Un'esperienza fondamentale del movimento operaio internazionale
Sulla storia del socialismo
in URSS
il grande capolavoro di Lenin e Stalin distrutto dai revisionisti
La lotta per il socialismo in Italia vive nel PMLI L'unica alternativa al
capitalismo e all'imperialismo è rappresentata dal socialismo.
L'odierna
situazione, così come la storia trascorsa dall'avvento della rivoluzione borghese ad
oggi, dimostra che questa è una verità incontrovertibile. E, per conquistare e costruire
il socialismo non c'è altra strada che quella del marxismo-leninismo-pensiero di Mao,
quella teorizzata, praticata e sviluppata dai cinque grandi maestri del proletariato
internazionale: Marx, Engels, Lenin, Stalin e Mao. Al di fuori di essa, per la classe
operaia e per i popoli oppressi non c'è che la sconfitta e la subalternità al
capitalismo e all'imperialismo.
Nella lotta tra proletariato e borghesia, tra capitalismo e socialismo, tanto la classe
operaia e le masse oppresse dei singoli paesi, quanto le avanguardie rivoluzionarie da
esse espresse hanno sempre dovuto lottare sia contro il nemico palese rappresentato
dall'ideologia e dai partiti borghesi, sia contro un nemico più subdolo e nascosto che
proviene dall'interno delle loro stesse file, ma che non ne condivide né interessi, né
ideali: il revisionismo.
Il revisionismo è stato la causa dell'indebolimento della lotta di classe in molti paesi,
la causa del tradimento del socialismo in altri paesi, lo strumento attraverso cui la
borghesia ha riconquistato il potere in paesi capisaldi della costruzione del socialismo,
quali l'Urss di Lenin e Stalin e la Cina di Mao.
Il revisionismo, dunque, non costituisce nulla di buono per la classe operaia e le masse
popolari. Negli Stati borghesi è un freno alla lotta di classe, una palla al piede per il
proletariato. Negli Stati socialisti è il "cavallo di Troia'' della borghesia, il
suo avamposto nella lotta per la restaurazione capitalistica. Oggi più che mai, dunque,
nessun partito e nessuna organizzazione autenticamente marxisti-leninisti possono
prescindere dalla lotta a fondo contro il revisionismo. In Italia il PMLI è l'unico
Partito che, da sempre, ha indicato con chiarezza alla classe operaia la necessità di
questa lotta. La nascita stessa del PMLI è, del resto, il frutto concreto della lotta tra
il marxismo-leninismo-pensiero di Mao ed il revisionismo moderno; è il frutto, nel nostro
Paese, dell'esperienza storica del movimento operaio internazionale e della costruzione
del socialismo.
Il compagno Giovanni Scuderi nel Rapporto dell'Ufficio politico al IV Congresso nazionale
del PMLI, ha affermato: "Quando nell'89 crollò il muro di Berlino, gli imperialisti,
i borghesi e i fascisti gridarono ai quattro venti che era `caduto il comunismo'. In
realtà esso segnava la fine dei regimi revisionisti. Ciò costituisce un bene e non un
male perché è stata tolta di mezzo un'ambiguità politica e statale che arrecava
confusione, che non aiutava a distinguere il socialismo dal capitalismo e che deturpava
l'immagine del socialismo''(1). è questo un aspetto molto importante, che può e deve
rappresentare un impulso favorevole alla ripresa della lotta di classe e della lotta per
il socialismo.
Il revisionismo moderno nasce con il colpo di Stato controrivoluzionario, attuato dal
rinnegato Krusciov al XX Congresso del Pcus, svoltosi nel febbraio 1956. Da lì, ha
origine il processo di restaurazione capitalistica in Urss, la nascita del
socialimperialismo e la dissoluzione dell'unità politica e ideologica dei partiti
comunisti storici e del movimento comunista internazionale. Il nefando attacco alla figura
e all'opera di Stalin, fu la condizione necessaria alla banda revisionista di Krusciov per
attuare il piano di usurpazione del potere. Da allora l'Urss non è stata più quella
costruita da Lenin e Stalin: fu rovesciata la dittatura del proletariato e la borghesia
sovietica instaurò la propria dittatura fascista, iniziando a smantellare pezzo per pezzo
il socialismo.
LA COSTRUZIONE DEL SOCIALISMO IN URSS E IL RUOLO DI STALIN
Il 5 marzo 1953 moriva a Mosca Josif V. Stalin. Due giorni prima della scomparsa un
comunicato ufficiale aveva informato l'Urss e il mondo sulle gravi condizioni di salute
del Segretario generale del Pcus e del Presidente del Consiglio dei ministri sovietico,
colpito il 1° marzo da una apoplessia che non lasciava speranze. Per gli operai, i
contadini colcosiani, le masse popolari dell'Unione sovietica quelli furono giorni di
sentito e profondo dolore, così come lo furono per gli sfruttati e gli oppressi del mondo
intero. Le manifestazioni di sincero cordoglio riunirono milioni di proletari nell'affetto
e nella stima per Stalin. Per tre giorni una fila sterminata di persone si recò,
incurante del freddo intenso dell'inverno russo, a rendere omaggio alla salma del grande
dirigente e maestro del proletariato internazionale, esposta nella Sala delle colonne del
Palazzo dei Sindacati. Questo ultimo e partecipato saluto, fu l'espressione spontanea e
sincera della fiducia e dell'autorevolezza di cui Stalin godeva. Sentimenti questi, che
egli aveva saputo conquistarsi e infondere nel proletariato mondiale attraverso il corso
di una vita interamente dedicata al suo popolo, alla costruzione e al consolidamento del
socialismo in Urss, all'affermazione del marxismo-leninismo e del socialismo in tutto il
mondo.
La sua vita è stata un esempio concreto e incancellabile di dedizione alla causa della
classe operaia e della rivoluzione. Una vita in cui egli ha sempre anteposto l'interesse
del popolo a quello personale, spesso sacrificando se stesso e i suoi affetti familiari
più cari, vivendo in maniera semplice e lavorando prima, durante e dopo la Rivoluzione
d'Ottobre senza mai risparmiarsi. Come non ricordare ad esempio, le sofferenze patite nei
periodi di prigionia in Siberia che lo minarono nel fisico, ma non certo nei suoi
propositi e nei suoi ideali; la sua fermezza nel rimanere al Cremlino, mentre il governo
si trasferiva in un luogo più sicuro allorché le armate degli invasori nazisti
giungevano alle porte di Mosca; o ancora la tragedia che lo accomunò a migliaia di
genitori di soldati sovietici per la morte del figlio Jakov, catturato e poi ucciso dai
tedeschi e per il quale egli rifiutò ogni trattativa col nemico nazista per
la sua liberazione. Questa sua vita, questo esempio forte e luminoso che egli ha
rappresentato, niente e nessuno potrà mai riuscire a scalfire. Stalin è stato senza
alcun dubbio un grande marxista-leninista e un grande maestro del proletariato
internazionale, un combattente proletario rivoluzionario che ha profuso tutte le sue
intense energie e le sue capacità nella lotta per l'affermazione del socialismo e la sua
concreta realizzazione.
I fatti della storia, l'azione degli uomini in essa, le forze e gli interessi che vi sono
coinvolti, gli sviluppi e i nuovi scenari che essa propone vanno analizzati, capiti e
giudicati in modo corretto per poter essere d'insegnamento e spingere verso un nuovo e
superiore progresso. E il solo modo corretto di analisi è quello dialettico, l'unico che
permette di non impantanarsi e cadere nell'astrazione, nell'apriorismo e nell'idealismo.
Per i marxisti-leninisti l'opera di Stalin è stata un'opera titanica che travalica i
confini dell'Urss, per espandersi in Europa e nel resto del mondo. Un'opera realizzata in
prima persona dalla classe operaia e dal proletariato e che ha permesso nel corso di
numerose e diverse battaglie che a vincere fossero sempre il popolo, il socialismo ed il
progresso.
Questa sua opera ha tra i suoi capisaldi:
- la costruzione del socialismo in Urss, primo Stato al mondo a vedere concretamente
realizzato il progetto per cui avevano lottato Marx, Engels e Lenin;
- l'unità e lo sviluppo dei Partiti comunisti di diversi continenti nella III
Internazionale;
- la vittoria sul nazifascismo e l'annientamento degli eserciti invasori di Hitler e
Mussolini;
- la nascita di nuovi Stati socialisti in Europa e in Asia.
Tutto ciò è stato realizzato in nemmeno trent'anni, uno spazio temporale assai breve e
soprattutto in una situazione che non ha precedenti nella storia. Stalin ha infatti
operato in condizioni assai complesse e difficili. Tali erano infatti le condizioni della
Russia sovietica all'indomani della vittoria della Rivoluzione d'Ottobre. Un paese
schiacciato dal peso della secolare autocrazia zarista, devastato dalla I guerra mondiale,
aggredito congiuntamente dai più potenti eserciti imperialisti. Un paese appena uscito da
una sanguinosa guerra civile scatenata dai nemici interni ed esterni del potere sovietico
e che rimaneva solo, senza appoggi di altri Stati ed anzi assediato dal blocco
politico-economico imperialista.
La Russia sovietica era il primo paese in cui aveva trionfato la rivoluzione socialista.
Il suo cammino iniziava senza che vi fosse un'esperienza a cui poter fare riferimento ed
in condizioni socioeconomiche veramente tremende. Un'economia prevalentemente agricola
praticamente al collasso; un settore industriale marginale e per di più quasi
completamente distrutto; la mancanza pressoché totale di elettricità, di una rete di
trasporti e di attrezzature tecniche di sfruttamento delle materie prime.
Partire da queste condizioni e in un trentennio costruire, contando esclusivamente sulle
proprie forze, uno Stato basato su un'economia e su rapporti sociali completamente nuovi e
che è stato in grado di resistere e sbaragliare l'aggressione nazifascista basata su una
possente forza militare, dà il segno concreto di quanto grande sia stata l'opera compiuta
da Stalin, ma soprattutto di come questa grande opera si sia potuta realizzare.
Essa è stata il frutto concreto del duro lavoro basato sulla volontà, lo spirito di
sacrificio, la piena consapevolezza degli obiettivi da raggiungere e dell'unità delle
classi e dei ceti sociali andati al potere con la Rivoluzione d'Ottobre. Il frutto del
lavoro del proletariato sovietico e della salda alleanza tra la classe operaia, i
contadini poveri e medi che hanno dato vita al movimento colcosiano, la gioventù
sovietica, i nuovi tecnici e ricercatori forgiati dal potere sovietico. L'avanguardia del
proletariato sovietico, il Partito comunista di Lenin e di Stalin, fermamente ancorato al
marxismo-leninismo, è stata la guida riconosciuta dal popolo sovietico in questa impresa
straordinaria: la costruzione del primo Stato socialista nel mondo.
Vediamo i momenti più significativi, i punti cardine e gli obiettivi raggiunti in questa
titanica impresa.
LA NASCITA DELL'URSS
Un primo importante aspetto politico da prendere in considerazione è quello relativo ai
popoli e alle nazionalità dell'ex impero zarista, alla loro lotta per liberarsi dal giogo
oppressivo della "grande madre'' Russia, base secolare del dominio autocratico degli
zar; e alla politica bolscevica tesa da un lato alla affermazione della dignità e
libertà dei popoli e alla salvaguardia dei loro diritti nazionali e, dall'altro, a
favorire l'affrancamento sociale e politico delle classi oppresse di queste nazioni.
Nell'ottobre del 1915 nel suo scritto "Il proletariato rivoluzionario e il diritto di
Autodecisione delle Nazioni'' Lenin affermava: "L'imperialismo è l'oppressione
sempre maggiore dei popoli del mondo da parte di un pugno di grandi potenze, è un periodo
di guerre tra queste potenze per l'estensione e il consolidamento dell'oppressione delle
nazioni, è un periodo di inganno delle masse popolari da parte dei socialpatrioti
ipocriti, di coloro i quali - col pretesto della `libertà dei popoli', del `diritto delle
nazioni all'autodecisione' e della `difesa della patria' - giustificano e difendono
l'oppressione della maggioranza dei popoli del mondo da parte delle grandi potenze.
Perciò, nel programma dei socialdemocratici, il punto centrale deve essere precisamente
quella divisione delle nazioni in dominanti e oppresse, che rappresenta l'essenza
dell'imperialismo e alla quale sfuggono mentendo i socialsciovinisti e Kautzki. Questa
divisione non è sostanziale dal punto di vista del pacifismo borghese o dell'utopia
piccolo-borghese della concorrenza pacifica tra nazioni indipendenti in regime
capitalista, ma essa è indiscutibilmente sostanziale dal punto di vista della lotta
rivoluzionaria contro l'imperialismo. E da questa divisione deve scaturire la nostra
definizione - coerentemente democratica, rivoluzionaria e corrispondente al compito
generale della lotta immediata per il socialismo - del `diritto delle nazioni
all'autodecisione'. In nome di questo diritto, lottando per il suo riconoscimento non
ipocrita, i socialdemocratici delle nazioni dominanti debbono rivendicare la libertà di
separazione per le nazioni oppresse, perché altrimenti il riconoscimento dell'uguaglianza
di diritti delle nazioni e della solidarietà internazionale degli operai sarebbe in
pratica soltanto una parola vuota, soltanto un'ipocrisia. E i socialdemocratici delle
nazioni oppresse debbono considerare come fatto di primaria importanza l'unità e la
fusione degli operai dei popoli oppressi con gli operai delle nazioni dominanti, poiché
altrimenti questi socialdemocratici diverranno involontariamente degli alleati dell'una o
dell'altra borghesia nazionale, che tradisce sempre gli interessi del popolo e della
democrazia che è sempre pronta, a sua volta, ad annettere e ad opprimere altre nazioni.
(...) Il proletariato della Russia non può fare a meno di marciare alla testa del popolo
per la rivoluzione democratica vittoriosa (questo è il suo compito immediato) né può
fare a meno di combattere assieme ai suoi fratelli, ai proletari d'Europa, per la
rivoluzione socialista senza chiedere anche ora piena e incondizionata libertà di
separazione dalla Russia per tutte le nazioni oppresse dallo zarismo. Noi rivendichiamo
questo, non indipendentemente dalla nostra lotta per il socialismo, ma perché
quest'ultima lotta resta una parola vuota se non è legata indissolubilmente
all'impostazione rivoluzionaria di tutte le questioni democratiche, compresa quella
nazionale. Noi esigiamo la libertà di autodecisione, cioè l'indipendenza, cioè la
libertà di separazione delle nazioni oppresse, non perché sognamo il frazionamento
economico o l'ideale dei piccoli Stati, ma, viceversa, perché desideriamo dei grandi
Stati e l'avvicinamento, persino la fusione, tra le nazioni su una base veramente
democratica, veramente internazionalista, inconcepibile senza la libertà di
separazione''(2).
