Varata una nuova controriforma previdenziale. Cgil, Cisl, Uil proclamano sciopero generale di 4 ore per il 24 ottobre
(Tutte le misure) MAZZATA DI BERLUSCONI E MARONI SULLE PENSIONI Dal 2008 a riposo a 65 anni. Falcidiate le pensioni di anzianità. Assegni più leggeri del 38% per chi vorrà lasciare il lavoro in anticipo. Il calcolo contributivo dimezza le pensioni future. Colpito il pensionamento dei lavoratori dell'amianto. La decontribuzione un regalo ai padroni PIU' PENALIZZATI I GIOVANI Dopo la legge 30 sul "mercato del lavoro'' che privatizza il collocamento e rende precario e flessibile tutto il lavoro, arriva la controriforma previdenziale iperliberista nei contenuti e fascista nei metodi. Ecco come il governo del neoduce Berlusconi procede in modo serrato e brutale, come uno schiacciasassi, nella distruzione di diritti fondamentali dei lavoratori, dei pensionati e dei giovani che saranno i lavoratori e pensionati del domani. Con l'approssimarsi della discussione e l'approvazione della legge finanziaria 2004, è partita l'offensiva governativa che in tempi rapidissimi ha portato alla definizione di un pacchetto di misure gravissime, ingiustificate e pesantissime che stravolgono in senso peggiorativo le precedenti "riforme'' messe in essere dai governi di "centro-sinistra'' Dini (nel 1995) e Prodi (nel 1997). Un'offensiva che ha ignorato totalmente le obiezioni e le richieste messe nero su bianco dalle confederazioni sindacali Cgil, Cisl e Uil, che nel caso specifico hanno ritrovato l'unità; e che ha violato platealmente e arrogantemente le regole più elementari di un confronto con esse. Lo abbiamo denunciato già più volte nel passato: il cosiddetto "dialogo sociale'' portato avanti dal ministro leghista del welfare, Roberto Maroni, non prevede dissensi e men che meno richieste di modifica e miglioramento dei provvedimenti esaminati, ma accettazione a scatola chiusa delle decisioni assunte autonomamente dall'esecutivo. Nell'iter per il varo della controriforma previdenziale è successo questo in modo evidente, marcato, scandaloso. BUGIE A RETI UNIFICATE Nessuna risposta è giunta infatti, al documento delle segreterie delle tre Confederazioni sindacali consegnato sei mesi fa, con il quale venivano contestate le misure contenute nella legge delega sulla previdenza, in particolare la decontribuzione di 3-5 punti per i neo-assunti a favore dell'imprese e il versamento obbligatorio del Tfr (Trattamento di fine rapporto) dei lavoratori nei fondi di pensione privati. La convocazione di Berlusconi e dei suoi ministri, il 29 settembre, dei vertici sindacali si è risolto in un monologo del neoduce di Arcore per snocciolare, come se nulla fosse, i pesanti provvedimenti antioperai e antisociali sulle pensioni. Senza nemmeno stare ad ascoltare le loro risposte, se ne è andato a registrare un infame e ducesco messaggio, poi trasmesso dalla Rai a reti unificate, per imbonire e ingannare gli italiani, con una montagna di bugie e mistificazioni e per offendere, aggredire e minacciare i sindacati che si apprestavano a proclamare lo sciopero generale. Ha avuto l'ardire di affermare che la sua "riforma'' è finalizzata a salvare le pensioni del domani, le pensioni dei giovani. Che falsità! Lo smantellamento della previdenza pubblica a favore di quella privata, ecco cosa interessa a Berlusconi. E le vittime principali di questo sistema previdenziale saranno proprio i giovani, tra l'altro condannati a una vita lavorativa precaria e frammentaria. Due giorni dopo Berlusconi e Maroni ufficializzano la loro "riforma'' strutturale che, in alcune parti risulta persino peggiore della proposta illustrata ai sindacati e alla Confindustria; ciò per andare incontro alle pressioni fatte dal grande padronato. Non solo è confermato dal 2008 l'innalzamento dell'età pensionabile a 65 anni per gli uomini e 60 per le donne, e l'incremento a 40 anni di contributi per andare in pensione anticipata, ma è introdotto un pesante e intollerabile disincentivo che taglia la pensione tra il 15 e il 38% per coloro che vorranno lasciare il lavoro usufruendo delle attuali norme (35 anni di contribuiti e 57 anni di età). Una penalizzazione questa che, di fatto, costringerebbe la maggioranza dei lavoratori a rimandare il pensionamento per non morire di fame. Senza pari la sfrontatezza dei vari Maroni e Alemanno (AN) che hanno invitato la Cisl e la Uil (ma non la Cgil) a evitare di indire iniziative di lotta e a proseguire la falsa e inesistente trattativa. Ma questa volta, per fortuna, la manovra insidiosa e vigliacca per dividere i sindacati e isolare la Cgil, messa in atto per esempio al tempo del "patto per l'Italia'', sembra non funzionare. Lo si evince dalla dichiarazione congiunta dei segretari generali dove si esplica che: le cose dette dal presidente del consiglio in televisione non