A Roma
Il manganello di Meloni si abbatte sui manifestanti contro il decreto fascista “Sicurezza”
Mentre in piazza la polizia di Piantedosi si scaglia sui manifestanti, in una Camera disertata dalla maggioranza il nero esecutivo pone la fiducia
Cacciare immediatamente Meloni e i suoi gerarchi
Il 26 maggio è stato discusso alla Camera il Decreto Sicurezza approvato dal Consiglio dei Ministri il 4 aprile scorso. Il documento, composto da 34 articoli restringe fino a cancellarli anche i più basilari diritti democratico borghesi, su tutti quello di manifestare, e criminalizza il dissenso. Dall’altro lato sdogana la repressione attraverso misure che danno un enorme potere ed altrettanta legittimità alle forze dell’ordine borghese e ai servizi segreti, il tutto inquadrato in un inasprimento generale della giustizia penale sia fuori che dentro le carceri, e ai danni dei migranti. Insomma, in due parole, un decreto fascista e razzista, come abbiamo detto e spiegato numerose volte sulle colonne del nostro giornale.
La mobilitazione contro questo decreto dura da più di un anno, e ha visto costituirsi fra le altre organizzazioni minori, due reti di lotta distinte; la prima “A pieno Regime”, la seconda “Liberi e libere di lottare contro il Decreto Sicurezza”, che hanno finora avuto percorsi diversi legati soprattutto dalla loro differente visione sociale e politica, al prima più riformista, la seconda più “radicale”.
Tuttavia, dato il colpo di mano del Governo avviando l’iter del Decreto Legge per il pacchetto “SIcurezza”, la rete “A Pieno Regime” ha promosso due giornate di mobilitazione per lunedì 26 e sabato 31 maggio nella capitale.
Il manganello meloniano reprime il corteo
Durante il primo dei due appuntamenti il concentramento di piazza Barberini ha dato vita ad un corteo combattivo e rumoroso di qualche migliaio di persone sul quale si è scagliato ancora una volta pesante il manganello del governo. Erano presenti tantissime sigle dell’associazionismo progressista, delegazioni di partiti della “sinistra” istituzionale e non solo, ed alcune sigle dei sindacati di base. Fra di esse i Cobas. che in un post di qualche giorno fa che invitava alla partecipazione, definivano il decreto come una legge capace di andare oltre anche al “famigerato codice Rocco fascista”, capace di rappresentare “l’ordito di legge più reazionario e repressivo non solo dell’Italia repubblicana ma dell’intera giurisdizione europea e occidentale dell’ultimo mezzo secolo”.
Al comizio iniziale, numerosi i cori “Siamo tutti antifascisti”, ed altrettante le rivendicazioni “per una sicurezza che sia quella di avere una sanità ed una scuola pubbliche in ogni territorio ed una cassa dove abitare”. Grande presenza di bandiere palestinesi, a conferma del filo antifascista ed antimperialista che unisce le due lotte.
Il corteo ha poi percorso via del Tritone verso la sede del Parlamento dove il testo era in discussione, e li i manifestanti sono stati bloccati e respinti da un immenso schieramento di polizia in assetto antisommossa. Negli scontri è rimasto ferito anche l'assessore del comune di Roma Luca Blasi: “Stavo cercando di calmare gli animi mediando tra le prime linee di manifestanti e il cordone delle forze dell'ordine – ha affermato Blasi -, quando sono stato circondato da tre agenti e colpito con una manganellata al volto, all'altezza della tempia, e ora sono in ambulanza diretto all'ospedale Santo Spirito". E le immagini registrate sono eloquenti.
La repressione fascista che si è verificata oggi a Roma è la diretta applicazione della strategia del governo Meloni, e non “incidenti” come vengono definiti dalla stampa di regime. Gli avvenimenti odierni sono infatti parte integrante del regime neofascista già instaurato, e rafforzato da questo nero esecutivo.
Siamo già in un regime capitasta neofascista
Non si tratta quindi dell'avvio di una “torsione autoritaria senza precedenti nella storia repubblicana” come affermano alcuni esponenti della rete, perché il neofascismo c'è già, ed è giunto da tempo il momento che tutte le forze sindacali, politiche e sociali, lo denuncino in massa chiamando tutte assieme il popolo antifascista alla piazza per cacciare il governo che lo rappresenta. Alla rete “A pieno regime” infatti il nostro partito ha inviato una specifica lettera aperta pubblicata sul numero scorso del giornale (scaricabile sul sito www.pmli.it - Lettera aperta alla Rete No DDL Sicurezza) con le nostre posizioni in merito e con l’auspicio questa opposizione sia mirata a far cadere il Governo Meloni il prima possibile, senza dover attendere l’eventuale costituzione di nuovi possibili cartelli elettorali e dare all’esecutivo altro tempo per ridurre i diritti ed inasprire il suo pugno repressivo contro le masse popolari antifasciste ed antimperialiste in lotta.