La politica bolscevica sulle nazionalità, unitamente all'affermarsi della rivoluzione
socialista in numerose regioni dell'ex impero zarista, ha determinato l'avvio dell'ampio
processo di unificazione dei popoli su una base di libertà, di eguaglianza e di amicizia
che ha portato alla nascita dell'Urss. Ma essa ha rappresentato anche un fattore decisivo
della vittoria delle Repubbliche sovietiche nella lotta contro l'invasione straniera e la
controrivoluzione "bianca'', sviluppatasi dopo la ratifica del trattato di Brest.
Nella primavera del 1918 infatti, truppe militari americane, francesi, inglesi, italiane e
giapponesi occuparono i territori sovietici da Murmansk a Arcangelo, a Vladivostock, fino
alle regioni transcaucasiche e dell'Asia centrale, subito seguite dall'imperialismo
tedesco che, in spregio agli accordi firmati, invase con il suo esercito l'Ucraina per
spingersi, attraverso Rostov e Tangarog, in Crimea e Transcaucasia.
La lotta contro le truppe di invasione e le forze controrivoluzionarie determinò un primo
accordo unitario sul fronte politico-militare delle Repubbliche sovietiche già esistenti.
è del 1919 l'intesa raggiunta dalle repubbliche Russa, Ucraina, Bielorussa e del Baltico
con la formazione dell'Armata Rossa baluardo militare a difesa comune di tutte le
Repubbliche sovietiche. E questa lotta permise anche la vittoriosa affermazione dei
movimenti di massa rivoluzionari in altre regioni del paese con la formazione di nuove
Repubbliche sovietiche quali la RPS del Turkestan il 30 aprile 1918, la RPS di Khorezum il
1 febbraio 1920, la RS dell'Azerbaijan nell'aprile 1920, la RPS di Bukharà il 2 settembre
1920, la RSS di Armenia il 29 settembre 1920, la RS di Georgia il 25 febbraio 1921 ed
infine il 14 novembre 1922 la riunificazione delle province russe dell'Estremo oriente
alla RSFS Russa composta dalle repubbliche e regioni autonome dei Bashkiri, dei Tatari,
dei Ciuvasci, dei Kasakhi, degli Udmurti, dei Calmucchi, dei Circassi, dei Ceceni, della
Karelia, del Daghestan, di Crimea ed altri ancora.
Nel 1922 si avviò un processo di Unione federativa tra le Repubbliche sovietiche di
Georgia, Armenia e Azerbaijan. Così come avevano già fatto il X Congresso dei Soviet
della Russia, il VII Congresso dei Soviet dell'Ucraina e il IV Congresso dei Soviet della
Bielorussia anche il I Congresso dei Soviet della neocostituita Federazione della
Transcaucasia decise di dare il suo appoggio attivo all'ampio processo di unificazione
delle federazioni sovietiche, pronunciandosi a favore della formazione dell'Unione delle
Repubbliche Socialiste Sovietiche.
A seguito di questa decisione presa dagli organi legislativi delle quattro Repubbliche
sovietiche venne convocato il 30 dicembre 1922 il I Congresso dei Soviet dell'Urss. Lenin
già gravemente ammalato, non poté partecipare a questa importante Assise. I 2.215
delegati lo elessero comunque Presidente Onorario del Congresso. Fu Stalin a presentare il
Rapporto al Congresso dando lettura della Dichiarazione e del Trattato di formazione
dell'Urss che nasceva giuridicamente come uno Stato federale basato sull'unione
liberamente scelta dalle quattro repubbliche, sull'uguaglianza dei diritti e la
fraternità dei rapporti fra esse; fissandone le modalità di adesione, le relative leggi
e il diritto di uscire liberamente dall'Unione sulla base dei principi e dello spirito
dell'internazionalismo proletario. Il I Congresso dei Soviet dell'Urss terminò con
l'elezione del Comitato esecutivo centrale, massimo organo del potere statale nel periodo
intercorrente fra i congressi.
L'Urss era formalmente nata, vi era ora la necessità di consolidare il nuovo Stato
soprattutto affinché esso potesse rappresentare il punto di riferimento solido e
credibile per le future repubbliche sovietiche. Proprio per questo la politica bolscevica
sulla "questione nazionale'' non conobbe alcun allentamento. Nel "Rapporto sugli
aspetti della questione nazionale nell'edificazione del partito e dello Stato'' presentato
il 23 aprile del 1923 al XII Congresso del PCR(b), Stalin affermò tra l'altro: "O
noi, nel quadro di quest'Unione risolveremo in modo giusto la questione nazionale nella
sua applicazione pratica, instaureremo effettivamente, nel quadro di questa Unione, dei
veri rapporti fraterni fra i popoli, una vera collaborazione, e allora tutto l'Oriente
vedrà nella nostra Federazione la bandiera della sua liberazione, il reparto
d'avanguardia di cui deve seguire le orme, e questo sarà l'inizio del crollo
dell'imperialismo mondiale. Oppure qui sbaglieremo, mineremo la fiducia che i popoli
precedentemente oppressi hanno nel proletariato della Russia, l'Unione delle repubbliche
perderà quella forza di attrazione che essa esercita sull'Oriente, e allora
l'imperialismo vincerà e noi perderemo la partita. Questa è l'importanza internazionale
della questione nazionale''. E ancora: "Qual è il tratto caratteristico della
soluzione della questione nazionale nel momento attuale, nel 1923? Quale forma hanno
assunto nel 1923 i problemi che richiedono una soluzione sul terreno nazionale? Quella
della collaborazione fra i popoli della nostra Federazione sul terreno economico, militare
e politico. Mi riferisco ai rapporti fra le nazioni. La questione nazionale, che ha alla
base il compito di instaurare giusti rapporti tra il proletariato della nazione un tempo
dominante e i contadini delle altre nazionalità, nel momento attuale assume la forma
particolare della instaurazione della collaborazione e della convivenza fraterna dei
popoli che prima vivevano isolati e che ora si uniscono nel quadro di un unico Stato.
Questa è l'essenza della questione nazionale nella forma che ha assunto nel 1923. La
forma concreta di questa unione statale è rappresentata da quell'Unione delle
Repubbliche, della quale parlavamo già alla fine dell'anno scorso al Congresso dei Soviet
e che allora abbiamo deciso di costituire. Fondamento di quest'Unione è l'adesione
volontaria e l'uguaglianza giuridica dei suoi membri. Adesione volontaria e uguaglianza,
perché il punto di partenza del nostro programma nazionale è il diritto delle
nazionalità a un'esistenza statale autonoma, ciò che prima veniva chiamato diritto di
autodecisione. In quanto muoviamo da questo presupposto, dobbiamo affermare in modo
preciso che nessuna unione, nessuna unificazione dei popoli in un solo Stato può essere
stabile se non ha alla sua base la completa adesione volontaria, se i popoli stessi non
vogliono unirsi. Il secondo fondamento è l'uguaglianza giuridica dei popoli che fanno
parte dell'Unione. (...) Ma esistono anche dei fattori che ostacolano quest'Unione, che la
frenano. (...) Bisogna comprendere che se una forza come lo sciovinismo grande-russo
fiorirà rigogliosa e prenderà piede, i popoli un tempo oppressi non potranno avere
nessuna fiducia e noi non potremo stabilire nessuna collaborazione in seno a un'unica
unione e non avremo nessuna Unione delle repubbliche. Questo è il primo, il più
pericoloso fattore che ostacola l'opera di raggruppamento dei popoli e delle repubbliche
in un'unica unione. Il secondo fattore, compagni, che ostacola l'unione dei popoli un
tempo oppressi attorno al proletariato russo, è quella effettiva disuguaglianza delle
nazioni che abbiamo ereditato dal periodo dello zarismo. (...) è indispensabile che,
oltre a quelle concernenti le scuole e la lingua, il proletariato della Russia prenda
tutte le misure affinché nelle regioni periferiche, nelle repubbliche arretrate dal punto
di vista culturale - ed esse sono rimaste indietro non per loro colpa, ma perché in
precedenza venivano considerate solo come fonti di materie prime - siano create le basi
dell'industria. (...) Ma c'è anche un terzo fattore che ostacola il raggruppamento delle
repubbliche in un'unione: il nazionalismo delle singole repubbliche. (...) Certo, se non
esistesse lo sciovinismo grande-russo, che è aggressivo perché è forte, perché era
forte anche in precedenza e ha conservato l'abitudine di opprimere e soggiogare, se non
esistesse lo sciovinismo grande-russo, anche lo sciovinismo locale, come risposta allo
sciovinismo grande-russo, forse esisterebbe in misura minima, in miniatura, per così
dire, perché in ultima analisi il nazionalismo antirusso è una forma difensiva, una
forma degenere di difesa contro il nazionalismo grande-russo, contro lo sciovinismo
grande-russo. (...) Ma disgrazia vuole che in alcune repubbliche questo nazionalismo
difensivo si vada trasformando in nazionalismo aggressivo''(3).
Per superare questi tre fattori principali di ostacoli all'unificazione, Stalin indica tre
mezzi: "Primo mezzo: prendere tutte le misure perché il potere sovietico nelle
repubbliche diventi comprensibile e familiare, perché il potere sovietico sia, da noi,
non solo russo ma anche inter-nazionale. A questo scopo è indispensabile che non solo le
scuole, ma tutte le istituzioni, tutti gli organi, sia di partito che sovietici, `si
nazionalizzino' passo passo, svolgano la loro attività nella lingua comprensibile alle
masse, funzionino conformemente ai costumi di ogni singolo popolo. (...) Il secondo mezzo
che ci può aiutare a superare senza urti dolorosi l'eredità lasciataci dallo zarismo e
dalla borghesia, è di organizzare i Commissariati nell'Unione delle repubbliche in modo
da rendere possibile, almeno alle nazionalità principali, di avere i loro rappresentanti
negli organi di direzione collegiale di questi Commissariati e di creare condizioni tali
per cui i bisogni e le esigenze delle singole repubbliche vengano assolutamente
soddisfatti. Terzo mezzo: è indispensabile che fra i nostri organi centrali superiori ve
ne sia uno che rifletta i bisogni e le esigenze di tutte le repubbliche e nazionalità,
senza eccezione''(4).
Sulla base dei principi bolscevichi e dell'internazionalismo proletario che Lenin e Stalin
in modo particolare, avevano sempre evidenziato come necessari a una giusta, democratica e
avanzata soluzione del problema delle nazionalità, nel gennaio del 1924 si svolse il II
Congresso dei Soviet dell'Urss che approvò la Costituzione del nuovo Stato unitario. I
principi fondamentali che erano alla base di questa Costituzione, si possono riassumere
essenzialmente così:
- adesione volontaria di ogni Repubblica al nuovo Stato, entità di popoli totalmente
eguali e sovrani e per i quali vigeva eguaglianza di diritti e di doveri rispetto allo
Stato unitario governato secondo il principio del centralismo democratico;
- libertà di accesso nell'Unione di tutte le Repubbliche socialiste esistenti e di quelle
che si sarebbero eventualmente formate, così come libertà per ogni repubblica di uscire
dall'Unione. Entrambi questi aspetti costituivano l'essenza del principio di adesione
volontaria e soprattutto il secondo, quello relativo alla libertà di uscita dall'Unione,
la cui attuazione era stata sempre sostenuta con forza da Lenin;
- competenza dell'Unione per tutte le tematiche inerenti la politica estera, il commercio
estero, la difesa e l'organizzazione militare;
- organo principale del potere statale era il Comitato esecutivo centrale dell'Urss
composto da due camere aventi eguali diritti: il Soviet dell'Unione eletto da tutti i
delegati al Congresso e il Soviet delle Nazionalità eletto dai rappresentanti delle
singole repubbliche a garanzia della partecipazione attiva di tutti i popoli e le entità
nazionali alla vita e all'edificazione del paese.
L'Unione sovietica era dunque pronta a marciare compatta sulla strada della costruzione
del socialismo che significherà per le singole entità nazionali il progressivo
superamento dell'arretratezza e della disuguaglianza che fino ad allora avevano
caratterizzato i vari aspetti della vita delle varie regioni del paese.
Abbiamo già accennato in precedenza alle condizioni socioeconomiche veramente critiche
della Russia alla fine della I guerra mondiale. Dopo la definitiva sconfitta delle forze
controrivoluzionarie nella guerra civile, il consolidamento del potere sovietico ed il
ritorno alla pace, iniziò in tutto il paese lo sforzo di ricostruzione e di
trasformazione politico, sociale ed economico.
LA NUOVA POLITICA ECONOMICA (Nep)
Il 1921 è l'anno che segna una prima importante svolta politica: il passaggio dal
"comunismo di guerra'' (basato sulla prestazione obbligatoria di lavoro, il
prelevamento delle eccedenze di grano e il divieto di commercio), introdotto nel 1918 per
fronteggiare l'attacco armato controrivoluzionario, alla "nuova politica economica''
(Nep) che doveva servire alla ricostruzione economica, al rilancio della produzione e allo
sviluppo del settore industriale.
Costruita su una base sociale che puntava su una alleanza tra classe operaia e contadini,
la Nep avviò una politica basata sullo scambio grano/prodotti industriali, reintrodusse
il libero commercio delle eccedenze e fece leva, in maniera controllata, su tutti i ceti
sociali nazionali. Nella società e nell'economia dell'Urss coesistevano ed operavano
dunque forme di proprietà e forme di economia diverse, che entravano in competizione tra
loro.
Da un lato forme privatistiche di produzione mercantile e l'esistenza di un libero
commercio che inevitabilmente mantenevano in vita elementi capitalistici nell'economia
nazionale; dall'altro i cardini dell'economia: grande industria, trasporti, energia,
sistema bancario, in mano allo Stato sovietico, con la conseguente concorrenza a livello
commerciale tra capitale privato e aziende statali. In questa fase il compito principale
del potere sovietico, della dittatura del proletariato, fu, come disse Lenin, quello di
"essere capace di tenere ben ferme le redini al collo dei signori capitalisti'', e di
organizzare e sviluppare nel settore agricolo, la creazione di cooperative e aziende
statali facendo leva sui contadini poveri e medi, controllando e isolando i kulak
(contadini ricchi).
