Un'opera fondamentale per trasformare il mondo e se stessi Il Manifesto di Marx ed Engels, grande faro per i fautori del socialismo di tutto il mondo
Karl Marx - Friedrich Engels
MANIFESTO DEL PARTITO COMUNISTA

Prefazione all'edizione tedesca del 1872
La "Lega dei Comunisti'', associazione internazionale degli operai, che nelle condizioni d'allora non poteva naturalmente essere che segreta, nel Congresso tenutosi a Londra nel novembre 1847 incaricò i sottoscritti di redigere un programma pratico e teorico circostanziato del partito, destinato alla pubblicità. Così nacque il seguente "Manifesto'', il cui manoscritto fu inviato a Londra per la stampa poche settimane prima della rivoluzione di febbraio1. Pubblicato dapprima in tedesco, esso ebbe in questa lingua almeno dodici diverse ristampe, in Germania, in Inghilterra e in America. In inglese vide la luce, per la prima volta, nel 1850 a Londra nel "Red Republican'', tradotto da Miss Helen Macfarlane, e nel 1871 in almeno tre diverse traduzioni in America2. In francese uscì dapprima a Parigi, poco prima dell'insurrezione del giugno del 1848, e recentemente in "Le Socialiste'' di New York. Una nuova versione è ora in preparazione. In polacco, a Londra poco dopo la prima edizione tedesca. In russo, a Ginevra tra il 1860 e il 1870. La versione danese vide la luce essa pure immediatamente dopo la prima pubblicazione del "Manifesto''.
Per quanto sia mutata la situazione negli ultimi 25 anni, i princìpi generali svolti in questo "Manifesto'' sono ancora oggi, in complesso, del tutto giusti. Qualche cosa sarebbe qua e là da ritoccare. L'applicazione pratica di questi princìpi, come spiega lo stesso "Manifesto'', dipenderà in ogni luogo e in ogni tempo dalle circostanze storiche del momento, e perciò non si deve dare troppo peso alle misure rivoluzionarie proposte alla fine del capitolo II. Oggi questo passo sarebbe, sotto molti rapporti, altrimenti redatto. Di fronte all'immenso sviluppo della grande industria negli ultimi 25 anni e al progrediente sviluppo della organizzazione di partito della classe operaia, che l'accompagna; di fronte alle esperienze pratiche, prima, della rivoluzione di febbraio e poi, a maggior ragione, della Comune di Parigi, nella quale, per la prima volta, il proletariato tenne per due mesi il potere politico, questo programma è oggi qua e là invecchiato. La Comune, specialmente, ha fornito la prova che "la classe operaia non può impossessarsi puramente e semplicemente di una macchina statale già pronta e metterla in moto per i suoi propri fini''. (Si veda "La guerra civile in Francia. Indirizzo del Consiglio generale dell'Associazione internazionale degli Operai'', edizione tedesca, pagina 19, dove questo concetto è svolto più diffusamente). È poi naturale che la critica della letteratura socialista sia, pei nostri giorni, incompleta, giungendo essa soltanto fino al 1847; lo stesso dicasi delle osservazioni circa la posizione dei comunisti rispetto ai diversi partiti d'opposizione (capitolo IV), le quali, se pur sono giuste ancor oggi nei princìpi generali, sono tuttavia invecchiate nei particolari, perché la situazione politica si è completamente trasformata e l'evoluzione storica ha fatto sparire la maggior parte dei partiti ivi enumerati.
Il "Manifesto'', però, è un documento storico, al quale non ci sentiamo più in diritto di fare modificazioni. Forse in una successiva edizione si potrà aggiungere un'introduzione, che getti un ponte fra il 1847 e oggi; ma oggi questa ristampa ci è giunta troppo inaspettata per lasciarcene il tempo.
