La più importante riflessione sul referendum
Convincere le masse di sinistra che per cambiare l'Italia occorrono il socialismo e il potere politico del proletariato
Passato il referendum, conclusosi col non raggiungimento del quorum, pur arrivando i Si ai quattro quesiti sul lavoro alla non trascurabile cifra di 13 milioni (meno di 10 però i Si al quesito sulla cittadinanza), si è aperta la discussione sull'interpretazione del voto (e della diserzione dalle urne) e sulle indicazioni politiche da trarne nell'immediato futuro. Per quanto ci riguarda abbiamo già dato una prima risposta ad urne appena chiuse, sul numero scorso de “Il Bolscevico”, quando ancora mancavano le analisi sui flussi elettorali. Stavolta cerchiamo di approfondire ulteriormente la riflessione.
Quali sono le cause dell'insufficiente partecipazione al voto, attestatasi a circa il 30%, e quelle della notevole discrepanza tra i Si ai quattro referendum sul lavoro (circa l'87% in media) e quelli al referendum sulla cittadinanza, che sono arrivati solo al 65%? Come abbiamo già chiarito nell'articolo precedente, per quanto riguarda la prima domanda, le cause sono molteplici: innanzi tutto i partiti che sostengono il governo neofascista Meloni hanno fatto di tutto per far fallire i referendum, puntando sull'astensionismo e propagandandolo attivamente e apertamente, così da non dover prendere posizione per il no su quelli sindacali. In diversi seggi, soprattutto al Sud, il governo e i Comuni di destra hanno addirittura boicottato il voto, facendo mancare le schede, o i certificati elettorali e altri trucchi burocratici.
I fattori che hanno inciso sull'astensionismo
Anche se secondo alcuni sondaggisti e l'analisi dell'Istituto Cattaneo, circa 1/5 degli elettori di destra è andato a votare lo stesso, votando ovviamente No al quesito sulla cittadinanza, ma Sì a quelli sul lavoro, in particolare sul reintegro dopo ingiusto licenziamento, in generale non c'è dubbio che il boicottaggio del voto da parte del governo ha influito pesantemente sull'astensione, se non altro seminando in partenza la certezza che il quorum non sarebbe stato raggiunto e quindi dell'inutilità di recarsi alle urne. Ciò ha funzionato in particolare nel Mezzogiorno e nell'Italia dei piccoli centri sotto i 15 mila abitanti (28% di affluenza media), piuttosto che nei comuni più grandi, quelli sopra i 350 mila abitanti, dove l'affluenza media è stata del 37%. E tra questi, è stata più alta nelle periferie piuttosto che nei centri urbani (le cosiddette Ztl), dove a influire sul maggior astensionismo (sui referendum sindacali) sono stati invece i partiti “centristi” (Azione, IV, FI). Ai quali si è aggiunta la destra “riformista” del PD, che ora cerca si scalzare Elly Schlein rinfacciandole la “sconfitta profonda, seria, evitabile, un regalo enorme alle destre”, come ha dichiarato subito la sua rivale super-sionista, Pina Picerno.
Avevamo anche sottolineato, però, e lo ribadiamo alla luce dell'analisi dei flussi, che l'astensionismo era più conseguenza della sfiducia e del disgusto ormai radicati verso i partiti borghesi della destra e della “sinistra” del regime capitalista neofascista, che della propaganda e del boicottaggio del governo e altre forze politiche. E anche verso i sindacati confederali, marchiati ormai dall'infausta politica capitolazionista della “concertazione”, come la Cgil e La Uil che pure i referendum sul lavoro li hanno promossi, ma senza impegnarsi fino in fondo nel sostenerli e propagandarli, come abbiamo fatto noi marxisti-leninisti con spirito unitario di classe e con le nostre pur limitate forze. Così come, del resto, hanno fatto ancor meno i partiti dell'opposizione parlamentare di burro – PD, AVS, M5S - , a parte qualche passerella elettoralistica nei talk show e poco altro.
Non ultimo, nella rinuncia dell'elettorato, ha pesato anche il tradimento della vittoria del referendum sull'acqua pubblica e contro le centrali nucleari del 2011, ignorata sfacciatamente da tutti i governi e le amministrazioni locali della destra, “tecnici” e di “centro-sinistra” che si sono succediti fino ad oggi, che si è arrivati addirittura a ritirare fuori come se niente fosse il mantra delle centrali nucleari “sicure”.
Il controverso referendum sulla cittadinanza
Quanto alla maggiore incidenza di No sul 5° referendum, quello sulla cittadinanza (quasi il triplo dei No agli altri 4), i fattori che hanno inciso sono complessi. Tra i quali c'è sicuramente la disinformazione e la forsennata propaganda dei partiti della maggioranza neofascista e leghista e dei loro media fiancheggiatori, che hanno fatto credere che si trattasse di concedere effettivamente la cittadinanza dopo 5 anni, mentre in realtà si trattava della riduzione del tempo di attesa da 10 a 5 anni per poter avanzare la domanda per avere la cittadinanza, che adesso viene ritardata di proposito anche fino a 20-25 anni, per i cittadini stranieri che vivono e lavorano regolarmente in Italia.