Lenin ha spiegato con puntualità e chiarezza il significato e i rischi insiti nella Nep.
Nel Rapporto sull'attività politica del CC presentato al X Congresso del PCR(b), svoltosi
nel marzo del 1921, Lenin evidenziava che: "Nei rapporti tra il proletariato e i
piccoli coltivatori esistono dei problemi ben difficili, dei problemi che non abbiamo
ancora risolto. Parlo dei rapporti tra il proletariato vittorioso e i piccoli proprietari
quando la rivoluzione proletaria si sviluppa in un paese dove il proletariato è in
minoranza, dove la maggioranza è composta da elementi piccolo-borghesi. La funzione del
proletariato in tale paese consiste nel dirigere il passaggio di questi piccoli
proprietari al lavoro socializzato, collettivo, comune. è teoricamente indiscutibile.
Abbiamo trattato questo argomento in tutta una serie di atti legislativi, ma sappiamo che
non si tratta solo di legiferare, bensì di tradurre le leggi nella pratica, e sappiamo
che ciò si ottiene quando si dispone di una grande industria molto forte, capace di
offrire al piccolo produttore benefici tali da fargli vedere in pratica la superiorità
della grande economia''. Ed ancora: "Finché non avremo cambiato i contadini, finché
la grande produzione meccanizzata non li avrà trasformati, bisogna garantire loro la
possibilità di fare liberamente i loro affari. La situazione in cui ci troviamo è
fluida, la nostra rivoluzione è accerchiata da paesi capitalistici. E finché ci troviamo
in questa situazione, dobbiamo cercare forme di rapporti molto complesse''(5). - Il 17
ottobre 1921 nel Rapporto al II Congresso dei Centri di educazione politica di tutta la
Russia, Lenin afferma ancora "Il problema fondamentale consiste, dal punto di vista
strategico, nel vedere chi saprà approfittare prima di questa nuova situazione. Tutto il
problema sta nel vedere chi seguiranno i contadini, se seguiranno il proletariato che si
sforza di costruire una società socialista, oppure il capitalismo che dice: `Torniamo
indietro, è più sicuro, altrimenti, con questa trovata del socialismo, chissà dove si
va a finire!'''(6).
La Nep fu, in campo economico, la linea direttrice elaborata dal Partito comunista e da
Lenin su cui si svilupperà la politica del potere sovietico negli anni Venti. Nell'aprile
del 1922 a conclusione dell'XI Congresso del PCR(b) il nuovo Comitato centrale istituì la
carica di Segretario del CC, alla quale fu eletto, su proposta di Lenin, Stalin che si
impegnò senza risparmio di energie nella direzione del Partito. Un lavoro, questo, di
grande responsabilità, divenuto ancora più difficile dopo la morte di Lenin, che
rappresentò una perdita incommensurabile per la Russia sovietica e tutto il movimento
comunista mondiale.
L'INDUSTRIALIZZAZIONE
Il PCR(b) con la guida di Stalin si mantenne saldo sulla strada del marxismo-leninismo,
continuando con fermezza la politica intrapresa da Lenin per lo sviluppo del socialismo in
Urss. Proseguendo sulla strada della politica economica tracciata con la Nep, riprese
vigore la produzione, si incrementò il tessuto industriale del paese, crebbe di
conseguenza il numero di occupati nell'industria e il peso della classe operaia e del
proletariato industriale ebbe un notevole impulso introducendo così gli elementi per un
cambiamento irreversibile e continuativo del tessuto sociale. Alla fine del 1927 la classe
operaia contava circa 10 milioni e 350 mila lavoratori, dei quali circa 2 milioni e 340
mila impiegati nella grande industria.
Il suo tenore di vita era notevolmente migliorato, grazie anche all'introduzione dei
servizi sociali e delle nuove norme sul lavoro quali il fondo di assicurazione sociale, i
servizi comunali e quelli culturali, l'indennità di malattia. Il salario reale dei
lavoratori della grande industria statale raggiunse i 32,14 rubli mensili. Nel suo
complesso il livello salariale medio degli operai era cresciuto di oltre il 128% rispetto
a quello prebellico. Inoltre era in continua ascesa la spesa per la costruzione di case
operaie. Furono anche gli anni in cui si gettarono le basi concrete per iniziare a formare
i nuovi quadri tecnici provenienti, nella stragrande maggioranza, dalle file della classe
operaia, e, prese il via il nuovo sistema scolastico e formativo sovietico. In quel
periodo, inoltre, proseguì all'interno del paese il confronto basato essenzialmente su
due linee generali d'azione.
- La prima puntava a mantenere l'Urss ancora per un lungo periodo un paese prevalentemente
agricolo che esportasse prodotti agricoli per importare attrezzature industriali.
- La seconda, invece, spingeva per un impegno a fondo nella costruzione di un paese
indipendente sul piano economico, basato sul mercato interno, in grado di essere un punto
di riferimento anche per quei paesi che eventualmente fossero riusciti ad imboccare
vittoriosamente la strada della rivoluzione socialista e dell'abbattimento del
capitalismo.
Era quest'ultima la linea di Stalin. Egli la indicò come la via più consona al
consolidamento del socialismo nell'Urss accerchiata dai paesi capitalisti, puntando sullo
sviluppo dell'industria sulla base delle risorse esistenti, evitando così di portare il
paese a essere un'appendice del sistema capitalistico.
Nel suo Rapporto politico al XIV Congresso del Partito, svolto il 18 dicembre 1925, Stalin
evidenziò due principi generali a fondamento del lavoro di edificazione socialista:
"Primo principio. Noi lavoriamo ed edifichiamo nelle condizioni dell'accerchiamento
capitalistico. Ciò significa che la nostra economia e la nostra edificazione si
svilupperanno attraverso contraddizioni, attraverso conflitti tra il nostro sistema
economico e il sistema economico capitalistico. Noi non possiamo sfuggire in nessun modo a
questa contraddizione. (...) Ciò significa inoltre che si deve costruire la nostra
economia non solo in contrasto con l'economia capitalistica all'esterno, ma anche
attraverso il contrasto tra i diversi elementi esistenti all'interno del nostro paese,
attraverso il contrasto tra gli elementi socialisti e quelli capitalistici. Di qui la
conclusione: noi dobbiamo edificare la nostra economia in modo che il nostro paese non si
trasformi in un'appendice del sistema capitalistico mondiale, ...ma come un'unità
economica indipendente che si appoggia, principalmente, sul mercato interno, sulla
collaborazione tra la nostra industria e l'economia contadina del nostro paese.
(...) Il secondo principio che, come il primo, ci deve guidare nella nostra edificazione,
è che dobbiamo tener sempre conto del fatto che la nostra economia nazionale deve essere
diretta in modo particolare, differente dal modo in cui è diretta l'economia dei paesi
capitalistici. Là, nei paesi capitalistici, regna il capitale privato; gli errori
commessi dai singoli trust e cartelli capitalistici, da questi o quei gruppi di
capitalisti, sono corretti dalla forza naturale del mercato... Là noi vediamo crisi
economiche, commerciali, finanziarie che colpiscono singoli gruppi capitalistici. Da noi
le cose vanno diversamente. Ogni seria difficoltà nel commercio, nella produzione, ogni
serio errore di calcolo nella nostra economia non si risolve con una singola crisi in
questo o quel campo, ma colpisce tutta l'economia nazionale... Perciò noi, qui, dobbiamo
dirigere l'economia in forma pianificata''(7).
LA PIANIFICAZIONE DELL'ECONOMIA
Questo dello sviluppo pianificato dell'economia è un punto molto importante introdotto da
Stalin. Esso si concretizzerà appieno con il varo del Primo piano quinquennale approvato
dal XV Congresso del Partito, svoltosi nel dicembre del 1927. Ha inizio la seconda grande
svolta: quella della pianificazione che porterà l'Urss a diventare un paese industriale
ed alla piena affermazione dei rapporti di produzione socialisti. Lo sviluppo del paese
procedeva con successo. Erano in forte aumento la produzione di tutta l'economia
nazionale, il giro d'affari nel commercio interno, il sistema creditizio, il commercio
estero, il sistema dei trasporti ferroviari sia per quanto riguardava il volume dei
trasporti che l'incremento della rete ferroviaria. In questo quadro un ruolo rilevante
assumeva l'industrializzazione. L'Urss stava diventando un paese industriale. E,
all'interno del settore industriale, si rimarcava la crescita delle forme socialiste e la
contrazione di quelle capitalistiche. Raffrontando la situazione del 1924 a quella del
1927 tra il settore socializzato e quello non socializzato dell'industria, si hanno questi
rapporti:
- produzione lorda del settore socializzato dall'81% all'86%
- produzione lorda del settore non socializzato dal 19% al 14%
- investimenti nel settore socializzato dal 43,8% al 65,3%
- investimenti nel settore non socializzato da 56,2% a 34,7%
Un'analoga situazione di incremento del settore socializzato si ha anche nel commercio,
con una costante eliminazione del capitale privato sia per quanto riguarda il commercio
all'ingrosso, che per quello al minuto. Le maggiori difficoltà si riscontrarono in
agricoltura. In questo settore lo sviluppo e l'incremento produttivo furono molto più
lenti.
Stalin affronta questa questione sottoponendola all'attenzione del XV Congresso del
Partito. Presentando il Rapporto politico del CC, egli affermava: "Come spiegare il
ritmo di sviluppo relativamente lento dell'agricoltura rispetto a quello della nostra
industria nazionalizzata? Si spiega con l'eccezionale arretratezza della nostra tecnica
agricola e il troppo basso livello culturale delle campagne, e, in particolare, col fatto
che la nostra produzione agricola frazionata non presenta i vantaggi che ha la nostra
grande industria unita e nazionalizzata. La produzione agricola, innanzi tutto, non è
nazionalizzata e non è unita, ma è frazionata, spezzettata. Non è condotta secondo un
piano, e per ora è in grandissima parte ancora in balia dell'anarchia della piccola
produzione. Non è stata unita e organizzata in base al principio della
collettivizzazione, e per questo è ancora un comodo campo di sfruttamento per gli
elementi kulak. Queste circostanze privano l'agricoltura frazionata degli enormi vantaggi
della grande produzione unita e pianificata di cui gode la nostra industria
nazionalizzata.(...) Qual è dunque la via d'uscita? La via d'uscita è la seguente:
passaggio dalle aziende contadine piccole e frazionate alle grandi aziende unite sulla
base della coltivazione collettiva della terra; passaggio alla coltivazione collettiva
della terra sulla base di una tecnica nuova, più elevata. Unione graduale, ma continua,
non mediante pressioni, ma mediante l'esempio e la convinzione, delle aziende contadine
piccole e piccolissime in aziende grandi, sulla base della lavorazione comune,
cooperativistica, collettiva della terra, con l'impiego di macchine agricole e di
trattori, e dei metodi scientifici di una agricoltura intensiva. Altre vie d'uscita non ce
ne sono. (...) Tutte le nostre misure per limitare gli elementi capitalistici
nell'agricoltura, per sviluppare gli elementi socialisti nelle campagne, per attirare le
aziende contadine nell'alveo dello sviluppo cooperativistico, per inserire nel settore
socialista, mediante un'azione pianificata dello stato nelle campagne, l'economia
contadina per quanto riguarda sia i rifornimenti e lo smercio che la produzione, tutte
queste misure sono, è vero, decisive, ma sono pur sempre misure preparatorie per gettare
le basi della collettivizzazione agricola''(8).
L'avanzamento sulla strada della costruzione del socialismo non fu né facile, né
indolore. Condizioni oggettive la rendevano irta di difficoltà. Essa si affermava
essenzialmente facendo leva sulla lotta di classe nella società che si ripercuoteva
inevitabilmente anche all'interno del Partito. Il XV Congresso del PCR(b) fu il congresso
che sancì la vittoria della linea marxista-leninista contro il trotzkismo e il cosiddetto
"Blocco unificato dell'opposizione'' i cui esponenti già dal 1921 agivano contro la
linea del Partito di costruzione del socialismo in Urss, di alleanza con i ceti
medio-poveri dei contadini e su altre importanti questioni di politica interna e
internazionale, agendo in spregio totale al centralismo democratico e sviluppando una
sempre crescente attività frazionistica rimasta, peraltro, assai marginale e senza
sbocchi a livello di massa.
LA COLLETTIVIZZAZIONE DELL'AGRICOLTURA
Altro momento fondamentale sulla strada dell'edificazione socialista in Urss fu quello
rappresentato dal movimento per la collettivizzazione dell'agricoltura avviatosi nel 1929.
La storiografia borghese e revisionista, ha definito questo imponente processo di
cambiamento come imposto e attuato in modo dirigistico. è questa una visione falsa e
denigratoria, che non corrisponde alla realtà storica di questo processo. In realtà si
è trattato di un movimento preparato e sviluppatosi nel tempo attraverso l'acuirsi dello
scontro di classe tra i ceti medio-poveri dei contadini, che hanno sviluppato forme
socializzate nel settore agricolo, e i kulak espressione diretta del capitalismo nelle
campagne. Il processo di costruzione di forme socializzate nel settore agricolo si è
sviluppato attraverso forme non coercitive con la piena partecipazione dei contadini
poveri e medi che gradualmente e, in maniera massiccia nel triennio 1927-1929, sono
passati da forme privatistiche di proprietà e di lavorazione della terra, a forme di tipo
cooperativistico e collettivizzato dell'agricoltura, segnarono l'isolamento e il declino
dei kulak nelle campagne. Inoltre, una legge del febbraio 1929 tolse ai kulak la
possibilità di agire per quanto riguardava l'assunzione di lavoratori salariati, senza
rispettare le precise norme a tutela del lavoro. Questa legge, in sostanza, equiparava il
lavoratore salariato agricolo all'operaio della fabbrica statale. Il kulak pertanto doveva
trattare i propri salariati, sulla base delle norme del Codice del lavoro. In questa legge
era affermato il principio che: "I kulak praticano una industria e devono, pertanto,
rispondere del contadino al quale chiedono il lavoro, come lo Stato sovietico risponde
degli operai delle Industrie di Stato''.
Ciò concretamente significa che al lavoratore salariato agricolo il kulak doveva
corrispondere lo stesso trattamento in termini di salario, orario di lavoro, assicurazioni
sociali, ferie e indennità di cui godeva l'operaio dell'industria statale.