Karl Marx, Friedrich Engels
Londra, 24 giugno 1872

Prefazione all'edizione russa del 1882
La prima edizione russa del "Manifesto del Partito comunista'', tradotto da Bakunin3, uscì poco dopo il 1860 dalla tipografia del "Kolokol''.4 In quell'epoca un'edizione russa del "Manifesto'' aveva per l'Occidente tutt'al più l'importanza di una curiosità letteraria. Oggi non più.
Quanto fosse angusta in quel tempo (dicembre 1847) la cerchia di diffusione del movimento proletario, lo mostra nel modo più chiaro l'ultimo capitolo del "Manifesto'': - Posizione dei comunisti rispetto ai diversi partiti di opposizione nei diversi paesi. La Russia e gli Stati Uniti non vi sono nemmeno menzionati. Erano i tempi in cui la Russia costituiva l'ultima grande riserva di tutta la reazione europea e l'emigrazione negli Stati Uniti assorbiva le forze esuberanti del proletariato europeo. Entrambi quei paesi rifornivano l'Europa di materie prime e le servivano al tempo stesso di mercato per i suoi prodotti industriali. Così entrambi, in un modo o nell'altro, erano dei bastioni dell'ordine sociale esistente in Europa.
Come tutto ciò è oggi mutato! Precisamente l'immigrazione europea ha reso possibile il colossale sviluppo dell'agricoltura nord-americana, che con la sua concorrenza scuote le basi della grande come della piccola proprietà terriera in Europa. Essa ha dato inoltre agli Stati Uniti la possibilità di intraprendere lo sfruttamento delle sue ricche risorse industriali, e con tale energia e in così vasta misura che in breve tempo porrà fine al monopolio industriale dell'Europa occidentale e particolarmente dell'Inghilterra. Queste due circostanze agiscono poi a loro volta sull'America stessa in senso rivoluzionario. La piccola e media proprietà fondiaria dei proprietari di fattorie, che è la base di tutto l'ordinamento politico americano, soccombe sempre più alla concorrenza delle fattorie gigantesche, mentre nei distretti industriali si forma, per la prima volta, un proletariato numeroso accanto a una favolosa concentrazione dei capitali.
Passiamo alla Russia. All'epoca della rivoluzione del 1848-49, non solo i monarchi, ma anche i borghesi europei vedevano nell'intervento russo l'unica salvezza contro il proletariato, che proprio allora incominciava a risvegliarsi. Essi proclamarono lo zar capo della reazione europea. Oggi egli se ne sta nella sua Gcina5, prigioniero di guerra della rivoluzione, e la Russia forma l'avanguardia del movimento rivoluzionario in Europa.
Il compito del "Manifesto del partito comunista'' fu la proclamazione dell'inevitabile e imminente crollo dell'odierna proprietà borghese. Ma in Russia accanto all'ordinamento capitalistico, che febbrilmente si va sviluppando, e accanto alla proprietà fondiaria borghese, che si sta formando solo ora, noi troviamo oltre la metà del suolo in proprietà comune dei contadini. Si affaccia quindi il problema: la comunità rurale russa, questa forma in gran parte già dissolta, è vero, della originaria proprietà comune della terra, potrà passare direttamente a una più alta forma comunistica di proprietà terriera, o dovrà attraversare prima lo stesso processo di dissoluzione che ha attraversato nella evoluzione storica dell'Occidente?
La sola risposta oggi possibile è questa: se la rivoluzione russa servirà di segnale a una rivoluzione operaia in Occidente, in modo che entrambe si completino, allora l'odierna proprietà comune rurale russa potrà servire di punto di partenza per una evoluzione comunista.
Karl Marx, Friedrich Engels
Londra, 21 gennaio 1882

Prefazione all'edizione tedesca del 1883
Purtroppo la prefazione alla presente edizione debbo firmarla io solo. Marx, l'uomo a cui tutta la classe operaia d'Europa e d'America deve più che ad alcun altro, riposa nel cimitero di Highgate, e sulla sua tomba già cresce la prima erba6. Dopo la sua morte meno che mai si può parlare di ritocchi o di aggiunte al "Manifesto''. Tanto più credo necessario riaffermare qui ancora una volta esplicitamente quanto segue.