A contribuire all'aumento della percentuale di No, fino alla media nazionale del 35% (contro il 13% dei referendum sul lavoro) è stata però anche una parte di elettori della sinistra parlamentare. In particolare quelli del M5S (e non a caso Conte aveva dato “libertà di voto” sul 5° quesito), tra cui è ancora forte l'avversione ai migranti, evidentemente: secondo il Cattaneo i suoi elettori si sono schierati per il No per ben il 61% a Milano, il 54% a Torino, il 67% a Genova, il 69% a Bologna, il 50% a Roma, e “solo” il 24% a Napoli. Ma anche non trascurabili quote di elettori del PD li hanno imitati, tra l'altro nelle ex “regioni rosse” con l'affluenza più alta, votando No per il 22% a Genova, il 21% a Bologna e il 25% a Firenze.
Le interpretazioni di Landini e Schlein
Quali sono state le reazioni e le lezioni tratte da questi risultati dalla Cgil e dai partiti dell'opposizione parlamentare, e anche dagli intellettuali che si collocano alla sua sinistra? In conferenza stampa Landini ha ammesso che l'obiettivo di cambiare le leggi “non l'abbiamo raggiunto. Non è una vittoria”. Ma oltre alla “politicizzazione” fattane dal governo ha dato la colpa ad “un'evidente crisi della democrazia e della partecipazione”. Lasciando intendere, in altre parole, che bisogna riportare gli astensionisti al voto, magari “ricominciando da 14”, che sono i milioni di italiani che pure si sono recati alle urne.
In realtà quello che è uscito battuto dalle urne è il suo progetto di usare la leva elettorale per cambiare il Paese, facendo forza sulla legislazione del lavoro per spostare gli equilibri politici “senza mettere in discussione la legittimità di questo governo”, come ha assicurato più volte. Invece di usare la leva della lotta di classe, dello sciopero e della lotta senza quartiere nelle fabbriche e sui territori, per difendere i diritti e le conquiste dei lavoratori aggrediti da questo governo neofascista, che deve essere cacciato via al più presto con la lotta di piazza delle masse.
Va ancora peggio con l'opposizione di burro della triade PD-M5S-AVS. Per Elly Schlein (ma anche Conte e Fratoianni la seguono sulla stessa linea) vale la tesi consolatoria che i 13 milioni di sì sono comunque di più di quelli presi dalla maggioranza di governo alle politiche del 2022 (circa 12,5). Per cui rimanda lo sperato segnale di “sfratto anticipato” alla Meloni alle prossime regionali, attribuendosi abusivamente in toto quei voti, che invece abbiamo visto essere il risultato di flussi complessi e non sovrapponibili del tutto con il cosiddetto “campo largo”. E lo fa con un ragionamento del tutto speculare a quello del governo, che si appropria del 70% di astenuti per dire che esce “rafforzato” dal referendum. E per rendere più difficile il ricorso a questo utile istituto di consultazione popolare, come con la proposta di aumentare il numero delle firme necessarie, mentre al contrario va abbassato il quorum ormai anacronistico del 50%.
Evitare un'altra trappola elettoralista
In sostanza sia Landini che l'opposizione parlamentare danno un indirizzo fuorviante e tutto in chiave elettoralista e riformista alla riflessione sulla sconfitta dei referendum, cercando di far appello sia ai votanti del Si che alle masse di sinistra che non sono andate alle urne per una “rivincita” alle prossime tornate elettorali, per riportare la “sinistra” borghese al governo. Anche alcuni tra i più influenti intellettuali di sinistra, critici dei partiti dell'opposizione parlamentare, cadono in questa trappola elettoralista, partendo tutti da una comune interpretazione errata e pessimistica del mancato raggiungimento del quorum. Chi attribuendolo ad una “distrazione delle masse”, come scrive il costituzionalista Gaetano Azzariti su Il Manifesto
dell'11 giugno, per il quale “chi governa legittimamente il Paese” lo fa anche “in ragione del disinteresse della maggioranza del corpo elettorale che non va a votare”. Chi lamentando un “sonnambulismo” e “apatia” della società civile, “un male oscuro che mina le nostre democrazie”, come fa il politologo Marco Revelli su Il Fatto
del 10. Tesi che rispecchia quella di Landini e condivisa anche dai professori Tomaso Montanari e Francesco Pallante, su Il Fatto
del 12, per i quali i Sì ai referendum sul lavoro “non valgono a nascondere lo stato penoso in cui versa la democrazia italiana”.
Per questi ultimi l'alternativa sarebbe la “nascita di un Partito del lavoro – costruito sul modello del Partito laburista inglese delle origini, come emanazione del sindacato –, che potrebbe arrivare là dove lo strumento referendario non poteva, costitutivamente, arrivare. E, magari, spingersi oltre, nel segno della riscoperta della Costituzione”. Un'alternativa socialdemocratica, costituzionalista ed elettoralista per cambiare l'Italia, simile in definitiva a quella ancora vagheggiata da Landini. Più simile a quella del “campo largo”, con l'aggiunta di suggestioni movimentiste, la via d'uscita suggerita da Azzariti, secondo cui “è questo il tempo di definire un programma di governo alternativo. Una prospettiva che non va delegata in via esclusiva ai partiti, semmai essi devono essere incalzati, affinché loro tramite possano i cittadini tornare a 'concorrere con metodo democratico a determinare la politica nazionale'”.