In "Questioni di politica agraria nell'Urss'' del dicembre 1929, Stalin affronta con
estrema chiarezza gli spostamenti di classe e la svolta nella politica del Partito nelle
campagne. In particolare, Stalin affermava: "Il tratto caratteristico del lavoro del
nostro Partito, durante l'ultimo anno, è che, in quanto Partito, in quanto potere
sovietico: a) abbiamo sviluppato l'offensiva su tutto il fronte contro gli elementi
capitalistici della campagna, e b) quest'offensiva ha dato e continua a dare, com'è noto,
dei risultati `positivi' molto tangibili. Che cosa significa questo? Questo significa che
dalla politica di `limitazione' delle tendenze sfruttatrici dei kulak siamo passati alla
politica di `liquidazione' dei kulak come classe. (...) Fino a poco tempo fa il partito si
manteneva sulla posizione di limitare le tendenze sfruttatrici dei kulak. (...) Era giusta
questa politica? Sì, allora era incontestabilmente giusta. (...) Perché non avevamo
ancora nella campagna quei punti d'appoggio, rappresentati da una larga rete di sovcos e
di colcos, sui quali poterci basare per sferrare l'offensiva decisiva contro i kulak.
Perché allora non avevamo la possibilità di `sostituire' la produzione capitalista dei
kulak con la produzione socialista dei colcos e dei sovcos. Nel 1926-27 l'opposizione
zinovievista-trotzkista voleva a tutti i costi imporre al partito una politica di
offensiva immediata contro i kulak. (...) L'offensiva contro i kulak è una cosa seria.
(...) Sferrare l'offensiva contro i kulak significa spezzarli e liquidarli come classe.
(...) Potevamo noi iniziare cinque o tre anni fa una simile offensiva e contare di avere
successo? No, non potevamo. Infatti, nel 1927 il kulak produceva più di 600 milioni di
`pud' di grano e di questa quantità ne metteva in commercio al di fuori del mercato
rurale circa 130 milioni di `pud'. (...) E quanto producevano allora i nostri colcos e
sovcos? Circa 80 milioni di `pud', di cui circa 35 milioni giungevano sul mercato (grano
mercantile). Giudicate voi stessi se potevamo allora `sostituire' la produzione e il grano
mercantile dei kulak con la produzione e col grano mercantile dei nostri colcos e sovcos.
è certo che non potevamo. (...) E ora? Come stanno le cose ora? (...) Si sa che nel 1929
la produzione di grano nei colcos e nei sovcos non è stata inferiore a 400 milioni di
`pud' (200 milioni di `pud' di meno della produzione globale dell'economia dei kulak nel
1927). (...) Si sa, infine, che nel 1930 la produzione globale di grano dei colcos e dei
sovcos non sarà inferiore a 900 milioni di `pud' (superiore cioè, alla produzione
globale di grano dei kulak nel 1927), e che essi non daranno meno di 400 milioni di 'pud'
di grano mercantile (cioè incomparabilmente di più dei kulak nel 1927). (...) Ecco qual
è lo spostamento verificatosi nell'economia del paese. (...) Ecco perché negli ultimi
tempi siamo passati dalla politica di `limitazione' delle tendenze sfruttatrici dei kulak,
alla politica di `liquidazione' dei kulak come classe''(9).
Quello della collettivizzazione dell'agricoltura fu, in ultima analisi, un grande
movimento di massa che il Partito comunista seppe guidare facendo leva sull'entusiasmo, la
partecipazione attiva e la consapevolezza di tutto il paese. Questo movimento vide
coinvolti milioni di contadini, ma non solo. Ad esso parteciparono anche migliaia di
proletari e giovani (circa venticinquemila) provenienti dalle fabbriche e dalle scuole di
diverse città, molti dei quali militanti del Partito e del Komsomol (la gioventù
comunista).
La socializzazione delle campagne ebbe incidenza anche nella composizione sociale del
Partito comunista. Basti pensare che mentre prima della collettivizzazione il numero dei
contadini iscritti al Partito era molto basso, nel 1932 il numero degli agricoltori
collettivi raggiunse il 18% degli iscritti al Partito.
LA PIANIFICAZIONE ECONOMICA SOCIALISTA
La realizzazione del I piano quinquennale (1928-1932) rappresentò un indubbio successo
che mutò radicalmente la natura economica e sociale dell'Urss. Proprio negli anni in cui
il mondo capitalistico viveva una delle sue crisi più profonde, l'Urss diventava un paese
industriale (per la prima volta infatti nel 1930 l'incidenza della produzione industriale
che fu del 53% superò quella della produzione agricola) ma, soprattutto, il primo Stato
socialista era diventato una concreta realtà tanto sul piano politico, quanto su quello
sociale ed economico.
Vale la pena soffermarsi sugli obiettivi che vennero raggiunti con il I piano
quinquennale. Il numero degli altiforni per la produzione di ferro e acciaio venne
incrementato di un quarto, mentre l'aumento della loro capacità produttiva fu di due
terzi. La metà delle macchine utensili della industria meccanica nel 1932 erano state
installate nel corso del Piano. I nuovi impianti per la costruzione di trattori, macchine
utensili e autoveicoli, costituivano l'80% del totale. Il 25% della produzione di carbone
proveniva da nuovi impianti. Il numero dei pozzi di petrolio era aumentato di circa un
quarto e il volume di estrazione di petrolio venne quasi raddoppiato; mentre erano nuovi
per la quasi totalità tutti gli impianti di raffinazione. La produzione di energia
elettrica era quasi triplicata. Erano inoltre sorti nuovi settori industriali mai prima
d'allora presenti in Russia, quali quello chimico e quello della lavorazione dei generi
alimentari. L'incremento generale della produzione della grande industria fu del 118%. Ma
lo sviluppo non fu limitato alla sola industria pesante. L'industria dei beni di consumo
vide un aumento della produzione dell'87%, con punte notevoli di progresso per quanto
riguarda il settore calzaturiero e quello alimentare. Va inoltre sottolineato il notevole
sforzo profuso e i brillanti successi raggiunti nel campo dell'istruzione secondaria ed
universitaria e in quello della formazione professionale. Tra il 1928 e il 1931 circa 150
mila operai andarono a frequentare gli istituti superiori, mentre altri 140 mila operai
assunsero responsabilità tecniche e amministrative ricevendo la specifica preparazione
attraverso corsi formativi organizzati e svolti all'interno stesso delle aziende. Anche
nelle campagne, dove prima della rivoluzione l'analfabetismo era pressoché totale, la
battaglia per l'elevamento culturale si sviluppò con forza. Dapprima attraverso una
capillare diffusione dell'alfabetizzazione, poi, in concomitanza con il piano quinquennale
e la collettivizzazione, sviluppando qualità e specificità di studi. A partire dal 1930
vennero istituiti nelle campagne corsi formativi triennali. Ai contadini non appartenenti
alla classe dei kulak, venne estesa come per gli operai, la priorità per l'ammissione
agli istituti superiori e alle scuole secondarie per adulti. Questi stessi contadini
costituiranno il nucleo dei nuovi tecnici agrari e dei responsabili ai vari livelli delle
aziende agricole cooperative e di Stato.
Avanzare sul piano dell'allargamento delle conoscenze culturali e scientifiche per milioni
di operai e di contadini, uomini e donne, e per i giovani figli di queste classi non era e
non rappresentò solo un fatto circoscritto alla sola sfera dell'istruzione socialista. Il
movimento che si sviluppò travalicò il semplice aspetto culturale per abbracciare anche
la sfera politica e sociale. C'era bisogno di formare nuovi dirigenti, nuovi specialisti,
di mettere la tecnica e la scienza al servizio della costruzione socialista, di recuperare
al socialismo i vecchi quadri tecnici che volevano mettersi al suo servizio e isolare gli
altri. Ma c'era altresì il bisogno di non limitarsi all'aspetto produttivo, funzionale
dell'economia, per non creare nuove caste e per evitare di consolidare atteggiamenti e
pratiche di burocratismo che inevitabilmente si formavano nella società e nel Partito.
Nel discorso tenuto il 16 maggio 1928 all'VIII Congresso dell'Unione della gioventù
comunista, Stalin, riguardo a queste tematiche, si espresse in questi termini: "La
classe operaia non può diventare il vero padrone del paese, se non è in grado di
superare la sua arretratezza culturale, se non è in grado di formare una sua
intellighentia, se non padroneggia la scienza e se non è capace di dirigere l'economia su
base scientifica. (...) Quello di cui abbiamo bisogno adesso sono specialisti bolscevichi,
per l'industria metallurgica, l'industria tessile, l'industria dei carburanti, per la
chimica, l'agricoltura, i trasporti, il commercio, per la contabilità, ecc.''. E ancora:
"Uno dei nemici peggiori della nostra avanzata è il burocratismo. (...) Di solito,
parlando di burocrati, si punta il dito sui vecchi funzionari senza partito, che si usa
disegnare con occhiali nelle caricature. Ma questo non è del tutto vero, compagni. Se si
trattasse soltanto dei vecchi burocrati, la lotta contro il burocratismo sarebbe la cosa
più facile di questo mondo. Il guaio è che non si tratta dei vecchi burocrati. Si tratta
dei nuovi burocrati che simpatizzano col potere sovietico, ed infine di burocrati
provenienti dalle file comuniste. Il tipo più pericoloso di burocrate è il burocrate
comunista. Perché? Perché egli maschera il burocratismo con la sua appartenenza al
Partito. E, purtroppo, da noi ci sono parecchi di questi burocrati comunisti. (...) Come
si può combattere questo male? Sono del parere che non ci sono e non ci possono essere
altri metodi al di fuori dell'organizzazione del controllo dal basso da parte dei membri
di base del Partito, al di fuori dello sviluppo della democrazia interna del Partito.
(...) Come si può farla finita col burocratismo in tutte le nostre organizzazioni? C'è
una sola via per raggiungere questo obiettivo: l'organizzazione del controllo dal basso,
l'organizzazione della critica delle masse di milioni di uomini della classe operaia
contro il burocratismo nelle nostre istituzioni, contro i loro difetti e i loro limiti.
(...) Sarebbe errato credere che solo i dirigenti dispongano di esperienze nella
costruzione del socialismo. Non è vero, compagni. Le masse di milioni di operai che
costruiscono la nostra industria accumulano giorno per giorno enormi esperienze, che non
sono per noi meno preziose delle esperienze dei dirigenti. Abbiamo bisogno della critica
di massa dal basso, del controllo dal basso, fra l'altro proprio perché non vadano perse
queste esperienze delle masse di milioni di uomini, perché siano prese in considerazione
e tradotte in pratica''(10).
Fu questo imponente movimento di massa basato sull'approfondimento delle conoscenze, sul
lavoro concreto e sulla saldezza ideologica e politica a permettere la realizzazione di
obiettivi che potevano sembrare impossibili da raggiungere e a creare una nuova leva di
dirigenti e responsabili in campo economico, sociale, politico e militare proveniente
essenzialmente dalle file operaie e contadine.
LA COSTITUZIONE DEL 1936
In meno di vent'anni dalla gloriosa Rivoluzione d'Ottobre il processo di costruzione del
socialismo in Unione sovietica è, nei suoi tratti fondamentali, realizzato. L'adozione
della nuova Costituzione, approvata il 5 dicembre 1936 dall'VIII Congresso straordinario
dei Soviet, sancisce la vittoria del socialismo in Urss. La nuova Costituzione è
l'espressione a livello legislativo di questa vittoria.
In essa si sancisce tra l'altro:
- la proprietà socialista della terra, delle fabbriche e dei mezzi di produzione;
- la soppressione dello sfruttamento;
- il diritto di ogni cittadino al lavoro, all'istruzione, all'assistenza necessaria;
- la direzione dello Stato da parte della classe operaia come classe d'avanguardia nella
società;
- l'eguaglianza dei diritti economici, sociali, culturali e politici di tutte le nazioni e
le razze;
- l'eguaglianza dei diritti dei cittadini indipendentemente dalla condizione,
dall'origine, dal sesso, dal lavoro svolto, ecc.;
- la garanzia, sulla base del principio della democrazia socialista, non solo dei diritti
dei cittadini ma anche dei mezzi necessari all'esercizio di questi diritti.
L'AGGRESSIONE NAZIFASCISTA E LA II GUERRA MONDIALE
Il socialismo e il potere sovietico furono alla base della salda unità dei popoli
dell'Urss e costituirono il fattore decisivo per il superamento di tutti gli ostacoli e di
tutti gli attacchi, interni ed esterni, alla dittatura del proletariato ed allo Stato
sovietico e che culminarono nella criminale aggressione nazifascista.
La II guerra mondiale è costata al popolo sovietico immani sofferenze e un alto tributo
di sangue. L'eroica resistenza all'esercito invasore tedesco e la successiva potente
controffensiva terminata con la Bandiera Rossa issata sul palazzo del Reichstag sono la
testimonianza incancellabile del valore, della forza e dell'unità che hanno legato in un
saldo vincolo il proletariato sovietico, il popolo sovietico, lo Stato sovietico e il
Partito comunista sovietico di Lenin e Stalin che ne è stato l'avanguardia e la guida
riconosciuta.
L'Urss e il suo popolo hanno avuto un ruolo primario e decisivo per la vittoria nella II
guerra mondiale e Stalin è stato il grande artefice sul piano politico, sul piano
strategico e sul piano militare della vittoria sul nazismo e sul fascismo. Queste sono due
verità incontrovertibili. Gli stessi imperialisti, i dirigenti stessi di Stati Uniti,
Gran Bretagna, Francia alla fine della guerra hanno dovuto riconoscere questa realtà
storica. Poi, con la ripresa della loro lotta contro il socialismo, uscito rafforzato e
vittorioso dal II conflitto mondiale, con lo scatenamento della "guerra fredda'' e
l'acuirsi dello scontro di classe a livello internazionale, hanno iniziato a sminuire,
negare, cercare di cancellare dalla memoria storica delle masse popolari queste verità;
successivamente imitati, soprattutto per quel che riguarda il ruolo di Stalin, dal loro
agente Krusciov. Ma tutti i nemici politici e ideologici del socialismo non riusciranno a
strappare dalla coscienza dei popoli la consapevolezza del ruolo primario, insostituibile
e decisivo che ebbero Stalin, l'Urss e l'Armata Rossa nel salvare il mondo dal dominio e
dalla schiavitù nazifascista.