Il pensiero fondamentale, cui si informa il "Manifesto'', - che la produzione economica e la struttura sociale che necessariamente ne consegue formano, in qualunque epoca storica, la base della storia politica e intellettuale dell'epoca stessa; che, conforme a ciò, dopo il dissolversi della primitiva proprietà comune del suolo, tutta la storia è stata una storia di lotte di classi, di lotte tra classi sfruttate e classi sfruttatrici, tra classi dominate e classi dominanti, nelle varie tappe dello sviluppo sociale; che questa lotta ha ora raggiunto un grado in cui la classe sfruttata e oppressa (il proletariato) non può più liberarsi dalla classe che la sfrutta e la opprime (la borghesia), senza liberare anche ad un tempo, e per sempre, tutta la società dallo sfruttamento, dall'oppressione e dalla lotta fra le classi - questo pensiero fondamentale appartiene a Marx unicamente ed esclusivamente*. [* "A questa concezione'', così io scrissi nella prefazione alla traduzione inglese, "che, secondo me, è destinata a produrre nella scienza storica un progresso uguale a quello che ha prodotto la teoria di Darwin nelle scienze naturali, entrambi ci eravamo già accostati a poco a poco vari anni prima del 1845. Fino a qual punto io fossi avanzato in modo indipendente in questa direzione, appare dal mio libro sulla "Situazione della classe operaia in Inghilterra''. Ma quando, nella primavera del 1845, rividi Marx a Bruxelles, egli aveva già elaborato fino in fondo tale concezione, sicché me la espresse in parole quasi altrettanto chiare, quanto quelle in cui l'ho riassunta qui sopra''. Nota di Engels all'edizione tedesca del 1890.]
Tutto ciò dissi già molte volte; ma proprio ora è necessario premetterlo al "Manifesto'' stesso.
Friedrich Engels
Londra, 28 giugno 1883

Prefazione all'edizione inglese del 1888
Il "Manifesto'' è stato pubblicato quale piattaforma della Lega dei comunisti, associazione di lavoratori inizialmente solo tedesca, in seguito internazionale e, nelle condizioni politiche del continente prima del 1848, inevitabilmente società segreta. Al congresso della Lega, tenutosi a Londra nel novembre 1847, Marx ed Engels, furono incaricati di predisporre la preparazione di un programma teorico e pratico completo del partito. Scritto in tedesco nel gennaio 1848, il manoscritto fu inviato allo stampatore a Londra alcune settimane prima della rivoluzione francese del 24 febbraio. Una traduzione francese apparve a Parigi poco prima dell'insurrezione del giugno del 1848. La prima traduzione inglese di Miss Helen Macfarlane è apparsa a Londra nel 1850 nel "Red Republican'' di George Julian Harney. Sono state anche pubblicate un'edizione danese e una polacca.
La sconfitta dell'insurrezione parigina del 1848 - prima grande battaglia fra il proletariato e la borghesia - ha respinto temporaneamente le aspirazioni politiche e sociali della classe operaia europea. Dopo d'allora, la lotta per la supremazia si è sviluppata di nuovo, come prima della rivoluzione di febbraio, soltanto fra diversi strati della classe possidente; la classe operaia venne costretta a lottare per aver libertà d'azione e a porsi all'ala sinistra della borghesia radicale. In tutti quei luoghi dove movimenti proletari indipendenti continuavano a dare segni di vita, essi furono abbattuti senza pietà. Fu così che la polizia prussiana scoprì il comitato centrale della Lega dei comunisti, allora con sede a Colonia. I suoi componenti furono arrestati e, dopo diciotto mesi di prigione, vennero giudicati nell'ottobre 1852. Questo famoso "processo dei comunisti a Colonia'' durò dal 4 ottobre al 12 novembre; sette accusati vennero condannati al carcere, con pene da tre mesi a sei anni. Subito dopo il giudizio, la Lega fu sciolta formalmente dai membri restanti. Per ciò che riguarda il "Manifesto'', sembrava condannato all'oblìo.