La questione centrale è il potere del proletariato
Non ci siamo. L'alternativa per cambiare veramente l'Italia non può essere quella di convincere gli ormai tantissimi astensionisti di sinistra a tornare a votare le liste per dare al regime capitalista neofascista un governo di “centro-sinistra” o di “campo largo” al posto del governo neofascista Meloni, più o meno supportato e partecipato da sindacalisti e da partiti e movimenti trotzkisti, parlamentaristi e costituzionalisti alla sua sinistra. È un'esperienza amaramente fallimentare per le masse lavoratrici e popolari già fatta più volte, coi governi Prodi 1, D'Alema, Amato, Prodi 2, Letta, Renzi, Gentiloni e Conte 2, e siamo arrivati a questo punto.
Al punto cioè che oggi si tratta di fare i conti col governo neofascista di Mussolini in gonnella, che si riconosce anch'esso nella Costituzione borghese, eppure sta attuando la stessa politica economica neocorporativa, la stessa politica interna oppressiva, poliziesca e razzista, e la stessa politica estera espansionista e guerrafondaia del duce, e sta per completare con il premierato e la controriforma della giustizia il piano della P2 di Gelli e Berlusconi. E che perciò va cacciato al più presto con la lotta di piazza, prima che sia troppo tardi.
Come ha ben spiegato il Segretario generale e Maestro del PMLI Giovanni Scuderi nel suo Editoriale in occasione del 47° Anniversario della fondazione del PMLI dal titolo “La via maestra per cambiare l'Italia
”: “I fatti dimostrano che la vigente Costituzione è ormai divenuta la costituzione della sinistra e della destra del regime capitalista neofascista. Essa infatti ha prodotto governi di “unità nazionale”, di centro, di "convergenze parallele", di "non sfiducia", di "solidarietà nazionale", di “centro-sinistra”, di “centro-destra”, governi ibridi diretti dal trasformista liberale Giuseppe Conte, e persino il governo di Mario Draghi realizzato da un golpe di Sergio Mattarella e quello neofascista di Giorgia Meloni. Quest'ultimo governo, che rappresenta il ritorno di Mussolini nelle vesti femminili, democratiche e costituzionali, sta attuando esattamente la stessa politica interna ed estera di Mussolini e sta completando col premierato il “Piano di rinascita democratica” della P2 di Gelli e di Silvio Berlusconi, senza incontrare alcun ostacolo concreto e risolutivo dall'imbelle “sinistra” borghese. Va fermato. Dalla piazza.
Come è possibile allora fare affidamento sulla Costituzione, in cui si riconoscono le due ali principali della classe dominante borghese, per cambiare l'Italia? Se non si abbandona ogni illusione costituzionale e non si intraprende la via maestra della Rivoluzione Socialista d'Ottobre niente di sostanziale potrà cambiare.
“
Non si tratta di convincere le masse di sinistra a tornare alle urne, ma al contrario convincere le masse di sinistra ad andare oltre alla protesta silenziosa dell'astensionismo, abbandonare ogni illusione costituzionale e confidare solo nella lotta di classe e nella via maestra tracciata dalla Rivoluzione Socialista d'Ottobre, senza la quale niente di sostanziale potrà cambiare. Questo è il grande compito oggi degli antifascisti, anticapitalisti e intellettuali del popolo più coscienti e avanzati: far recuperare alle masse di sinistra la coscienza, una volta ben presente ma purtroppo cancellata dai dirigenti borghesi del PCI revisionista e dei partiti socialdemocratici, liberali e riformisti che gli sono succeduti, che per cambiare veramente la società ed abolire lo sfruttamento, la miseria, il fascismo e le guerre imperialiste occorrono il socialismo e il potere politico del proletariato.
Sostituire il proletariato alla classe dominante borghese, questa è la questione fondamentale su cui riflettere e di cui occorre discutere, perché il voto serve unicamente a decidere l'alternanza delle due fazioni di essa, la destra e la “sinistra” borghesi, a servire e completare il regime capitalista neofascista.
Per questo il Segretario generale e Maestro del PMLI, Scuderi, in occasione del 48° anniversario della sua Fondazione che ricorreva lo scorso 9 aprile, ha lanciato l'importante appello “Operaie e operai, parliamoci!”, in cui si sottolinea fra l'altro: “È un dovere proletario rivoluzionario reciproco incontrarci e parlare dei problemi del momento, soprattutto della questione del potere politico del proletariato, che è la madre di tutte le questioni. Una questione che è assente nelle discussioni nei luoghi di lavoro, nei sindacati e nei partiti che si richiamano ai lavoratori. Un tempo non era così, anzi era viva e operante all'interno del proletariato e degli anticapitalisti. Appassionava anche gli intellettuali del popolo. Dovreste riaffrontarla, ne va del vostro avvenire
”.
18 giugno 2025