Non furono, come prospettano oggi gli storici borghesi, gli aiuti delle forze alleate a
segnare le sorti della guerra. Le forniture militari degli alleati all'Urss furono, come
vedremo, non rilevanti e ininfluenti sul corso della guerra. Soprattutto esse furono
pressoché nulle nei primi due anni del conflitto, gli anni che rappresentarono il periodo
più duro per l'Urss e il suo popolo. La realtà è ben diversa. La realtà è che Hitler,
Mussolini, i circoli imperialistici nazifascisti, e non solo loro, basarono la loro
analisi della situazione sul fatto che l'Urss e il sistema sovietico, avessero piedi
d'argilla, che fossero fragili sul piano economico, su quello militare, su quello politico
e diplomatico. Per questo predisposero l'"Operazio-ne Barbarossa'', il criminale
piano di attacco e di invasione dell'Unione sovietica; convinti e sicuri del fatto che in
poche settimane avrebbero potuto sbaragliare l'Armata Rossa e il potere sovietico. Questa,
però, si dimostrò essere soltanto un'illusione. Stalin, a differenza dei suoi nemici e
dei dirigenti politici e militari dei paesi capitalisti e imperialisti, conosceva assai
bene tanto la loro realtà, quanto la situazione reale dell'Urss e la capacità reattiva
della sua classe operaia, del suo popolo e del suo Esercito Rosso. Stalin ha ben
evidenziato l'infondatezza dell'analisi di Hitler e il conseguente fallimento
dell'"Operazione Barbarossa'' e della "guerra lampo''. Questa operazione è
naufragata perché:
- è fallito il tentativo di isolare l'Unione sovietica che anzi è riuscita alla fine nel
suo sforzo, iniziato peraltro fin dall'ascesa di Hitler al potere, di costruire
un'alleanza con la Gran Bretagna e gli Stati Uniti creando un fronte unito contro il
nazifascismo e le potenze dell'"Asse'';
- si sono sottovalutate le forze del sistema e dell'Esercito sovietici e sopravvalutate le
forze degli aggressori che hanno visto svanire nel nulla le loro convinzioni circa la
rotta dell'Armata Rossa, la ribellione delle masse e l'abbattimento del potere sovietico.
L'esercito tedesco è sì riuscito, all'inizio, a penetrare con le sue truppe in
profondità nel territorio sovietico ma, ne è rimasto poi prigioniero, isolato e
accerchiato, con le retrovie costantemente attaccate dalle forze partigiane, fino ad
esserne annientato dalla possente controffensiva dell'Armata Rossa.
Stalin seppe altresì valutare anche le cause degli insuccessi nel conflitto, indicando le
giuste strategie per il loro superamento e per guidare quindi l'Urss alla vittoria finale.
Nel suo Rapporto alla seduta solenne del Soviet dei deputati di Mosca per il XXIV
anniversario della Grande Rivoluzione Socialista d'Ottobre, svolto il 6 novembre 1941,
egli rimarcava che per l'Esercito Rosso: "Vi sono alcune condizioni sfavorevoli a
causa delle quali il nostro Esercito subisce degli insuccessi temporanei, è costretto a
indietreggiare, a lasciare al nemico una serie di regioni del nostro paese. Quali sono
queste condizioni sfavorevoli? Quali sono le cause dei temporanei insuccessi dell'Esercito
Rosso? Una delle cause dei temporanei insuccessi dell'Esercito Rosso consiste nella
mancanza di un secondo fronte in Europa contro le truppe fasciste tedesche. (...) E questa
circostanza fa sì che i tedeschi considerando assicurate le loro retrovie in Occidente,
possono impegnare tutte le loro truppe e le truppe dei loro alleati europei contro il
nostro paese. La situazione odierna è tale che il nostro paese conduce da solo, senza
nessun aiuto militare la guerra di liberazione contro le forze coalizzate dei tedeschi,
dei finlandesi, dei romeni, degli italiani e degli ungheresi. (...) Un'altra causa dei
temporanei insuccessi del nostro Esercito consiste nell'insufficienza numerica di carri
armati e, in parte, di aerei. Nella guerra d'oggi è molto difficile per la fanteria
combattere senza carri armati e senza essere sufficientemente appoggiata dall'aria. (...)
Questo è il segreto dei temporanei successi dell'esercito tedesco. (...) Esiste un solo
mezzo per annientare la superiorità dei tedeschi in carri armati e migliorare così,
radicalmente, la situazione del nostro Esercito. Questo mezzo consiste non solo
nell'aumentare la produzione di carri armati nel nostro paese, ma anche nell'aumentare
rapidamente la produzione di aeroplani anticarro, di fucili e cannoni anticarro, di bombe
e di mortai anticarro, nel costruire un numero sempre maggiore di fosse anticarro e di
ostacoli anticarro di ogni genere. Questo è oggi il nostro compito. Noi possiamo
assolvere questo compito e lo dobbiamo assolvere ad ogni costo''(11).
Il compito indicato da Stalin fu assolto per intero. Negli anni 1943-45 l'industria
bellica sovietica ebbe una produzione media annua di 40 mila aerei e 30 mila carri armati
a fronte di una produzione tedesca, nello stesso periodo, di 26 mila aerei e 19 mila carri
armati. Inoltre negli ultimi tre anni di guerra l'Urss produsse 360 mila cannoni e 582
milioni di proiettili d'artiglieria. Lo sforzo dei lavoratori sovietici delle retrovie fu
poderoso e di inestimabile valore. Esso fornì da solo tutto l'armamento occorrente
all'Armata Rossa per sbaragliare il nemico, garantendo anche la quantità e la
funzionalità dei trasporti e l'approvvigionamento alimentare necessari a garantire i
bisogni del fronte e dell'intero paese. Complessivamente nel corso della guerra, l'Urss
produsse circa 137 mila aerei, 103 mila carri armati e 490 mila cannoni ricevendo da Stati
Uniti e Gran Bretagna solo 18.753 aerei, 11.576 carri armati e 9.600 cannoni. Questa è la
vera realtà determinatasi durante la II guerra mondiale, peraltro ammessa dallo stesso
Roosevelt il 20 maggio 1944 quando dichiarò dinnanzi al Congresso americano che
"l'Unione sovietica usa armamenti provenienti dalle proprie fabbriche''.
LO STATO SOCIALISTA E LA RICOSTRUZIONE POSTBELLICA, IL IV PIANO QUINQUENNALE
La seconda guerra mondiale costituì di fatto per l'Urss, per il suo governo e per il
Partito comunista sovietico una sorta di banco di prova, certamente non cercato, ma
imposto al paese, dal quale emersero comunque delle indicazioni importanti rispetto ad una
organizzazione statale, ad una forma di governo, ad una economia e a rapporti di
produzione completamente nuovi. Quello imposto dalla guerra fu un esame durissimo non solo
per valutare la tenuta della struttura economica dell'Urss, ma anche per valutarne la
solidità politica e quindi il grado di accettazione popolare del nuovo regime e il grado
di coesione raggiunto da uno Stato composto da diverse etnie e nazionalità. Ebbene questa
prova imposta all'Urss ha dimostrato la validità e la bontà del socialismo, la validità
e la bontà della strada scelta per creare il nuovo sistema, la validità e la bontà di
questo nuovo sistema sul piano economico, su quello relativo al rapporto tra masse
popolari e potere, tra società e governo ed, infine, tra lo Stato centrale e le diverse
Repubbliche socialiste costituenti l'Unione sovietica.
La ricostruzione impegnò ingenti risorse sia per quanto riguarda gli investimenti, che il
lavoro. Del resto le distruzioni e i vandalismi attuati dalle truppe naziste in fuga
avevano inferto terribili devastazioni al paese. Il bilancio delle perdite umane e
materiali dell'Unione sovietica alla fine della II guerra mondiale non ha eguali nella
storia dell'umanità. Tra militari e civili furono uccisi oltre 20 milioni di cittadini
sovietici. I danni materiali vennero quantificati in 2.600 miliardi di rubli. Alla fine
del 1945 i livelli di produzione erano diminuiti, rispetto all'anteguerra, del 10% per il
carbone, del 38% per il petrolio, del 33% per l'acciaio, del 41% per la ghisa, del 59% per
i tessuti. Nelle campagne vi era una riduzione delle aree coltivate pari a 37 milioni di
ettari, mentre gli allevamenti avevano perso più di 7 milioni di capi di bestiame. In
totale la produzione globale dell'agricoltura costituiva circa il 60% di quella
d'anteguerra.
A questa grave situazione il Partito comunista, il governo e il popolo sovietico fecero
fronte con decisione. E ciò avvenne ancor prima della fine della guerra. Già il 21
agosto 1943 infatti, vi fu un'importante risoluzione del CC del Partito comunista sulle
misure urgenti da intraprendere per restaurare l'economia nelle zone liberate. Man mano
che gli invasori nazisti venivano cacciati, iniziava, nei territori liberi, il lavoro di
ricostruzione. Tutto il paese si mobilitò con slancio e abnegazione in questa nuova
impresa. I lavoratori e le masse popolari sovietiche non si risparmiarono. Il loro lavoro
si trasformò molto spesso in atti di vero e proprio eroismo. Citiamo ad esempio i
minatori del Bacino del Donets che a rischio stesso della vita si calavano a lavorare
nelle miniere invase dall'acqua, rimettendone in funzione oltre 1.000 in due anni; le
donne di Stalingrado promotrici di un movimento di lavoro volontario per la ricostruzione
della città; gli abitanti di Leningrado che nel 1944 effettuarono a titolo volontario 23
milioni di giornate di lavoro per la ricostruzione. E, di questi esempi, se ne potrebbero
citare a migliaia. Questo impetuoso movimento, l'impegno lavorativo, l'alto livello di
coscienza collettivo fecero sì che già prima della fine della guerra fossero attivi
centri e impianti assai importanti per la vita e l'economia del paese quali la centrale
idroelettrica del Dniepr; le centrali elettriche di Novomoskovsk, del Volkhov, di Zuerka,
di Sterovka; le miniere del Bacino del Donets e numerosissimi altri ancora. Nel maggio del
1945 si concluse la II guerra mondiale.
Nel marzo del 1946 il Soviet Supremo varò il IV Piano quinquennale (1946-1950) per la
ricostruzione e l'ulteriore sviluppo dell'economia nazionale. I compiti principali del
Piano consistevano nel completamento dell'opera di ricostruzione, nel ristabilimento prima
e nel superamento poi, delle condizioni d'anteguerra per quanto riguardava l'apparato
produttivo e la capacità produttiva. Si doveva al più presto arrivare ad una
normalizzazione della vita economica ed al rilancio dello sviluppo di pace. A questo scopo
il Piano poneva come obiettivi una rapida riconversione dell'industria bellica; uno
sviluppo equilibrato in tutto il paese della capacità produttiva e degli impianti
produttivi, comprendendo in questo sviluppo anche le nuove Repubbliche sovietiche;
un'attenzione particolare al problema abitativo attraverso l'ampliamento delle superfici
abitabili e un forte incremento nella costruzione di nuove case. In agricoltura
l'attenzione maggiore era rivolta all'aumento delle aree coltivabili, al forte incremento
della meccanizzazione e, quindi, nella produzione di trattori e macchine agricole e ad un
sensibile incremento dei capi di bestiame negli allevamenti. Lo sforzo di ricostruzione si
giovò naturalmente dell'esperienza e delle capacità tecniche e umane acquisite negli
anni precedenti la guerra; degli investimenti, davvero notevoli, ad esso destinati; e,
fatto molto importante, dell'aiuto reciproco che i popoli e le diverse Repubbliche
dell'Unione sovietica si sono dati tra loro in uno spirito di fratellanza e di amicizia
marxista-leninista cementati dal comune impegno nella edificazione socialista. Il
risultato di ciò fu che già nel 1947 la produzione industriale raggiunse i livelli di
anteguerra. Nuove industrie sorsero in Transcaucasia, nell'Uzbekistan, in Azerbaijan e in
Ucraina. Nella zona di Leningrado si sviluppò in modo particolare l'industria meccanica e
delle costruzioni navali e particolare attenzione fu data anche alla produzione e alla
distribuzione dell'energia. Fabbriche di alluminio vennero attivate in Armenia e nella
zona degli Urali, un impianto per la lavorazione dei minerali sorse in Kazakhstan. Nuove
centrali elettriche furono costruite tra l'altro in Georgia, in Armenia, in Azerbaijan, in
Uzbekistan. Va sottolineato il ruolo svolto in questo settore, dai giovani comunisti. Nel
1947 il cantiere sorto a Ust-Kamenogorsk in Kazakhstan venne dichiarato cantiere della
gioventù. Alla costruzione di questa nuova centrale idroelettrica lavorarono oltre 4.000
giovani del Komsomol, l'80% di tutti gli operai.
Per quanto riguarda l'agricoltura, lo sforzo di ricostruzione e di sviluppo fu reso più
difficile dalla presenza soprattutto di due specifiche problematiche. La prima era una
diretta conseguenza della guerra. Sebbene tutto il paese avesse subito notevoli danni, la
distruzione subita dalle zone agricole richiedeva di fatto tempi più lunghi per il
ripristino di condizioni normali. Bisognava innanzitutto bonificare milioni di ettari di
terreno, rimetterlo a coltura e questo contando su minori risorse sia in termini di
materiali che, purtroppo, di uomini. Le perdite umane nelle campagne erano state molto
pesanti, soprattutto per quel che riguardava le vittime civili. In particolare il numero
dei lavoratori agricoli abili al lavoro nel 1946 si era ridotto di oltre un terzo rispetto
a prima della guerra. La seconda problematica fu causata dalle condizioni climatiche
verificatesi nel 1946, che portarono ad una siccità superiore anche a quella che colpì
il paese nel 1921 e che interessò in particolare le zone del Caucaso, del Basso Volga,
delle Terre Nere, della Moldavia e dell'Ucraina. Esperti del settore, anche occidentali,
hanno evidenziato che se l'agricoltura fosse stata ancora basata sulla forma
capitalistica, sulla proprietà e la conduzione privata, gli effetti della siccità
avrebbero distrutto milioni di aziende. Fu l'organizzazione socialista dell'agricoltura a
consentire, pur tra le inevitabili difficoltà, il superamento di tutte le problematiche e
gli aspetti negativi presenti in questo settore. Fu rafforzata in particolare la
produzione di macchine agricole che di anno in anno affluivano in misura sempre maggiore
ai vari colcos e sovcos, e la produzione di concimi. Questo allo scopo di ottenere una
migliore produttività in termini quantitativi e qualitativi delle colture. Il Partito
comunista dedicò notevole attenzione e grande impegno al settore agricolo e alla
risoluzione dei problemi presenti in esso.