Quando la classe operaia europea ebbe recuperato forze sufficienti per un nuovo attacco contro le classi dirigenti, nacque l'Associazione internazionale degli operai. Ma questa Associazione, costituita con lo scopo preciso di rassodare in un corpo solo tutto il proletariato militante d'Europa e d'America, non poteva proclamare fin dall'inizio i princìpi contenuti nel "Manifesto''. L'Internazionale doveva avere un programma molto largo, tale da essere accolto dalle trade-unions inglesi, dai seguaci di Proudhon7 in Francia, in Belgio, in Italia e in Spagna, e dai lassalliani* [*Lassalle, personalmente, di fronte a noi si professò sempre allievo di Marx e come tale stava quindi sul terreno del "Manifesto''. Ma nella sua agitazione pubblica degli anni 1862-64 non andò oltre le rivendicazioni delle cooperative di produzione con credito statale. Nota di Engels.] in Germania. Marx, che redasse tale programma soddisfacendo tutti i partiti, aveva la piena fiducia nello sviluppo intellettuale della classe operaia, che non poteva non venir prodotto dall'azione unita e dalla discussione comune. Gli episodi e le stesse vicissitudini della lotta contro il capitale, le sconfitte più ancora che le vittorie dovevano inevitabilmente condurre gli uomini alla coscienza dell'insufficienza dei loro toccasana favoriti e aprir la via a una comprensione delle reali condizioni dell'emancipazione della classe operaia. E Marx ebbe ragione. Sciogliendosi nel 1874, l'Internazionale lasciava i lavoratori in una situazione affatto diversa rispetto a quella nella quale li aveva trovati nel 1864. Il proudhonismo in Francia e il lassallismo in Germania erano in declino, e le stesse trade-unions conservatrici inglesi, sebbene la maggior parte di esse avesse da parecchio tempo rotto con l'Internazionale, si avvicinavano a poco a poco al punto in cui, l'anno scorso a Swansea, il loro presidente poteva affermare in loro nome: "Il socialismo continentale ha cessato per noi di essere uno spauracchio''. In effetti, i princìpi del "Manifesto'' avevano compiuto dei progressi considerevoli fra i lavoratori di tutti i paesi.
In questo modo, il "Manifesto'' stesso tornò in primo piano. Il testo tedesco, dopo il 1850, era stato ristampato più volte in Svizzera, in Inghilterra e in America. Nel 1872 venne tradotto in inglese a New York e pubblicato in "Woodhull and Claflin's Weekly''. Sulla base di questa edizione inglese, se ne fece una francese su "Le Socialiste'' di New York. In seguito, sono apparse in America almeno due nuove traduzioni inglesi più o meno mutilate, una delle quali è stata ripresa in Inghilterra. La prima traduzione russa, curata da Bakunin, è stata pubblicata nella tipografia del "Kolokol'' di Herzen a Ginevra, verso il 18638; una seconda, curata dall'eroica Vera Zasulc9, è apparsa nel 1882 sempre a Ginevra. Si può trovare una nuova edizione in danese nella "Social-Demokratisk Bibliotek'' di Copenhagen, 1885; una nuova traduzione francese in "Le Socialiste'', Parigi, 188510. Sulla base di questa, è stata preparata e pubblicata a Madrid nel 1886 una versione spagnola. Se si conta il numero delle ristampe in tedesco, se ne hanno almeno dodici in tutto. Una traduzione in armeno, che stava per essere pubblicata qualche mese fa a Costantinopoli, non ha visto il giorno, mi è stato riferito, perché l'editore ha avuto paura di pubblicare un libro col nome di Marx, mentre il traduttore ha rifiutato di assumersene la paternità. Ho sentito parlare di altre traduzioni in altre lingue, ma non le ho viste. Così, la storia del "Manifesto'' riflette in larga misura quella del movimento operaio moderno: nel momento attuale è senza alcun dubbio l'opera più diffusa e più internazionale di tutta la letteratura socialista, la piattaforma comune riconosciuta da milioni di lavoratori dalla Siberia alla California.
