Il gendarme Egitto blocca la Marcia su Gaza
Il genocidio nazisionista prosegue sul fronte di Gaza
L'Assemblea generale dell'Onu a larga maggioranza chiede cessate il fuoco e fine del blocco umanitario
Oltre 250 mila dimostranti sfilano a sostegno dei diritti palestinesi all'Aja e Bruxelles

Il vertice militare sionista comunicava il 14 giugno che Gaza diventava “un fronte secondario. L’Iran è il nostro primo obiettivo”, l'obiettivo attaccato il giorno prima. Cosa voleva dire in concreto lo dimostravano le cronache proprio dello stesso giorno con almeno 41 palestinesi uccisi secondo una contabilità del governo di Hamas sempre più difficile da trasferire all'esterno dopo che il giorno precedente l'esercito occupante aveva colpito con attacchi sistematici le infrastrutture di Internet e sparava contro chi tentava di ripararle. Il fronte secondario diventa quindi una zona ancora più buia, da tempo interdetta a osservatori esterni, con nessuna possibile copertura mediatica al genocidio in corso che al 15 giugno registra oltre 180 mila tra morti e feriti.
Gli sviluppi bellici sul fronte principale in Iran hanno anche portato al rinvio a chissà quando della conferenza delle Nazioni Unite che avrebbe dovuto aprirsi il 17 giugno a New York, su due Stati per due popoli affidata alla conduzione congiunta di Francia e Arabia saudita e nella quale il presidente francese Emmanuel Macron aveva già annunciato di voler formalmente riconoscere lo Stato palestinese. Ora è corso a offrire i suoi servigi ai nazisionisti per difendersi dai missili iraniani, non per gli attacchi precisava; già a quelli ci pensano da soli.
Un atteggiamento identico, quello del presidente francese, a quello del premier inglese Starmer che assieme a lui correva a offrire assistenza ai criminali sionisti due giorni dopo che aveva annunciato sanzioni contro due ministri sionisti, Bezalel Smotrich e Itamar Ben-Gvir per i loro discorsi d'odio e incitamento alla violenza contro i palestinesi di Cisgiordania; una misura decisa assieme a Australia, Canada, Norvegia e Nuova Zelanda. Meglio che nulla, ma i due ministri incitano e tutto il governo del criminale Netanyahu congiuntamente esercita la violenza dell'occupante in una Cisgiordania che guarda caso da molto tempo è sparita, leggi inglobata, nelle sue cartine geografiche. E per Gaza dove è in corso un genocidio, niente. Starmer è stato più veloce della luce a fare marcia indietro, vediamo gli altri che fanno, resta il quasi nulla di una presa di posizione a questo punto debole e inefficace. Condannata anzitutto dagli Usa, col segretario Rubio che sui social lanciava strali di fuoco, “gli Stati Uniti condannano le sanzioni imposte dai governi di Regno Unito, Canada, Norvegia, Nuova Zelanda e Australia a due membri del gabinetto israeliano. Queste sanzioni non fanno avanzare gli sforzi guidati dagli Stati Uniti per raggiungere un cessate il fuoco, riportare a casa tutti gli ostaggi e porre fine alla guerra”. Così si esprime l'arroganza imperialista, che nega persino la realtà, degli Usa di Trump e dei suoi fedeli alleati.
Il controllo del “fronte secondario” era comunque garantito dal golpista egiziano al Sisi che il 12 giugno aveva bloccato i partecipanti alla Marcia Globale per Gaza, la marcia pacifista convocata per domenica 15 giugno davanti al valico di Rafah. L'Egitto, il secondo destinatario mondiale degli aiuti militari americani dopo i sionisti, si è guadagnato la prossima rata bloccando diverse centinaia di manifestanti che erano arrivati al Cairo per unirsi nel tratto finale alla carovana partita dalla Tunisia. Sono state fermate e espulse tra le 300 e le 400 persone,” denunciava un'avvocata egiziana per i diritti umani, “molti sono stati fermati all’aeroporto e subito espulsi, altri prelevati con la forza dai loro hotel e espulsi. Due voli completi sono stati respinti. Tra le persone colpite ci sono cittadini di Spagna, Grecia, Francia, Germania, Italia, Stati Uniti, Canada, Colombia, Venezuela, Sudafrica, Norvegia e Paesi Bassi”.
Parallelamente all’arrivo dei manifestanti al Cairo, un convoglio di migliaia di persone era partito via terra dall’Algeria, attraversando la Tunisia e la Libia Occidentale. Il convoglio “Sumoud” (convoglio della Costanza) doveva raggiungere l’Egitto entro il 15 giugno per unirsi alla Marcia ma era bloccato sempre il 12 giugno nella città di Sirte dalle autorità della Libia orientale, legate all'Egitto.
Spariva nel nulla per la campagna di propaganda sionista a favore della guerra all'Iran la già poco efficace, per quanto significativa, risoluzione dell'Assemblea Generale che il 12 giugno chiedeva a Israele, la potenza occupante, di porre immediatamente fine al blocco di Gaza, di aprire tutti i valichi di frontiera e di garantire che gli aiuti raggiungano la popolazione civile palestinese in tutta la Striscia di Gaza immediatamente e in modo capillare. Un voto dopo che il Consiglio Onu era stato bloccato sullo stesso argomento il 4 giugno da un veto degli Usa, e l'unico che avrebbe avuto potere vincolante, per quanto i nazisionisti si facciano beffe pure di questo. Resta agli atti che dei 193 membri presenti, una larga maggioranza di 149 paesi ha approvato la risoluzione, rospetto a soli 12 contrari e 19 astenuti.
"Accogliamo con favore la risoluzione dell'Assemblea Generale delle Nazioni Unite per un cessate il fuoco a Gaza, l'apertura di corridoi umanitari e la distribuzione di aiuti. Il voto schiacciante dell'Assemblea Generale a favore della risoluzione è una vittoria politica e morale per il nostro popolo, fedele alla sua causa, e la prova del fallimento dell'occupazione”, commentava Hamas.
La solidarietà alla causa del popolo palestinese non si fermava. Il 15 giugno organizzazioni della società civile malese lanciavano un'iniziativa internazionale, descritta come la più grande del suo genere, volta a rompere il blocco della Striscia di Gaza attraverso una mobilitazione marittima globale di 1.000 navi, in partenza da diversi continenti. Questa azione era descritta come una "intifada della coscienza umana" a sostegno del popolo palestinese e per chiamare l'occupazione israeliana a rispondere dei suoi crimini e del genocidio in corso.
Sempre il 15 giugno almeno 150 mila manifestanti sfilavano all'Aia, in Olanda, rispondendo all'appello lanciato di gruppi per i diritti umani e le agenzie umanitarie, tra cui Amnesty International, Save the Children e Medici senza frontiere, che avevano invitato i partecipanti a indossare magliette rosse in modo che il corteo che sfilava in un anello di cinque chilometri intorno al centro della città avrebbe creato simbolicamente la linea rossa che il governo olandese non ha tracciato per fermare la campagna di Israele a Gaza. Stessa iniziativa in Belgio, a Bruxelles con una folta partecipazione di 110 mila manifestanti.

18 giugno 2025