Il Partito promosse e sviluppò la partecipazione dal basso al lavoro di ricostruzione
dell'agricoltura. In particolare colpì con decisione, anche al suo interno, ogni
violazione dei principi democratici nella gestione dei colcos, punendo le violazioni degli
statuti cooperativi, i funzionari responsabili di furti, indebite appropriazioni,
dell'impiego improprio del terreno sociale e in genere di ogni violazione alle leggi e
alle norme che regolavano il settore.
I lavoratori agricoli socialisti realizzarono con impegno, responsabilità ed entusiasmo i
loro obiettivi. L'emulazione socialista si generalizzò tra i contadini ed oltre 165 mila
di essi meritarono riconoscimenti per il lavoro svolto. In particolare 5.500 lavoratori
agricoli furono insigniti del titolo di Eroe del Lavoro Socialista. La collettivizzazione
dell'agricoltura fu estesa anche alle nuove Repubbliche sovietiche. Qui, i kulak, i
nazionalisti e altri elementi borghesi cercarono di arginare l'impetuoso movimento per la
collettivizzazione anche attraverso criminali attentati terroristici contro i colcos,
contro i contadini di avanguardia e contro i militanti comunisti, ma la loro resistenza
venne stroncata con successo ed in breve tempo.
Lo slancio rivoluzionario con il quale si era affrontato il lavoro di ricostruzione fece
sì che l'obiettivo del IV Piano quinquennale venne raggiunto e, in alcuni casi superato,
qualche mese prima della sua scadenza naturale.
- Nel settore industriale entrarono in funzione 6.200 aziende, contando sia quelle
ristrutturate che quelle di nuova costruzione. Tutte le Repubbliche dell'Unione sovietica
superarono il volume di produzione del periodo antecedente la guerra. Nel 1950 venivano
complessivamente prodotti in Urss oltre 19 milioni di tonnellate di acciaio, 36 milioni di
tonnellate di ghisa, 261 milioni di tonnellate di carbone, 38 milioni di tonnellate di
petrolio. La produzione di energia elettrica era di circa 91 miliardi di kilowattora. La
produzione globale di tutta l'industria crebbe di ben il 73% rispetto all'anteguerra. Lo
sviluppo tecnologico ebbe un impulso notevole e, in alcuni settori, l'industria sovietica
poté vantare macchinari di altissima qualità e una tecnologia all'avanguardia nel mondo.
Ciò contribuì in misura notevole al sensibile aumento della produttività del lavoro che
crebbe del 37%. La classe operaia ebbe un ulteriore incremento numerico. Alla fine del
1950 l'industria occupava circa 38 milioni e 900 mila lavoratori tra operai ed impiegati,
con un incremento di 7,7 milioni di occupati rispetto al 1940.
- Nel settore agricolo, stante la situazione precedentemente descritta, non si registrò
un eguale successo per quanto riguarda l'incremento dello sviluppo. Tuttavia il IV Piano
quinquennale raggiunse l'importante obiettivo della piena riorganizzazione del settore
soprattutto grazie all'unificazione di vari colcos e alla ristrutturazione e rafforzamento
dei sovcos. Nel 1950 i sovcos erano circa 5.000, 289 più del 1940. Complessivamente la
produzione globale agricola raggiunse alla fine del piano il 99% del livello prebellico,
ma con un incremento di produzione tra il 1946 e il 1950 del 70%. Grazie al grosso sforzo
in fatto di meccanizzazione la produttività del settore crebbe comunque di circa l'8%
rispetto al 1940. Buoni successi si registrarono in taluni ambiti quali quello della
produzione di cotone e quello relativo ai prodotti dell'allevamento; mentre i problemi
più seri si ebbero soprattutto relativamente alla produzione cerealicola ed alle aree
seminate e, come si può notare, qui si riscontrarono maggiormente gli effetti negativi
conseguenti alla guerra e alla siccità del 1946.
- Sul piano finanziario si ottenne un rafforzamento ed una stabilizzazione del sistema
grazie alla riforma monetaria e alla abolizione del tesseramento annonario per i prodotti
alimentari e industriali. Entrambi questi provvedimenti furono presi alla fine del 1947.
L'effetto che produssero permise un aumento del potere d'acquisto del rublo ed un
consistente abbassamento dei prezzi. Ciò fece sì che aumentassero il salario reale di
operai e impiegati e le entrate degli agricoltori collettivi, con un miglioramento delle
condizioni dei lavoratori e un incremento del reddito nazionale del 164% rispetto a quello
del 1940.
- Sul piano sociale vennero stanziate forti risorse per far fronte ai problemi più
urgenti e migliorare la qualità della vita dei lavoratori soddisfacendone maggiormente i
bisogni soprattutto in relazione ai problemi dell'assistenza sanitaria e della casa. Nel
settore sanitario venne portata a termine la ricostruzione degli ospedali, delle case di
cura e di riposo distrutti durante la guerra e ne vennero costruiti di nuovi.
Contestualmente crebbe il numero dei medici. Nel 1950 i sanitari che operavano nel paese
erano all'incirca 265 mila, 110 mila in più rispetto al 1940. La mortalità era diminuita
di tre volte rispetto al 1913. Nel settore dell'edilizia abitativa l'obiettivo del IV
Piano venne superato di circa il 21%. In termini quantitativi vennero costruiti nelle
città 102,8 milioni di mq di aree abitabili e oltre 2 milioni e 700 mila case nelle
località di campagna.
Alla fine del IV Piano quinquennale l'Unione sovietica è uno Stato socialista con una
solida base produttiva e una società in cui il permanere dell'alleanza tra la classe
operaia, la classe degli agricoltori collettivi e socialisti e gli intellettuali,
permetteva di continuare ad avanzare sulla strada dell'ulteriore consolidamento del
socialismo. Queste classi e gruppi sociali rappresentavano la base sociale di questo
grande processo di trasformazione e la classe operaia ne era il perno, la guida
fondamentale e il nucleo direttivo a livello politico della società e del potere
sovietici. Dall'affermazione della Rivoluzione d'Ottobre e dall'inizio del processo di
costruzione del socialismo, la classe operaia è radicalmente cambiata. è cambiata sul
piano delle conoscenze acquisite, delle capacità acquisite, di una più matura e salda
coscienza ideologica e di classe acquisita. Il ruolo centrale in questa crescita e
maturazione della classe operaia è stato svolto dalla sua avanguardia politica, il
Partito comunista di Lenin e di Stalin. In quel momento storico il proletariato in Urss
aveva preso coscienza del suo ruolo nella società, un ruolo cresciuto di pari passo allo
sviluppo della lotta per il socialismo.
L'operaio, all'inizio del processo di costruzione del socialismo in Unione sovietica, era
di estrazione contadina, con i retaggi tipici della mentalità e della ideologia contadina
basate essenzialmente sull'individualismo. Anche nel periodo di sviluppo
dell'industrializzazione e della pianificazione, sono state le campagne a fornire la
manodopera industriale. E questo ha comportato problemi particolari e specifici, legati
alla situazione concreta. I principali fra essi furono quelli legati alle modalità del
reclutamento industriale ed alla stabilità di impiego. A questo proposito è bene fare un
inciso che, sebbene in quest'ambito non può certo costituire un'analisi esauriente e
dettagliata di questa problematica, si rende tuttavia necessario soprattutto per sgombrare
il campo da grossolane e perverse falsificazioni storiche attuate dai nemici del
socialismo.
Il reclutamento industriale avvenuto nel periodo di accelerazione del processo di
industrializzazione e dello sviluppo pianificato, fu tutt'altra cosa rispetto a quella
sorta di sradicamento e di esodo forzato della popolazione contadina descritto dalla
borghesia e dai revisionisti.
Nel passaggio da un'economia agricola ad un'economia industriale, il problema della
sovrappopolazione contadina è insito e connaturato a questo processo. Tutte le società
dall'avvento della rivoluzione industriale in poi, hanno dovuto necessariamente affrontare
questo problema. Nello specifico della realtà sovietica il forte impegno
nell'industrializzazione del paese, da un lato, e la collettivizzazione e la
meccanizzazione dell'agricoltura, dall'altro, hanno determinato la necessità per
l'industria di avere un bisogno sempre maggiore di operai da immettere nel processo
produttivo, mentre nelle campagne si registrava una crescita più accentuata della
sovrappopolazione agricola. Stante questa situazione, il governo sovietico intervenne
creando un sistema di "assunzione organizzata''. Questo sistema si basava sulla
collaborazione estesa in forma capillare a tutto il paese, tra le direzioni delle singole
industrie (composte dal direttore, dal segretario della struttura di fabbrica del Partito
e dal presidente del Comitato di fabbrica, la struttura di base del sindacato nelle
aziende) e le direzioni delle aziende agricole collettive.
Attraverso la stipula di accordi annuali tra le aziende dei due settori, le fabbriche
assumevano la sovrappopolazione agricola delle campagne. Un aspetto molto importante dei
contratti tra le aziende industriali e le aziende agricole collettive consisteva nel fatto
che questi contratti dovevano essere attuati sulla base dell'adesione volontaria dei
lavoratori.
Questo era il metodo di "assunzione organizzata''. Un metodo basato sul convincimento
e non sulla coercizione. Attraverso questo metodo l'industria assunse, nei tre piani
quinquennali attuati prima dello scoppio della guerra, circa un milione e mezzo di operai
all'anno e tra il 1926 e il 1939 si trasferirono dalle campagne alle città, circa
ventiquattro milioni di persone. Stalin e il Partito comunista sovietico prestarono molta
attenzione alla risoluzione di questi problemi, senza mai perdere di vista l'importanza
primaria della lotta e dell'educazione ideologica che superasse l'individualismo,
l'ossessione egoistica del bene personale, per sostituirli con una radicata coscienza di
classe basata sulla socialità, sull'interesse comune, sulla ricerca del benessere
collettivo come espressione massima dell'impegno e dell'azione individuale. Accanto alla
crescita culturale, accanto all'acquisizione di sempre più alte capacità tecniche e
professionali, accanto alla diffusione capillare degli organismi di controllo e di
gestione di ogni singola unità produttiva e alla partecipazione attiva ad essi accanto a
tutto questo fu il lavoro politico ideologico l'elemento determinante in grado di formare
un proletariato cosciente ed una classe operaia capace di dirigere economicamente e
politicamente tutta la società, ai suoi vari livelli.
Dal 5 al 14 ottobre 1952 si svolse a Mosca il XIX Congresso del Pcus, questo il nuovo nome
approvato dall'Assise congressuale, al quale parteciparono le delegazioni di partiti
operai e comunisti di quarantaquattro paesi. Era il primo Congresso che si teneva dopo la
guerra e in un contesto internazionale completamente nuovo e in rapida evoluzione.
L'aspetto più importante della nuova situazione era rappresentato dal fatto che l'Urss
non era più l'unico paese socialista nel mondo, in quanto molte altre nazioni, tra cui la
Repubblica Popolare Cinese, procedevano ora sullo stesso cammino.
Il XIX Congresso del Pcus sottolineò come l'obiettivo primario della politica interna del
Partito doveva essere quello dell'elevamento del livello di vita del popolo sovietico, del
miglioramento del suo benessere materiale e culturale. Stalin nella sua ultima opera
"Problemi economici del socialismo nell'Urss'', redatta nel corso del 1952, mise in
evidenza questa necessità, soprattutto attraverso la definizione delle leggi economiche
fondamentali che sono alla base dei diversi sistemi capitalistico e socialista. Così
Stalin, sintetizzò queste leggi: "I tratti principali e le esigenze della legge
economica fondamentale del capitalismo contemporaneo potrebbero formularsi all'incirca in
questo modo: realizzazione del massimo profitto capitalistico mediante lo sfruttamento, la
rovina e l'impoverimento della maggioranza della popolazione di un determinato paese,
mediante l'asservimento e la spoliazione sistematica dei popoli degli altri paesi,
particolarmente dei paesi arretrati e, infine, mediante le guerre e la militarizzazione
dell'economia nazionale, utilizzate per realizzare i profitti massimi''.
E ancora: "I tratti essenziali e le esigenze della legge economica fondamentale del
socialismo potrebbero formularsi all'incirca in questo modo: assicurazione del massimo
soddisfacimento delle sempre crescenti esigenze materiali e culturali di tutta la
società, mediante l'aumento ininterrotto e il perfezionamento della produzione socialista
sulla base di una tecnica superiore''(12).
Le argomentazioni esposte nei "Problemi economici del socialismo nell'Urss'',
ponevano altresì una serie di problematiche rilevanti non solo sul piano dell'analisi
economica e Stalin e il Partito comunista vollero che a tutti i livelli della società si
sviluppasse un ampio dibattito su queste tematiche di fondamentale importanza per il
corretto sviluppo del processo di costruzione del socialismo. Confutando le
interpretazioni dell'economista Iaroscenko alle sue tesi, Stalin sostiene che: "Scopo
della produzione socialista non è il profitto, ma l'uomo con i suoi bisogni, cioè il
soddisfacimento delle sue esigenze materiali e culturali. (...) Il compagno Iaroscenko
ritiene che qui si tratti del `primato' del consumo sulla produzione. Questa,
naturalmente, è una sciocchezza. In effetti si tratta qui non di un primato del consumo,
ma della subordinazione della produzione socialista al suo fondamentale scopo di garantire
il massimo soddisfacimento delle esigenze materiali e culturali, in costante aumento, di
tutta la società. Quindi la garanzia del massimo soddisfacimento delle esigenze materiali
e culturali, in costante aumento, di tutta la società, è lo scopo della produzione
socialista; l'aumento ininterrotto e il perfezionamento della produzione sulla base di una
tecnica superiore è il mezzo per raggiungere questo scopo. Questa è la legge economica
fondamentale del socialismo. Volendo conservare il cosiddetto primato della produzione sul
consumo, il compagno Iaroscenko afferma che `la legge economica fondamentale del
socialismo' consiste `nell'aumento ininterrotto e nel perfezionamento della produzione
delle condizioni materiali e culturali della società'. Questo non è affatto vero. (...)
Per lui la produzione da mezzo si trasforma in scopo, e la garanzia del massimo
soddisfacimento delle esigenze materiali e culturali, in costante aumento, della società,
viene esclusa. (...) Non vi è dunque da stupirsi se insieme alla scomparsa dell'uomo,
come scopo della produzione socialista, scompaiono dalla `concezione' del compagno
Iaroscenko gli ultimi resti di marxismo. In questo modo si giunge nel compagno Iaroscenko
non al `primato' della produzione sul consumo, ma ad una specie di `primato'
dell'ideologia borghese sull'ideologia marxista''. Infine, sottolineiamo l'esposizione, da
parte di Stalin, di una tesi assai importante circa l'esistenza delle contraddizioni nel
socialismo: "Il compagno Iaroscenko sbaglia affermando che nel socialismo non esiste
nessuna contraddizione tra i rapporti di produzione e le forze produttive della società.