Per noi il governo Meloni deve essere abbattuto ora, e con esso tutti i provvedimenti fascisti e razzisti che si porta dietro, a partire appunto dal decreto Sicurezza che mostra il suo lato più reazionario e razzista.
Ecco perché anche noi chiamiamo all'unità tutte le forze antifasciste e antigovernative senza eccezione alcuna, in un fronte che voglia chiudere per sempre col governo Meloni che rafforza i poteri repressivi dello Stato borghese, si accanisce con chi è povero e con coloro che manifestano, attraverso forze dell’ordine che sono lo strumento politico della classe dominante per intimidire e schiacciare ogni forma di opposizione.
“Il vero obiettivo non è la sicurezza, ma il controllo sociale. Meloni e Piantedosi vogliono costruire un Paese dove sia impossibile organizzarsi, scioperare, manifestare, protestare – hanno affermato alcuni rappresentanti della rete -. Un Paese in cui chi alza la testa viene subito colpito e isolato. Oggi a Roma migliaia di persone hanno sfidato questo clima tossico. Studenti, lavoratori, attivisti, realtà sociali e sindacali hanno dimostrato che non c'è paura che possa fermare la volontà di cambiamento.”.
Ma nonostante tutto, la rete “A pieno regime” e in generale gran parte delle realtà antifasciste che stanno lottando contro il decreto Sicurezza non hanno fatto ancora quell'indispensabile salto di qualità nella denuncia che servirebbe da megafono per svegliare quanti ancora non hanno maturato la coscienza necessaria per scendere convintamente in piazza.
Anche nel rilancio della manifestazione nazionale del 31 maggio alla quale aderiamo convintamente auspicando grande partecipazione e l'appoggio fattivo anche della rete “Libere e liberi di lottare contro il decreto sicurezza”, si denuncia il carattere “eversivo” del decreto, la “deriva autoritaria” del governo Meloni, si rilancia la “torsione autoritaria”, ma non il neofascismo già imperante che si tocca con mano in tutte le misure concrete imposte da questo governo.
E se servono altre prove, basta vedere a cosa è stato ridotto anche lo stesso parlamento borghese, inutile orpello che per il largo fronte isituzionalista rappresenterebbe ancora un presidio democratico.
Il governo pone la fiducia sul pacchetto Sicurezza in una Camera disertata dalla maggioranza
“Invitiamo deputati e deputate all’insubordinazione dentro l’aula – si leggeva nel comunicato di lancio della mobilitazione - mentre fuori mostreremo che questo paese non è silente.”. E già in mattinata, ben prima dell’inizio della discussione, i gruppi di opposizione sono intervenuti per denunciare la procedura seguita in Commissione Affari Costituzionali, a partire da quella che ha impedito il completamento dell'esame dell'originario disegno di legge poi trasformato in decreto d’urgenza, fino a quelle di giovedì scorso sulle modifiche e sulle dichiarazioni di voto. E' un fatto gravissimo infatti che per la prima volta nella storia del nostro Paese un decreto in prima lettura non viene modificato da alcun emendamento.
Infischiandosene dunque delle più basilari norme istituzionali, il governo continua a tirare dritto anche in Aula a Montecitorio, dove i banchi della maggioranza sono rimasti praticamente deserti (presenti due esponenti della Lega e quattro di Fratelli d’Italia che non hanno aperto bocca), perché l’esecutivo aveva già dichiarato di voler porre il voto di fiducia al termine della discussione che si preannunciava lunga.
Nel dibattito sono intervenuti infatti oltre trenta deputati dell'opposizione, in particolare Movimento 5 Stelle, Italia Viva, AVS, Partito Democratico e +Europa, che hanno contestato il contenuto e il metodo con cui il decreto è stato proposto e discusso, rimanendo però in poco più di quella “polemica giornalistica” al quale faceva riferimento Mussolini all'indomani dell'omicidio Matteotti per prendersi gioco dell'opposizione imbelle ed inconcludente, più preoccupata a svolgere il proprio ruolo senza sporcarsi troppo le mani, anziché agire per fermare un regime.
Alle denunce parlamentari ed a quelle espresse dalla piazza, si unisce anche l’Associazione Italiana dei Professori di Diritto Penale (AIpdp), rappresentativa di oltre 200 docenti, che ha annunciato una settimana di “mobilitazione” e riflessione critica in 10 atenei italiani. Questa iniziativa segue quella degli oltre 250 giuspubblicisti, della magistratura incluso il Csm, delle Camere penali, e dopo le critiche mosse anche da relatori Onu e dall’Ocse, che hanno avviato un ciclo di iniziative in tutta Italia sul tema.
In ogni caso il tempo è scaduto. Fermiamo il governo neofascista Meloni prima che abbia spazzato via ogni residua libertà democratico-borghese, e per farlo serve un quanto più ampio fronte unito possibile che abbia come unico punto programmatico la caduta immediata del nuovo Mussolini in gonnella e dei suoi gerarchi.
28 maggio 2025