Tuttavia, quando fu scritto, non avremmo potuto intitolarlo manifesto socialista. Nel 1847 si indicavano, quali socialisti, da una parte i seguaci di diversi sistemi utopici: discepoli di Owen11 in Inghilterra, di Fourier12 in Francia, gli uni e gli altri già ridotti allo stato di semplici sette in via di graduale estinzione; da un'altra parte, le ciarlatanerie sociali più diverse, che, appoggiandosi a espedienti di ogni tipo, senza danno alcuno per il capitale e per il profitto, pretendevano di rimediare alle ingiustizie sociali di ogni sorta: in entrambi i casi, si trattava di uomini al di fuori del movimento operaio e ricercanti piuttosto l'appoggio delle classi "colte''. Ogni frazione della classe operaia, che s'era convinta dell'insufficienza di rivoluzioni soltanto politiche e aveva proclamato la necessità di una trasformazione generale della società, si diceva comunista. Era un tipo di comunismo grossolano, appena abbozzato, puramente istintivo; mirava tuttavia all'essenziale, ed ebbe forza sufficiente fra la classe operaia per dar vita al comunismo utopistico, in Francia quello di Cabet13, in Germania quello di Weitling14. Così, nel 1847, il socialismo era un movimento della middle class15, il comunismo un movimento della classe operaia. Il socialismo, almeno sul continente, era "presentabile''; col comunismo si aveva proprio l'opposto. E, poiché fin dall'inizio noi pensavamo che "l'emancipazione della classe operaia dev'essere l'opera della classe operaia stessa'', non potevano sorger dubbi su quale fra questi due nomi dovevamo scegliere. E ancora, dopo d'allora, non abbiamo mai avuto intenzione di ripudiarlo.
Pur essendo il "Manifesto'' nostra opera comune, è tuttavia mio dovere dichiarare che l'idea fondamentale, che ne costituisce il nucleo, è di Marx. Eccola: in ogni epoca storica, il modo economico di produzione e di scambio dominante e la struttura sociale che ne è la conseguenza necessaria, formano la base sulla quale si edifica, e dalla quale soltanto può essere spiegata, la storia politica e intellettuale di tale epoca; di conseguenza (dopo la dissoluzione della società tribale primitiva, nella quale il possesso della terra era comune), tutta la storia dell'umanità è stata una storia di lotte di classi, lotte fra classi sfruttatrici e classi sfruttate, fra classi dirigenti e classi oppresse; la storia di questi conflitti di classe costituisce uno sviluppo nel quale si è raggiunto oggi uno stadio in cui la classe sfruttata e oppressa - il proletariato - non può liberarsi dal giogo della classe sfruttatrice e dominante - la borghesia - senza emancipare una volta per tutte la società nel suo insieme da ogni sfruttamento, da ogni oppressione, da tutte le differenze di classe e da tutte le lotte di classe.
A questa idea che, secondo me, è destinata a produrre nella scienza storica un progresso uguale a quello che ha prodotto la teoria di Darwin16 nelle scienze naturali, entrambi ci eravamo già accostati a poco a poco vari anni prima del 1845. Fino a qual punto io fossi avanzato in modo indipendente, in questa direzione, appare dal mio libro sulla "Situazione della classe operaia in Inghilterra''* [*"The Condition of the Working Class in England in 1844''. By Frederick Engels. Translated by Florence K. Wischnewetzky, New York, Lovell - London, W. Reeves, 1888. Nota di Engels.]. Ma quando, nella primavera del 1845, rividi Marx a Bruxelles, egli aveva già elaborato fino in fondo tale concezione, sicché me la espresse in parole quasi altrettanto chiare, quanto quelle in cui l'ho riassunta qui sopra.