Naturalmente, i nostri attuali rapporti di produzione attraversano un periodo in cui,
corrispondendo appieno alla crescita delle forze produttive, le fanno procedere in avanti
a passi da gigante. Ma non sarebbe giusto accontentarsi di questo e ritenere che non
esista nessuna contraddizione tra le nostre forze produttive e i rapporti di produzione.
Contraddizioni esistono senz'altro ed esisteranno, in quanto lo sviluppo dei rapporti di
produzione ritarda e ritarderà rispetto allo sviluppo delle forze produttive. Con una
giusta politica degli organismi dirigenti queste contraddizioni non possono trasformarsi
in contrasto, e non si può giungere a un conflitto tra i rapporti di produzione e le
forze produttive della società. Ma non sarebbe così se facessimo una politica sbagliata,
del genere di quella raccomandata dal compagno Iaroscenko. In tal caso il conflitto
sarebbe inevitabile, e i nostri rapporti di produzione potrebbero trasformarsi in un freno
molto serio dell'ulteriore sviluppo delle forze produttive''(13).
Stalin osserva inoltre che le argomentazioni sostenute da Iaroscenko non sono per nulla
nuove, ma riconducono alle vecchie tesi già espresse da Bucharin e confutate da Lenin e
dallo stesso Stalin.
La costruzione del socialismo in Urss, del resto, non fu certo un processo lineare e privo
di conflitti. Tutt'altro. Fece emergere contraddizioni i cui effetti attraversarono la
società, il governo e il Partito. La lotta di Stalin contro i vari Trotzki, Zinoviev,
Kamenev, Bucharin, Rikov, Tomski, ecc., fu una vittoria contro la borghesia di cui questi
revisionisti e controrivoluzionari, erano i rappresentanti. La loro sconfitta determinò
la convinzione che fosse definitivamente scomparsa in Urss anche la borghesia. Questa fu
una opinione errata e quanto affermato da Stalin nei "Problemi economici del
socialismo nell'Urss'' costituisce anche un riconoscimento di questo errore. Stalin, come
abbiamo visto, pone ora all'attenzione l'esistenza delle classi e delle contraddizioni di
classe nel socialismo. Sarà poi Mao che, analizzando a fondo tutta l'esperienza storica
del proletariato e le esperienze di costruzione del socialismo in Urss, in Cina e negli
altri Stati socialisti, chiarirà dal punto di vista teorico che la vittoria della
Rivoluzione e l'affermazione del socialismo non sono, di per sé, un fatto irreversibile,
acquisito una volta per tutte; ma che in tutto il periodo di transizione al comunismo
continuerà la lotta tra proletariato e borghesia e sarà lo sviluppo della lotta di
classe a determinare la vittoria del socialismo e la permanenza al potere della classe
operaia. La Grande rivoluzione culturale proletaria cinese ideata e diretta da Mao sarà,
sul piano pratico e dell'azione concreta, la realizzazione della teoria della
continuazione della rivoluzione sotto la dittatura del proletariato.
IL COLPO DI STATO CONTRORIVOLUZIONARIO DEL RINNEGATO REVISIONISTA KRUSCIOV
In Urss Krusciov e la sua banda revisionista sono stati gli alfieri della borghesia
sovietica; gli iniziatori del programma di disgregazione del primo Stato socialista e del
movimento comunista internazionale.
Con la morte di Stalin sono usciti allo scoperto, dando impulso alla loro lotta contro il
proletariato, la rivoluzione e il socialismo; iniziando a ordire la loro trama golpista
per assicurarsi il pieno controllo del Partito, dell'esercito e dello Stato sovietici;
eliminando, mai attraverso lotte politiche che coinvolgessero le masse ma attraverso colpi
di mano e intrighi di palazzo, tutti coloro che potevano essere di ostacolo ai loro piani
di restaurazione. Eletto, nel settembre del 1953, primo segretario del CC del Pcus
Krusciov inizia da subito una vasta campagna di riabilitazione di vecchi arnesi
revisionisti, spalancando ad essi le porte del Partito, assicurandosi sostegno per la sua
politica.
La trama golpista di Krusciov ha il suo punto di approdo al XX Congresso del Partito,
svoltosi a Mosca nel febbraio 1956. Con un ultimo colpo di mano, a fine congresso,
informando all'ultimo momento tanto il gruppo dirigente che i delegati, convoca una seduta
notturna nella quale legge il suo famigerato "rapporto segreto''. Il documento
intitolato "Sul culto della personalità e le sue conseguenze'' è stato un ignobile
attacco alla figura e all'opera di Stalin. Un documento che ha vomitato le più infamanti
ingiurie sulla memoria di Stalin, che lo calunniava malignamente, accusandolo falsamente
di ogni sorta di crimini. Un documento criminale, come criminale era lo scopo a cui doveva
servire. Creare disorientamento e scompiglio in Urss come negli altri paesi socialisti e
nel movimento comunista internazionale, favorendo gli elementi revisionisti e dando
un'arma in più al capitalismo, all'imperialismo e alla loro propaganda, nella lotta
contro il socialismo. Per questo il lercio rapporto fu tenuto nascosto al Partito
sovietico e ai partiti del movimento comunista internazionale fino a cose fatte e, per
questo, fu subito fatto filtrare nelle mani degli imperialisti. Il Dipartimento di Stato
degli Usa, infatti, ne entrò subito in possesso e decise di farlo pubblicare dal
"New York Times'' il 5 luglio 1956.
Ridare spazio e potere alla borghesia sovietica era l'obiettivo principale del
revisionismo kruscioviano. Per realizzare questo obiettivo era necessario mutare
radicalmente la politica di costruzione del socialismo portata avanti da Stalin.
Krusciov si è quindi violentemente scagliato contro Stalin, ha tentato di contrapporre il
suo pensiero e la sua azione al pensiero e all'azione di Marx, Engels e Lenin, per
ingannare la classe operaia sovietica e internazionale e cercare di nascondere il vero
scopo del revisionismo: distruggere alle radici la teoria rivoluzionaria
marxista-leninista.
Il XX Congresso del Pcus è stato e resta la linea di demarcazione tra il revisionismo
moderno ed il marxismo-leninismo. In questo congresso infatti, si sono gettate le basi per
snaturare completamente:
- l'esercizio diretto del potere da parte della classe operaia, contrapponendo alla
dittatura del proletariato il cosiddetto "Stato di tutto il popolo'', che attraverso
la mistificazione del superamento delle classi consoliderà il potere della borghesia
monopolistica e la sua dittatura fascista;
- la concezione marxista-leninista del partito come espressione organizzata
dell'avanguardia cosciente della classe operaia, contrapponendo ad essa il "partito
di tutto il popolo'';
- la necessità della rivoluzione proletaria quale via indispensabile ed insostituibile
per la conquista del potere politico da parte della classe operaia, contrapponendo ad essa
le "vie parlamentari'' gettando così alle ortiche l'analisi e la teoria
marxista-leninista dello Stato e della sua natura di classe.
Sul piano politico ed economico Krusciov lancia la sua campagna per la "riforma del
sistema'', che riporterà ben presto l'Urss nell'alveo del capitalismo, aggravando nel
contempo la condizione materiale delle masse popolari e le condizioni di lavoro tanto
nelle città che nelle campagne. In ogni settore dell'economia il profitto diviene lo
scopo principale della produzione e il parametro di valutazione di ogni azienda. La prima
conseguenza di ciò sarà la perdita di ogni potere in ogni luogo di produzione tanto
dell'assemblea dei lavoratori, che degli organismi di controllo operaio e un radicale
mutamento dell'organizzazione del lavoro.
LA SALITA DEL REVISIONISMO AL POTERE E' LA SALITA DELLA BORGHESIA AL POTERE
Tutte le funzioni di direzione nelle aziende passano ai direttori, dalla fissazione e
attuazione dei piani di produzione alla gestione diretta dell'attività lavorativa. Nelle
fabbriche vengono cambiati i regolamenti interni, agli operai viene imposta una rigida
disciplina e, per elevare la produttività, viene introdotto in modo massiccio e
generalizzato il sistema degli incentivi materiali. Anche il sistema di pianificazione
economica viene snaturato.
Nel maggio 1957, attraverso una apposita legge, vennero istituiti i consigli economici
regionali, ai quali venne demandato ogni potere di direzione tanto sull'economia che sulle
industrie locali. Ciò comportò una crescita notevole di squilibri sia tra le diverse
Repubbliche che, all'interno stesso di ogni singola zona, tra i diversi settori economici.
Saltato completamente il sistema di pianificazione generale, questa nuova organizzazione
fallì completamente anche rispetto al coordinamento fra i piani e sulla distribuzione dei
fondi tra le diverse Repubbliche.
L'unico settore a rimanere sotto la gestione diretta dei ministeri centrali fu quello
relativo all'industria degli armamenti. E ciò non a caso, dato che sul piano
internazionale il revisionismo kruscioviano portava l'Urss ad assumere posizioni
marcatamente sciovinistiche e a muoversi nell'arena mondiale come una grande potenza con
precise ambizioni imperialistiche.
Nel settore dell'agricoltura l'impatto della "riforma'' kruscioviana ebbe conseguenze
ancora più pesanti che negli altri settori economici. "Liberalizzazione'' è la
parola d'ordine lanciata da Krusciov. L'obiettivo è smantellare il sistema
collettivistico e restaurare il capitalismo nelle campagne. E infatti una parte
consistente dei finanziamenti destinati all'agricoltura, viene utilizzata per fornire
prestiti per l'affitto a privati di terreno coltivabile e per l'acquisto privato di
bestiame e gli stessi lavoratori agricoli collettivi vengono incentivati più che a
valorizzare e far progredire i colcos e i sovcos, a sfruttare al meglio gli appezzamenti
individuali e gli allevamenti privati, i cui prodotti verranno venduti nel "mercato
libero'' reintrodotto su larga scala in tutto il paese. Il risultato di questa politica
sarà lo sgretolamento di fatto della gestione collettiva dell'economia agricola
pianificata, il decremento costante della produttività di colcos e sovcos e della
fornitura dei prodotti agricoli allo Stato che, per far fronte all'insufficiente
approvvigionamento ed al mancato sviluppo della produzione agricola interna, dovrà
ricorrere ad una sempre crescente importazione di cereali dall'occidente e dagli Stati
Uniti in particolare.
Il tratto distintivo della politica di Krusciov in agricoltura è il lancio di obiettivi
diversi senza alcuna base di analisi reale della situazione che avranno tutti, senza
eccezione alcuna, un esito fallimentare lasciando però conseguenze assai pesanti sulle
condizioni di vita della maggioranza della popolazione agricola. Fu così per i programmi
delle "terre vergini''; per il "balzo in avanti dell'allevamento'' che avrebbe
dovuto portare in cinque anni (1957-1962) al triplicamento della produzione di carne, di
latte e derivati; per "la campagna del mais'' la cui coltura venne estesa anche a
zone climaticamente non adatte provocando sia la perdita dei raccolti che il
peggioramento, quando non addirittura la distruzione, della praticoltura e la conseguente
perdita della fienagione. Di fatto gli unici "successi'' della politica agraria
kruscioviana si concentrarono nello sviluppo della produttività del settore privato
dell'agricoltura a scapito di quello collettivistico e socializzato. Le conseguenze di
ciò emersero appieno nel 1963, anno di carestia. Di fronte al cattivo raccolto emerse la
realtà della assoluta carenza delle riserve di grano accumulate dallo Stato,
indispensabili proprio per far fronte a possibili calamità naturali. In tutto il paese
mancò il pane e si dovette ricorrere al razionamento alimentare ed al massiccio acquisto
di grano all'estero (oltre tredici milioni di tonnellate) con un pesante onere finanziario
per lo Stato che dovette attingere perfino alle riserve auree.
Il bilancio della "riforma agricola'' di Krusciov, in sintesi, si concretizzò nella
reintroduzione massiccia e generalizzata dell'attività e del commercio privati, con il
risorgere degli elementi capitalisti nelle campagne; con un mancato sviluppo della
produttività del settore collettivistico e socializzato e l'indebitamento crescente dei
lavoratori agricoli dei colcos; con una sostanziale stagnazione della produzione e, per
quanto riguarda alcuni settori, addirittura un arretramento; con una difficoltà sempre
crescente di approvvigionamento alimentare per soddisfare le esigenze della popolazione
dell'intero paese.
Sul piano più generale la nuova borghesia dell'Urss cercava con ogni mezzo di accelerare
il processo di restaurazione capitalistico e di distruzione del socialismo. Numerose
furono le leggi varate da Krusciov tese a rinsaldare il potere, gli interessi e i
privilegi della borghesia, della casta burocratica del partito, dell'esercito e dello
Stato a scapito della classe operaia, dei lavoratori e dei ceti popolari. Nella società
sovietica tornava in tutta la sua asprezza a mostrarsi il divario fra le classi, la
differenziazione di classe, la divisione tra lavoro manuale e lavoro intellettuale, il
disprezzo per il lavoro operaio, tutte le manifestazioni, insomma, tipiche della società
e dell'ideologia borghesi.
Tra queste leggi vanno segnalate la riforma del sistema scolastico, in base alla quale
l'istruzione superiore e universitaria divenne appannaggio quasi esclusivo dei rampolli
delle nuove classi dominanti e di difficile accesso per i figli delle famiglie operaie e
contadine; l'introduzione attraverso atti legislativi di particolari privilegi per i
membri degli apparati politico, ministeriale, della ricerca, per i militari e gli agenti
dei Servizi di sicurezza dello Stato. Privilegi che andavano da un miglior trattamento
pensionistico, alla riduzione per metà del costo degli affitti, all'uso gratuito dei
trasporti pubblici, a soggiorni annuali gratuiti in luoghi di cura e nei centri di
villeggiatura, ecc.
Tutto questo mentre, di pari passo, si aggravavano le condizioni di vita e di lavoro della
classe operaia, dei lavoratori agricoli e delle masse popolari che dovevano far fronte ad
un pesante attacco ai salari, a gravi problemi anche occupazionali, a difficoltà sempre
crescenti inerenti la casa e l'approvvigionamento alimentare. Problemi questi che
provocarono anche dure lotte in varie fabbriche e località del paese, sfociate anche in
manifestazioni di piazza con scontri e sanguinose repressioni da parte di esercito e
polizia.