rispondono a verità; le scelte del governo non si giustificano con fattori di equilibrio della spesa previdenziale e fanno pagare alle lavoratrici e ai lavoratori scellerate misure di politica economica e finanziaria, a partire dalla riduzione delle imposte ai redditi alti. E dove si lancia l'appello a tutti i lavoratori, ai giovani e ai pensionati alla mobilitazione per affossare la controriforma berlusconiana. Utilizzando, come prima risposta, la manifestazione già in programma a Roma il 4 ottobre, organizzata dalla Ces (Confederazione europea dei sindacati) e partecipando allo sciopero generale di 4 ore da svolgersi nella giornata del 24 ottobre. IL PRETESTO DELLA UE Le vere o presunte pressioni che l'Unione europea (Ue) avrebbe esercitato attraverso l'Ecofin verso il governo italiano per misure più radicali di contenimento e riduzione del debito pubblico, pena la non accettazione dei conti previsti nella nuova Finanziaria, è solo un pretesto colto al volo. Ci vogliono far credere che la mazzata sulle pensioni era inevitabile e per di più richiesta dalle istituzioni europee. In realtà la controriforma previdenziale (l'ennesima) faceva parte del programma di governo di Berlusconi; in parte contenuta nella legge delega presentata nel dicembre del 2001 e approvata in prima battuta alla Camera nel febbraio del 2003. Non v'è dubbio che lo scopo sia quello di ridurre notevolmente la spesa pensionistica, peggiorando i trattamenti e tagliando gli importi pensionistici, un risparmio di 12 mila miliardi di euro a regime, secondo Tremonti. E pensare che lo stesso viceministro dell'Economia, Mario Baldassarri (AN) incaricato di fare una verifica, aveva certificato il buon andamento dei conti dell'Inps almeno a fino tutto il 2005, nonostante che nelle casse dell'Istituto della previdenza sociale pesino spese cospicue di carattere assistenziale che andrebbero sostenute dalla fiscalità generale. Pensare che in appena 8 anni, ossia dalla "riforma'' Dini la spesa previdenziale è scesa di ben 25 mila miliardi di vecchie lire. E pensare che in Italia la spesa sociale è inferiore di alcuni punti percentuali rispetto alla media europea. Senza contare che dal '93 al 2001 i lavoratori dipendenti hanno visto ridursi il loro monte salari del 3,3% sul pil (prodotto interno lordo) pari a 70 mila miliardi di vecchie lire. L'attacco di Berlusconi e Maroni alle pensioni passa attraverso tre strumenti: le misure tra più importanti e più gravi sono state riunite in un emendamento alla prossima Finanziaria; altre sono state inserite nel decretone allegato sempre alla legge finanziaria; vi sono poi dei provvedimenti di non poco conto che fanno parte della sopracitata legge delega sulla previdenza. LE NUOVE NORME CONTRORIFORMATRICI Questa la misura più pesante e carica di conseguenze. Dal 2008 i contributi necessari per andare in pensione dovranno essere di 40 anni anziché 35. Oppure si potrà lasciare il lavoro al raggiungimento dei 65 anni per gli uomini e 60 per le donne. Una misura questa che non prevede gradualità. Perciò basta la mancanza di un giorno o di una settimana per maturare i 35 ani di contributi entro dicembre 2007 il lavoratore interessato dovrà rinviare il pensionamento di cinque anni. è rimasta una possibilità di lasciare il lavoro al gennaio del 2008 (fino al 2015) avendo maturato i requisiti attuali della pensione di anzianità (35 anni di contributi e 57 anni di età) ma a prezzo di una forte penale che va dal 15 al 38% della retribuzione. Taglio che si aggiunge alla riduzione del valore della pensione causato dall'introduzione del metodo di calcolo contributivo in luogo di quello retributivo più vantaggioso per i lavoratori. Con il rischio che la pensione scenda sotto al 50% della retribuzione ricevuta prima del pensionamento. Insomma, la pensione di anzianità se non è stata cancellata è stata falcidiata e il suo utilizzo reso altamente sconveniente. Il disincentivo provoca decurtazioni rilevanti alla pensione e di grandezza diversa a seconda che sia calcolata con il sistema retributivo, pro-rata (cioè misto) o con quello contributivo e se si è operai o impiegati. Si tratta di parecchie migliaia di euro in meno all'anno. Ecco qualche esempio fatto dal Cerp, l'istituto specializzato in politiche previdenziali. Da 19.500 a 13.100 euro annuali per un operaio di 57 anni in attività dal 1974. Da 39.300 a 21.800 euro per un impiegato con la stessa età e stessa anzianità di lavoro. Da 30.300 a 17.400 euro per un impiegato di 38 anni che ha iniziato a lavorare nel 1987. I primi a pagarne le spese in modo salato saranno i cinquantenni, perché non potranno andare in pensione quando avevano programmato, oppure dovranno rassegnarsi a prendere un mensile drasticamente decurtato. Sono 800 mila i soggetti interessati. Anche perché, in molti casi sono le imprese che tendono a