Dalla nostra prefazione comune all'edizione tedesca del 1872, citerò quanto segue:
"Per quanto sia mutata la situazione negli ultimi venticinque anni, i princìpi generali svolti in questo 'Manifesto' sono ancora oggi, in complesso, del tutto giusti. Qualche cosa sarebbe qua e là da ritoccare. L'applicazione pratica di questi princìpi, come spiega lo stesso 'Manifesto', dipenderà in ogni luogo e in ogni tempo dalle circostanze storiche del momento, e perciò non si dà nessuna particolare importanza alle misure rivoluzionarie proposte alla fine del capitolo II. Oggi questo passo sarebbe, sotto molti rapporti, altrimenti redatto. Di fronte all'immenso sviluppo della grande industria negli ultimi venticinque anni e al progrediente sviluppo dell'organizzazione di partito della classe operaia, che l'accompagna; di fronte alle esperienze pratiche, prima della rivoluzione di febbraio e poi, a maggior ragione, della Comune di Parigi, nella quale, per la prima volta, il proletariato tenne per due mesi il potere politico, questo programma è oggi qua e là invecchiato. La Comune, specialmente, ha fornito la prova che 'la classe operaia non può impossessarsi puramente e semplicemente di una macchina statale già pronta e metterla in moto per i suoi propri fini' (si veda 'The Civil War in France. Address of the General Council of the International Working Men's Association', Londra, Truelove, 1871, p. 15, dove questo concetto è svolto più diffusamente)17. È poi naturale che la critica della letteratura socialista sia, per i nostri giorni, incompleta, giungendo essa soltanto fino al 1847; lo stesso dicasi delle osservazioni circa la posizione dei comunisti rispetto ai diversi partiti di opposizione (capitolo IV), le quali, se pur sono giuste ancor oggi nei princìpi generali, sono tuttavia invecchiate nei particolari, perché la situazione politica si è completamente trasformata e l'evoluzione storica ha fatto sparire la maggior parte dei partiti ivi enumerati. Il 'Manifesto' però, è un documento storico, al quale non ci sentiamo più il diritto di fare modificazioni''.
La traduzione presente è opera del sig. Samuel Moore, il traduttore della maggior parte del "Capitale'' di Marx. L'abbiamo rivista insieme, ed io ho aggiunto alcune note a spiegazione di allusioni storiche.
Friedrich Engels
Londra, 30 gennaio 1888

Prefazione all'edizione tedesca del 1890
Dal tempo in cui fu scritta la prefazione che qui precede18 è ridiventata necessaria una nuova edizione tedesca del "Manifesto'', e questo ha vissuto svariate vicende, che devono venir ora ricordate.
Nel 1882 appariva a Ginevra una seconda traduzione russa - di Vera Zasulc19. Marx e io ne compilammo la prefazione. Ho perduto purtroppo il manoscritto originale tedesco, e devo quindi ritradurre dal russo, del che il lavoro non trae certo vantaggio. Detta prefazione suona20[...].
Negli stessi anni usciva a Ginevra una nuova traduzione polacca: "Manifest kommunistyczny''.
Ancora, è apparsa una nuova traduzione danese nella "Socialdemokratisk Bibliotek, Copenhagen, 1885''. Purtroppo, non è molto completa: sono stati omessi alcuni passi essenziali, che sembrano aver sollevato difficoltà per il traduttore, e anche per il resto si rilevano in vari punti tracce di frettolosità, che colpiscono in modo tanto più spiacevole, quanto più si vede che il traduttore avrebbe potuto elaborare un lavoro eccellente, usando maggior accuratezza.
Nel 188521 si è avuta una nuova traduzione francese nel parigino "Le socialiste'', è la migliore di quelle edite finora.
In seguito, nel medesimo anno, venne pubblicata una traduzione spagnola, dapprima nel madrileno "El socialista'' e poi in opuscolo: "Manifiesto del partido comunista'', por Carlo Marx y F. Engels, Madrid, Administración de "El Socialista'', Hernan Cortés 8.
