Nuova trappola politica organizzativa
L'imbroglione revisionista Diliberto ora si propone di fondare un "nuovo partito comunista"
L'ex "Lotta continua" Rizzo incalza da sinistra il segretario del pdci. Lo spettro del PMLI
L'appello ingannevole dei "comunisti uniti"

"Un nuovo inizio": è lo speranzoso titolo che il segretario Oliviero Diliberto ha dato alla sua relazione alla direzione del PdCI, riunita il 18 aprile scorso per discutere il disastroso risultato elettorale. Un "nuovo inizio" ma anche "una lunghissima traversata nel deserto. Una difficilissima traversata nel deserto", come ha però dovuto ammettere prendendo atto che il suo partito, come tutta la "sinistra radicale", si trova a fare i conti con una crisi imprevista e di proporzioni catastrofiche, dalla quale non è scontato che riesca a risollevarsi.
Se non altro Diliberto ha avuto l'onestà di riconoscere che la sconfitta è dovuta solo in parte al cosiddetto "voto utile" a favore del PD ma - come ha ammesso - è dovuta in primo luogo "all'astensione di sinistra: la delusione della pratica del governo Prodi, due anni di aspettative eluse che hanno portato ceti popolari e lavoratori a non andare a votare". Peccato però che non si sia autocriticato con altrettanta onestà per essere stato, nella "sinistra radicale", tra i più accaniti e servili difensori del dittatore democristiano Prodi, e sempre - come la "benemerita" - "uso ad obbedir tacendo" e pronto a sparare a zero su chiunque mettesse in pericolo la sopravvivenza del governo.
Un altro motivo della sconfitta, oltre al voto di protesta intercettato da Di Pietro, Diliberto l'ha attribuito all'aver voluto "pervicacemente e scelleratamente togliere il simbolo più forte, più riconoscibile, più tradizionale, cioè la falce e il martello" dalla Sinistra arcobaleno, cosa a cui lui si sarebbe opposto "disperatamente". Un argomento che ha cavalcato immediatamente dopo la legnata del 14 aprile e che continua ad agitare ad ogni pie' sospinto come una Cassandra inascoltata, dimenticando però che poche settimane prima, alla presentazione del simbolo arcobaleno senza la falce e martello aveva dichiarato testualmente di accettare tale decisione perché "ci presenteremo anche con un carciofo se serve per portare i comunisti in parlamento. Ora lavoriamo per l'unità della sinistra in una campagna elettorale dove non un voto va sprecato". Si tratta quindi di un argomento del tutto strumentale per cercare di salvare la faccia a posteriori, tanto che subito dopo l'imbroglione revisionista è costretto ad ammettere che se il PdCI si fosse anche presentato da solo col suo simbolo avrebbe avuto probabilmente "un consenso del tutto residuale come è capitato allo Sdi, cioè sotto all'uno per cento". Insomma non è questione di simboli, ma di sostanza: non basta una falce e martello nel simbolo per essere riconosciuti come veri comunisti, specialmente dopo aver retto il sacco per due anni al governo liberista, antipopolare e guerrafondaio Prodi.

Il "nuovo inizio" revisionista di Diliberto
Diliberto si è ben guardato dall'ammettere e affrontare queste stridenti contraddizioni, saltando invece subito al discorso sul "che fare" per uscire dalla crisi. "L'Arcobaleno è finito, è del tutto evidente", ha osservato mestamente. I Verdi "veleggiano verso il PD", la Sinistra democratica "si è liquefatta" e Rifondazione "è nella estrema difficoltà e lacerazione che tutti quanti stiamo vedendo". E qui si è aggrappato, come un naufrago a una ciambella di salvataggio, all'appello che dopo il crollo elettorale della Sinistra arcobaleno una serie di intellettuali ed esponenti di movimenti, sotto la denominazione di "Comunisti uniti", hanno lanciato "ai militanti e ai dirigenti del PdCI e del PRC e a tutte le comuniste/i ovunque collocati in Italia" per la ricostruzione di una "casa comune dei comunisti".
Questo appello, ha detto il segretario del PdCI, "chiede innanzi tutto l'unità fra i due partiti comunisti, ossia fra le due cose che ci sono. Quello che è rimasto in campo dopo lo tsunami. Noi e loro, e tutto l'arcipelago variegato di compagni e compagne che magari hanno lasciato il PdCI e Rifondazione o che non ci sono mai stati e che comunque si riconoscono in un progetto di trasformazione della società in senso socialista. In parole semplici, si chiede l'unità di quello che è rimasto della sinistra. Bene, a questo nuovo inizio, e cioè concorrere, mettere a disposizione il PdCI, per un progetto più grande di costruzione di un Partito comunista in Italia, a questo appello noi, la segreteria del Partito ha risposto di sì. Ora attenderemo la risposta di Rifondazione comunista".
Ecco il coniglio che Diliberto ha tirato fuori dal cappello per il "nuovo inizio" della "sinistra radicale" semi distrutta e che ha proposto come tema centrale di un congresso da tenersi entro l'estate in parallelo con quello di Rifondazione: un "nuovo partito comunista" da mettere insieme riunendo il PdCI a qualche pezzo di Rifondazione (la corrente L'Ernesto dei revisionisti Giannini e Pegolo, per esempio, e "chi ci sta ci sta" tra quelli che rifiutano di seguire fino in fondo il progetto di Sinistra arcobaleno sotto la guida di Vendola), i firmatari dell'appello dei "comunisti uniti" e tutti coloro che "fuori dai due partiti esistenti ancora si sentono comunisti". Per fare cosa? In sostanza per costruire, coi rottami del PdCI revisionista e di Rifondazione trotzkista, una nuova trappola politica e organizzativa per cercare di recuperare le forze sane che ci sono nella base dei due partiti e che hanno cominciato con l'astensionismo a liberarsi dalle illusioni parlamentari, governative, riformiste e pacifiste. Per poi tentare di ricostituirsi una base elettorale per rientrare in parlamento, sia pure dalla porta di servizio, restare aggrappati alle poltrone che ancora dividono con il PD nelle giunte regionali e locali e magari riguadagnare qualche punto e qualche poltrona già a partire dalle prossime elezioni europee.