disfarsi di questi lavoratori per esigenze di ristrutturazione o per assumere giovani con contratti flessibili e di minor costo. La richiesta costante di prepensionamenti (attualmente sono 12.600 con Fiat in testa), il fatto che la metà circa, di coloro che vanno in pensione anticipata sono direttamente sollecitati, con la minaccia di licenziamento o forme di mobbing, dalle imprese lo dimostra ampiamente. Quanto all'incentivo pari al 32,7% della retribuzione per non avvalersi delle normative vigenti e rinviare il pensionamento di anzianità nel periodo 2004-2007 è un provvedimento che risulterà in larga parte inefficace nella pratica, perché sono le aziende, come si è visto a non voler trattenere i lavoratori in età di pensione. Sarà anche poco conveniente per chi rimarrà al lavoro scegliendo l'incentivo in busta paga invece che versare i contributi previdenziali per far aumentare il valore della pensione. In questo caso anche le entrare dell'Inps ne risentirebbero negativamente. Il suddetto incentivo entrerà in vigore subito dopo l'approvazione per i settori privati. Mentre per il pubblico impiego la sua applicazione è condizionata a un accordo tra le "parti sociali'' con le regioni e gli enti locali e non potrà partire prima del 2007, anno in cui è prevista la verifica sugli effetti di detta incentivazione. LE VITTIME PRINCIPALI SONO I GIOVANI Ma le vere vittime della controriforma berlusconiana e delle nuove norme che contiene sono i giovani, specie di sesso femminile, che oggi hanno tra 20 e 30 anni. Per loro sarà dura se non impossibile maturare 40 anni di contributi, considerata l'età in cui entrano nel mondo del lavoro dopo il periodo scolastico e universitario e l'estrema difficoltà a realizzare una vita lavorativa e contributiva continuativa e a tempo pieno. Considerato che le loro pensioni sono totalmente calcolate sulla base dei contributi effettivamente versati e non più con il metodo retributivo - come stabilito dalla "riforma'' Dini - con un taglio del 20-30% a parità di requisiti. Finirà che la stragrande maggioranza di loro lasceranno il lavoro a 65 anni (60 per le donne) con un patrimonio contributivo esiguo e talvolta insufficiente ad aver diritto alla stessa pensione di lavoro se esso darà un importo mensile inferiore all'assegno sociale, più il 20%. A questo risultato nefasto contribuisce non poco la decontribuzione fino a 5 punti a favore delle aziende per i neo-assunti, prevista nella legge delega, che da sola comporterà un taglio del 15% del mensile spettante. In questo contesto particolarmente penalizzati sono i lavoratori "atipici'', precari e discontinui, che versano contributi più ridotti (ora al 14% ma saliranno al 19%) e quindi avranno una pensione del 31% inferiore di coloro, sempre meno, che lavorano a tempo indeterminato. Con la prospettiva di maturare non più che una pensione da fame, diventa d'obbligo farsi la pensione integrativa. Ma se sei disoccupato o lavori ogni tanto è difficile e oneroso pagarsela. Odiosa la misura contenuta nel decretone che con un colpo solo cancella le "agevolazioni'' in favore di quei lavoratori, per esempio nella cantieristica, e sono parecchie decine di migliaia, che sono stati esposti all'amianto con rischi gravissimi alla salute. Il governo ha ridotto il coefficiente da 1,50%, per cui ogni anno di esposizione all'amianto valeva uno e mezzo, a 1,25% e prevede che gli anni già maturati non vengano più conteggiati ai fini pensionistici, ma semplicemente considerati come anni aggiuntivi. Molti lavoratori che avevano già lasciato il lavoro dovendo andare in pensione dal 1 ottobre di quest'anno, improvvisamente si ritrovano senza occupazione e senza reddito. La lotta sarà lunga, dura e difficile. Ma la disponibilità a battersi da parte dei lavoratori e delle masse popolari c'è. Il governo non ha nessuna intenzione di ritirare la controriforma pensionistica come gli viene chiesto da parte sindacale, a parte certe manfrine tattiche per dividere lo schieramento di lotta. Non a caso Berlusconi ha orchestrato una gigantesca campagna propagandistica, di cui la lettera che a spese della collettività invierà a ben 19 milioni di italiani è parte integrante, per far digerire la sua manovra e ottenere quel consenso popolare che oggi gli è contro. I segretari di Cgil, Cisl e Uil davanti ai lavoratori e ai pensionati hanno promesso che la mobilitazione unitaria proseguirà senza sosta fino a che il governo non cambierà posizione, se uno sciopero generale non sarà sufficente ne faranno un altro e organizzeranno una grande manifestazione nazionale. Saranno coerenti con questa promessa? Rispetteranno le intenzioni annunciate? Staremo a vedere! Comunque secondo noi l'obiettivo della mobilitazione non può essere che quello del ritiro della nuova controriforma delle pensioni. Giù le mani dalle pensioni! |