A titolo di curiosità, ricordo ancora che nel 1887 venne offerto a un editore di Costantinopoli il manoscritto di una traduzione armena; ma il brav'uomo non ebbe però l'ardire di stampare qualcosa sul quale fosse il nome di Marx, e pensò che il traduttore dovesse invece assumerne la paternità: ma questi si oppose.
Dopo che in Inghilterra vennero stampate ora le une ora le altre fra le più o meno imperfette traduzioni americane, nel 1888 apparve infine una traduzione autentica, del mio amico Samuel Moore, rivista insieme da entrambi prima della stampa. Il titolo suona: "Manifesto of the Communist Party'', by Karl Marx and Frederick Engels. Authorized English translation, edited and annotated by Frederick Engels, 1888, London, William Reeves, 185 Fleet St. E.C. Ho riportato nella presente edizione alcune delle annotazioni d'essa.
Il "Manifesto'' ha avuto un suo proprio destino. Salutato con entusiasmo al suo primo apparire dall'avanguardia, allora poco numerosa, del socialismo scientifico (come lo provano le traduzioni citate nella prima prefazione), venne bentosto respinto nell'ombra dalla reazione iniziatasi con la sconfitta degli operai parigini nel giugno del 1848, e infine scomunicato e messo al bando "in nome della legge'' con la condanna dei comunisti di Colonia nel novembre 1852. Con la scomparsa dalla pubblica scena di quel movimento operaio, che datava dalla rivoluzione di febbraio, anche il "Manifesto'' scomparve dalla scena.
Quando la classe operaia europea si fu di nuovo sufficientemente rafforzata per poter dare un nuovo assalto al potere delle classi dominanti, sorse la Associazione internazionale degli Operai.
Essa aveva per scopo di fondere in un solo grande esercito tutta la classe operaia combattiva d'Europa e d'America. Essa non poteva quindi prendere le mosse dai princìpi esposti nel "Manifesto''. Doveva avere un programma che non chiudesse la porta alle trades-unions inglesi, ai proudhoniani francesi, belgi, italiani e spagnuoli e ai lassalliani tedeschi* [*Lassalle, personalmente, di fronte a noi si professò sempre allievo di Marx e come tale stava quindi, ovviamente, sul terreno del "Manifesto''. Altro è il caso di quei suoi seguaci che non andarono oltre la sua rivendicazione delle cooperative di produzione con credito statale, e che dividevano tutta la classe operaia in fautori dell'aiuto statale e fautori del mutuo soccorso. Nota di Engels]. Questo programma - che fa da premessa agli Statuti dell'Internazionale - fu abbozzato da Marx con una maestria riconosciuta persino da Bakunin e dagli anarchici. Per la vittoria finale delle tesi enunciate nel "Manifesto'', Marx confidava unicamente ed esclusivamente in quello sviluppo intellettuale della classe operaia, che doveva necessariamente scaturire dell'azione comune e dalla discussione. Gli eventi e le vicende della lotta contro il capitale, le sconfitte ancora più che i successi, non potevano fare a meno di dimostrare ai combattenti l'insufficienza delle panacee in uso fino allora, e rendere più accessibili alle loro menti le vere condizioni dell'emancipazione operaia. E Marx aveva ragione. La classe operaia del 1874, quando si sciolse l'Internazionale, era tutt'altra da quella del 1864, quando la si era fondata. Il proudhonismo nei paesi latini, il lassallismo specifico in Germania erano in agonia, e persino le trades-unions inglesi, prima arciconservatrici, si avvicinavano, a poco a poco, a quel punto in cui, nel 1887, il presidente del loro Congresso a Swansea poté dire in loro nome: "Il socialismo continentale ha cessato d'essere per noi uno spauracchio''. Ma questo socialismo continentale già nel 1887 era quasi esclusivamente la teoria proclamata nel "Manifesto''. E così la storia del "Manifesto'' rispecchia fino a un certo punto la storia del moderno movimento operaio dopo il 1848. Attualmente esso è, senza dubbio, il prodotto più diffuso e più internazionale di tutta la letteratura socialista, il programma comune di molti milioni di operai di tutti i paesi, dalla Siberia alla California.
