato sequestrato senza facoltà d’uso in un momento assai delicato perché è in corso la trattativa per la vendita dell’azienda al gruppo azero Baku Steel.
Il tutto con scontro violento tra politica e magistratura. Con la procuratrice di Taranto, Eugenia Pontassuglia, che è dovuta intervenire per rimettere in ordine le cose mentre un pezzo del governo cercava di addossare alla magistratura il fermo dell’impianto. E Fratelli d’Italia, addirittura, invocava un’ispezione ministeriale.
L’ottimismo di Urso non è condiviso dai segretari generali di Fim, Fiom, Uilm, Ferdinando Uliano, Michele De Palma, Rocco Palombella, che ieri hanno inviato al governo la richiesta di una "convocazione urgente del tavolo permanente per proseguire l’aggiornamento della situazione del gruppo Acciaierie d’Italia in AS – ex Ilva, alla luce dei recenti fatti gravi avvenuti e dalle notizie a mezzo stampa". "Nel momento in cui è in discussione l’ex Ilva è del tutto evidente che è a rischio il futuro industriale del nostro Paese – ha spiegato De Palma alla riunione dei delegati ex Ilva e appalto a Taranto – abbiamo chiesto di poter contribuire alla scrittura del bando e ci è stato detto che non erano competenze del sindacato, poi è stata avviata la trattativa con Baku ma era assolutamente necessario il fatto che non si tornasse sempre sullo stesso gioco, che lo Stato mette i soldi e i privati poi fanno i propri interessi. Il punto è che gli effetti di quello che sta succedendo si stanno scaricando sui lavoratori, ecco perché è fondamentale che sia la presidente del Consiglio a prendere in mano la situazione e confrontarsi con i soggetti interessati".
Dopo il sequestro dell’altoforno 1 da parte della procura di Taranto (a seguito dell’incendio del 7 maggio) e l’iscrizione nel registro degli indagati di tre persone con l’accusa di omissione dolosa di cautele contro infortuni sul lavoro, Urso se l’era presa con la Procura che, a suo dire, si era mossa in ritardo. Una ricostruzione bollata come fantasiosa dagli inquirenti. Il ministro aveva preannunciato che il danno all’Altoforno 1 avrebbe avuto "inevitabilmente immediate ripercussioni sull’occupazione". E infatti: martedì Acciaierie d’Italia (in amministrazione straordinaria dallo scorso febbraio) ha reso noto che, a causa delle ridotte capacità produttive provocate dal blocco dell’Altoforno 1, avrebbe accresciuto ulteriormente il numero dei dipendenti in cassa integrazione: 3.926. Di questi, 3.538 dallo stabilimento di Taranto, 178 da Genova – Cornigliano, 165 di quello di Novi Ligure e 45 di quello di Racconigi, Cuneo.
"Siamo preoccupati e stanchi di essere usati come Bancomat – ha detto Piero, operaio del reparto Grf dell’ex Ilva. Francesco che lavora alla Colata Continua dell’Acciaieria 2, segnala "tensioni a livello psicologico, nello stabilimento ormai si vive quasi nel terrore, ora i fondi stanno finendo e non si prospetta alcun futuro se lo Stato non prende in mano la situazione". I lavoratori segnalano anche il rischio di incidenti sul lavoro e chiedono le dimissioni del ministro, "invece continuano a giocare sulla pelle dei cittadini di Taranto".
L'unica strada per l'ex Ilva è quella della nazionalizzazione salvaguardando l'occupazione e la salute della popolazione e mettendo in sicurezza gli impianti, la trattativa con Baku Steel per l'acquisto con tanto di svendita è da abbandonare.

21 maggio 2025