Non socialismo, ma "superamento del capitalismo"
Non a caso Diliberto si guarda bene dal porre il problema del socialismo e della dittatura del proletariato, che è la vera questione dirimente per chi si proclama comunista, ma accenna solo vagamente a una "trasformazione della società in senso socialista". Anzi parla addirittura di "provare a ritornare al '96", cioè a quando lui, Cossutta e Bertinotti stavano tutti nel PRC e nell'alleanza di "centro-sinistra" che portò al primo governo del democristiano Prodi, come se quella fosse stata una stagione d'oro per il proletariato e le masse popolari, il massimo degli obiettivi a cui tendere.
Questa linea è stata riproposta al Comitato centrale nella riunione del 10, 11 maggio, in cui è apparso per la prima volta lo spettro del PMLI. Ne ha parlato Diliberto nelle conclusioni per difendersi dalle accuse della "sinistra" interna del PdCI. Egli ha detto: "Se voi andate a guardare i siti del Partito marxista-leninista italiano, vedrete che a loro volta attaccano Ferrando e Turigliatto, dicendo che loro sono gli unici veri comunisti, sono presenti solo a Ischia ma pretendono di essere gli unici interpreti del verbo comunista".
Di "superamento di questo modello di società" parla anche l'ex "Lotta continua" Marco Rizzo, unico rappresentante istituzionale rimasto del PdCI in qualità di parlamentare europeo, che pure incalza da sinistra Diliberto, e che degli attuali dirigenti di Rifondazione e del suo stesso partito dice (intervista a Il Giornale del 28 aprile) che "sono dei trasformisti nel migliore dei casi, feroci anticomunisti nel peggiore"; a partire da Bertinotti che "ha abiurato buttando il bimbo con l'acqua sporca". Ma poi, se da una parte alla proposta del suo segretario di "ripartire dalla falce e martello" replica che Diliberto "propone oggi quello che io ho detto sempre. Senza comunismo la sinistra non esiste", dall'altra afferma che il comunismo serve "a mantenere aperto un orizzonte di utopia". Cosa che non suona poi molto diversa dal "comunismo come tendenza culturale" dell'imbroglione trotzkista Bertinotti. Se poi a Rizzo si chiede, come fa l'intervistatore de Il Giornale, quale sia la sua idea di socialismo da realizzare in Italia, ecco la sua stupefacente risposta: "Cuba, per la passione che c'è laggiù. Ma solo per la passione. Se mi chiedi se si sta meglio a Cuba o in Italia, dico in Italia. Sono comunista, mica scemo".
Anche l'appello ingannevole dei "Comunisti uniti" non va oltre l'orizzonte revisionista, trotzkista e riformista a cui si aggrappano tanto tenacemente Diliberto e Rizzo, laddove parla di ricostruire "un partito comunista forte e unitario, all'altezza dei tempi", ma senza indicare per quale società e con quale strategia di lotta, salvo un generico accenno a una "società alternativa al capitalismo" (che richiama l'"altro mondo possibile" del movimento no global) e l'incitamento a "vivere e radicarsi nella società prima ancora che nelle istituzioni".
Anche il fatto che tra i firmatari dell'appello figurino elementi come Manlio Dinucci, Domenico Losurdo e Mario Geymonat, già dirigenti del PCd'I (m-l) revisionista e poi confluito nel PRC trotzkista, rompendo col quale è nato il nostro Partito, la dice lunga su quale sia il vero obiettivo che sta dietro l'operazione del "nuovo partito comunista": impedire che i fautori del socialismo, che già hanno fatto il primo passo di negare la fiducia ai dirigenti borghesi, opportunisti e imbroglioni del PRC e del PdCI e abbandonare le illusioni elettorali, parlamentari, governative, pacifiste e riformiste, facciano ora quello successivo di rivolgere il loro sguardo all'unico vero Partito del proletariato e del socialismo, il PMLI. Il solo che è rimasto sempre fedele alla falce e martello. Non a parole, come fanno gli imbroglioni Diliberto e Rizzo che usano questo simbolo solo per coprire la loro sostanziale accettazione del capitalismo, ma nei fatti, mettendo la rivoluzione socialista e la dittatura del proletariato al centro del suo programma politico.

21 maggio 2008