Tutta l'azione svolta dalla cricca revisionista di Krusciov è stata diretta ad accrescere
il potere politico ed economico dello strato privilegiato borghese dell'Urss. Da questo
strato privilegiato è emersa una nuova borghesia, la borghesia monopolista burocratica
che attraverso il controllo del potere statale ha trasformato la proprietà socialista in
una sua proprietà e l'economia socialista in economia del capitalismo monopolistico di
Stato.
La società che ne è emersa è una vera e propria società capitalistica imperniata sul
dominio assoluto della borghesia monopolista burocratica e su un'economia il cui scopo è
l'ottenimento del massimo profitto per la borghesia monopolista burocratica, attraverso
l'intensificarsi dello sfruttamento della classe operaia e del popolo lavoratore sul piano
interno e lo sviluppo di una politica di espansione e di aggressione sul piano
internazionale. Mao, in riferimento alla cricca revisionista di Krusciov, è stato
puntuale e perentorio nel giudizio: "La salita del revisionismo al potere significa
la salita della borghesia al potere'' (da una Conversazione dell'agosto 1964); e ancora:
"L'Unione Sovietica di oggi è sotto la dittatura della borghesia, una dittatura
della grande borghesia, una dittatura di tipo fascista tedesco, una dittatura di tipo
hitleriano'' (da una Conversazione dell'11 maggio 1964).
I REVISIONISTI TRASFORMANO L'URSS IN UN PAESE SOCIALIMPERIALISTA
Nell'ottobre del 1964 l'aggravarsi della situazione interna all'Urss, così come la
situazione internazionale, spingono la borghesia monopolista burocratica dell'Urss ad
accantonare Krusciov e a sostituirlo, tramite l'ennesimo intrigo di palazzo, con Breznev.
In molti si mobilitano per accreditare la tesi che questo fatto rappresenti un cambiamento
nella politica dell'Unione sovietica. Niente è più falso di questo. Breznev è stato fin
dall'inizio un esponente di spicco della cricca revisionista kruscioviana e un alacre
sostenitore e realizzatore della sua politica. La sua stessa "carriera'' nel Partito
e nello Stato sovietici è stata favorita e protetta da Krusciov, sin da quando questi era
segretario del Partito in Ucraina. Dopo la morte di Stalin, Breznev viene messo a capo
della direzione politica della marina militare e successivamente nominato, dapprima
segretario del Partito di Kazahstan, e quindi presidente del Soviet supremo dell'Urss.
Breznev ha sviluppato il revisionismo kruscioviano, completando l'opera di restaurazione
capitalistica culminata con la nascita e lo sviluppo del socialimperialismo. Breznev ha
legalizzato in Urss il principio capitalistico del profitto, ha intensificato lo
sfruttamento, ha sviluppato la militarizzazione dell'economia nazionale, la corsa al
riarmo convenzionale e nucleare per sostenere le ambizioni espansionistiche ed egemoniche
del socialimperialismo.
La cosiddetta "dottrina Breznev'' è l'espressione diretta della politica
socialimperialista di aggressione ed espansione. Essa aveva come capisaldi le teorie
"della sovranità limitata''; "della dittatura internazionale''; "della
comunità socialista''; "della divisione internazionale del lavoro''; "degli
interessi coinvolti''.
Altro che socialismo! La "dottrina Breznev'' esposta in queste teorie altro non è
che l'espressione diretta di una nuova politica coloniale e dell'affermazione della
propria egemonia sul mondo. Socialismo a parole, imperialismo nei fatti! I principi
marxisti-leninisti sulle relazioni tra gli Stati socialisti e i principi
dell'internazionalismo proletario si basano sull'assoluta uguaglianza e la completa
parità nelle relazioni tra Stati; sull'appoggio e l'assistenza reciproci; sulla non
ingerenza negli affari interni; sul rispetto dell'integrità territoriale, della
sovranità e dell'indipendenza nazionale; sull'uguaglianza e il vantaggio reciproco negli
scambi commerciali; sul mutuo aiuto sia tra gli Stati socialisti, che fra questi e i paesi
dell'Asia, dell'Africa e dell'America Latina, per promuovere lo sviluppo armonico in tutti
i paesi di una economia nazionale indipendente e autonoma. Cosa hanno a che spartire
questi principi marxisti-leninisti e dell'internazionalismo proletario, con la
"dottrina Breznev''? Assolutamente nulla! E cosa ha invece in comune la
"dottrina Breznev'', con la politica neocolonialista e imperialista? Assolutamente
tutto!
In competizione con l'imperialismo americano per imporre il proprio dominio economico, il
socialimperialismo sovietico ha calpestato i legittimi diritti dei popoli e la sovranità
delle nazioni; opprimendo i paesi assoggettati alla sua "sfera di influenza'',
attuando una politica neocoloniale nei paesi del Terzo mondo per depredarli di ricchezze e
di materie prime ed utilizzarne i territori per installare basi militari strategicamente
utili dal punto di vista del controllo e dello sviluppo espansionistico, giungendo a
occupare e invadere militarmente i paesi che minacciavano la stabilità e lo sviluppo
aggressivo socialimperialista. La gloriosa Armata Rossa, che quando l'Urss era il paese
socialista a cui guardava con fiducia e orgoglio il proletariato mondiale, è stato
l'esercito che ha riportato libertà e speranza a tanti popoli e paesi, infliggendo un
colpo mortale alla barbarie nazifascista, è stata trasformata e utilizzata dal
socialimperialismo sovietico in uno strumento militare di aggressione e di oppressione.
L'occupazione militare della Cecoslovacchia attuata il 21 agosto 1968, così come
l'invasione dell'Afghanistan attuata tra il 24 e il 26 dicembre 1979 sono l'espressione
diretta del tradimento revisionista e dello scempio fatto non solo degli ideali del
socialismo, ma di tutti i principi teorici e pratici del marxismo-leninismo.
L'attuazione di questa politica inoltre ha avuto conseguenze drammatiche per i lavoratori
e il popolo sovietico. La militarizzazione dell'economia sovietica, necessario supporto
allo sviluppo del socialimperialismo, ha causato uno sviluppo del tutto insufficiente
delle industrie e delle risorse economiche necessarie al soddisfacimento dei bisogni
materiali e culturali del popolo e una forte dipendenza dell'Urss dal mercato estero per
quanto riguarda l'approvvigionamento alimentare. Tutto ciò ha comportato un netto
peggioramento delle condizioni di vita delle masse popolari sovietiche e una costante
degenerazione, tipica delle società borghesi, dei rapporti sociali e della vita sociale.
Questa politica e la società che ne è scaturita, non hanno nulla a che vedere con l'Urss
socialista costruita da Lenin e Stalin.
Un lungo filo nero lega Krusciov, Breznev, Andropov, Cernienko e Gorbaciov. E questi
ultimi a Eltsin e all'attuale caporione fascista, sciovinista e neozarista Putin. è il
filo nero attraverso cui il moderno revisionismo, prima di essere a sua volta sconfitto
nelle sue brame di potere e nelle sue mire egemoniche, ha disintegrato l'Urss
riconsegnando le varie repubbliche dell'ex Unione Sovietica alle rispettive borghesie
nazionali.
La realtà storica che ci sta di fronte ci ha ampiamente dimostrato che il revisionismo al
potere ha trasformato l'Urss, il primo grande Stato socialista, in una potenza
socialimperialista; ha trasformato tanti altri Stati socialisti nel mondo in paesi
dipendenti e ridotti al rango di colonie (Cecoslovacchia, Cuba, ecc.). Il revisionismo in
ogni paese in cui ha usurpato il potere ha causato gravi dissesti in campo economico e
sociale, ha compromesso lo sviluppo dell'industria, dell'agricoltura, ha provocato
inflazione, insufficienza nei rifornimenti e penuria di merci, immiserendo via via i
lavoratori e le masse popolari. Questo è quanto hanno saputo "costruire'' i moderni
revisionisti, gli artefici e gli epigoni del XX congresso. Spacciandosi per marxisti e per
leninisti, questi traditori controrivoluzionari hanno distrutto gli Stati socialisti;
spacciandosi per costruttori del socialismo hanno sfruttato e inferto sofferenze ai popoli
dei loro paesi, hanno oppresso e soggiogato i popoli di altre nazioni; nel nome del
socialismo hanno perpetrato i crimini più infami ledendo così l'immagine e la
credibilità del socialismo stesso.
LA LOTTA PER IL SOCIALISMO IN ITALIA VIVE NEL PMLI
Nonostante tutto questo la classe operaia, il proletariato e i rivoluzionari di tutto il
mondo sanno bene che il loro avvenire è solo nel socialismo. L'azione dei
marxisti-leninisti e degli autentici rivoluzionari nei vari paesi, se saprà ispirarsi e
rimanere saldamente ancorata al marxismo-leninismo-pensiero di Mao e all'esperienza e agli
insegnamenti di Marx, Engels, Lenin, Stalin e Mao, saprà presto riportare in auge il
socialismo.
In Italia è il PMLI a tenere alta e bene in vista la bandiera rossa del socialismo. Il IV
Congresso nazionale del Partito lo ha evidenziato in maniera estremamente chiara e
inequivocabile.
Il PMLI è impegnato sul piano sociale e politico non solo a difendere gli interessi della
classe operaia e delle masse popolari, a migliorarne le condizioni materiali e di vita, ma
a legare questi aspetti al pieno sviluppo della lotta di classe e della coscienza sulla
necessità della conquista del socialismo. Ne è una prova il Nuovo Programma d'azione
approvato dal Comitato centrale del Partito il 17 febbraio 2001.
Il PMLI è impegnato a difendere sul piano teorico e pratico l'integrità ideologica del
socialismo dagli attacchi e dai tentativi di snaturamento messi in atto, oggi come nel
passato, da vecchi e nuovi revisionisti, da falsi comunisti e trotzkisti come Bertinotti e
Cossutta, da rinnegati del comunismo come D'Alema e Veltroni; è impegnato a difendere la
validità e la necessità storica della sua realizzazione dalla mistificazione della
borghesia che vorrebbe il socialismo morto e sepolto o, peggio, frutto e espressione di
gruppi sociali e di azioni di tipo spontaneistico e avventuristico che mai sono
appartenute al marxismo-leninismo-pensiero di Mao, ma, al contrario, appartengono da
sempre al bagaglio ideologico anticomunista e da sempre vengono utilizzate dalle forze
dominanti borghesi e reazionarie contro le masse popolari, contro la classe operaia,
contro i marxisti-leninisti e gli autentici rivoluzionari.
"L'abbattimento dei primi paesi socialisti - ha affermato il compagno Giovanni
Scuderi nel suo Rapporto al IV Congresso - non significa che il capitalismo sia stato
riconosciuto come la società dei lavoratori, che siano scomparse come per incanto le
contraddizioni tra il proletariato e la borghesia e che la lotta per il socialismo sia
terminata definitivamente. Quantunque il proletariato sia stato sospinto dai falsi
comunisti e dai rinnegati riciclati come socialisti verso strade errate alla fine esso
ritroverà quella del socialismo. Capirà nella pratica che il socialismo e il comunismo
non sono rifondabili perché è impossibile. Essi sono quelli che sono: prendere o
lasciare. I loro principi sono quelli stabiliti dai maestri, la cui giustezza è stata
comprovata dalla pratica, e si possono solo applicare dialetticamente secondo le
condizioni specifiche dei vari paesi e della situazione internazionale. Chi li vuole
rifondare è semplicemente un imbroglione che rimastica e rivomita vecchie teorie
trotzkiste socialdemocratiche e riformiste (...) Dal marxismo-leninismo-pensiero di Mao e
dalla storia - continua ancora Scuderi - noi abbiamo appreso che il socialismo non si
conquista pacificamente, legalmente e per via parlamentare ma attraverso la rivoluzione
proletaria. Questa rivoluzione non è né un colpo di Stato, né una serie di atti
terroristici di piccoli gruppi, ma nemmeno del solo Partito marxista-leninista o di questo
Partito alla testa di masse incoscienti. La rivoluzione proletaria è un'insurrezione di
massa guidata dal proletariato con alla testa il suo Partito. Poiché si tratta di
cambiare radicalmente e totalmente la società sarebbe assurdo e pazzesco lanciare la
rivoluzione proletaria senza che il proletariato e i suoi alleati sociali e politici siano
stati completamente coinvolti e resi coscienti dei compiti che li aspettano sia nel corso
dell'insurrezione che nel socialismo. La rivoluzione proletaria non è quindi un atto
spontaneo e avventuristico di un piccolo gruppo o di una minoranza di proletari, ma
un'azione cosciente, scientificamente preparata e che scoppia nel momento in cui si hanno
la forza e la coscienza di massa adeguate, la congiuntura nazionale e internazionale è
favorevole si è sicuri della vittoria''.
Il PMLI è impegnato a svilupparsi come Partito concretamente e totalmente legato alla
classe operaia e alle masse popolari e da esse riconosciuto come il Partito d'avanguardia
del proletariato italiano.
"Noi - sottolinea ancora Scuderi nel Rapporto - dobbiamo costruire un grande, forte e
anche radicato Partito. Sul piano politico - organizzativo, il radicamento è attualmente
la questione principale che dobbiamo risolvere (...) Radicarsi significa essere una sola
cosa con le masse, capirne i bisogni e interpretarne la volontà, difenderne gli
interessi, ottenerne la fiducia e diventarne la guida''.
Il PMLI è impegnato a fondo e con tutte le sue forze nel compito, tanto gravoso quanto
importante e necessario, di sviluppare e fare avanzare la lotta per il socialismo ed è
consapevole e fiero di questo suo ruolo.
"Fra appena due anni - affermava Scuderi terminando il Rapporto - si conclude il XX
secolo che ha visto la classe operaia conquistare il potere politico in un quarto del
globo. Un secolo che è stato marcato profondamente e indelebilmente dall'opera di Lenin,
Stalin e Mao grandi condottieri, educatori e maestri del proletariato internazionale. Un
secolo in cui i popoli con alla testa i Partiti marxisti-leninisti hanno riportato grandi
vittorie sull'imperialismo, il capitalismo, il colonialismo, il fascismo, il razzismo e
l'apartheid. Che sarà nel prossimo secolo? Saranno ancora il proletariato e i popoli a
marcarlo con le loro lotte e le loro conquiste. I marxisti-leninisti italiani faranno
sicuramente la loro parte affinché nel XXI secolo trionfino la rivoluzione e il
socialismo''.
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