Eppure quando vide la luce non avremmo potuto intitolarlo manifesto socialista. Sotto il nome di socialista si intendevano nel 1847 due specie di persone. Da un lato i seguaci dei vari sistemi utopistici, specialmente gli owenisti in Inghilterra e i fourieristi in Francia, gli uni e gli altri già ridotti a semplici sette che andavano a poco a poco estinguendosi. Dall'altro lato i molteplici dulcamara sociali, che con le loro varie panacee e con ogni sorta di rattoppi volevano guarire le miserie sociali, senza fare alcun male al capitale e al profitto. In entrambi i casi, gente che stava al di fuori del movimento operaio e cercava piuttosto un appoggio tra le classi "colte''. Al contrario, quella parte di operai che, convinta dell'insufficienza di semplici rivolgimenti politici, esigeva una trasformazione radicale della società, quella parte si chiamava allora comunista. Era un comunismo appena abbozzato, di puro istinto, talora un po' greggio, ma era abbastanza forte per produrre due sistemi di comunismo utopistico, in Francia quello "icariano'' di Cabet, in Germania quello di Weitling. Nel 1847 socialismo significava un movimento borghese, comunismo un movimento operaio. Il socialismo, almeno sul continente, era una dottrina ammissibile nei salotti, il comunismo era giusto il contrario. E poiché fin da allora noi eravamo decisamente d'avviso che "l'emancipazione degli operai deve essere opera della classe operaia stessa'' è chiaro che non potevamo rimanere un istante in dubbio su quale dei due nomi dovessimo scegliere. Né mai dopo d'allora ci passò per il capo di mutarlo.
"Proletari di tutti i paesi, unitevi!''. Solo poche voci risposero, quando, sono ormai quarantadue anni, lanciammo pel mondo quel grido, alla vigilia della prima rivoluzione parigina in cui il proletariato insorse con rivendicazioni proprie. Ma il 28 settembre 1864 proletari della maggior parte dei paesi dell'Europa occidentale si unirono nell'Associazione internazionale degli Operai di gloriosa memoria. L'Internazionale, è vero, non visse che nove anni. Ma la prova migliore che l'eterna unione da essa fondata fra i proletari di tutti i paesi è ancora viva e più forte che mai, è la giornata d'oggi. Oggi infatti, mentre scrivo queste righe, il proletariato europeo e americano passa in rassegna le sue forze, per la prima volta mobilitate come un solo esercito, sotto una sola bandiera e per un solo scopo immediato: la introduzione per legge della giornata normale di lavoro di otto ore, già proclamata dal Congresso di Ginevra dell'Internazionale del 1866 e poi, per la seconda volta, dal Congresso operaio di Parigi nel 1889. E lo spettacolo di questa giornata mostrerà chiaramente ai capitalisti e ai proprietari terrieri di tutti i paesi che oggi i proletari di tutti i paesi si sono di fatto uniti.
Almeno fosse Marx accanto a me per veder questo spettacolo coi propri occhi!
Friedrich Engels
Londra, 1° Maggio 1890

Prefazione all'edizione polacca del 1892
Il fatto che si sia resa necessaria una nuova edizione polacca del "Manifesto del partito comunista'' dà luogo a diverse considerazioni.
È da notare anzitutto che il "Manifesto'' è ridivenuto in certo modo l'indice dello sviluppo della grande industria in tutto il continente europeo. Nella misura in cui si estende in un paese la grande industria, cresce anche fra gli operai dello stesso paese il desiderio di chiarezza sulla loro posizione, in quanto classe operaia, di fronte alle classi possidenti, si estende fra di loro il movimento socialista e aumenta la richiesta del "Manifesto''. Pertanto, non soltanto le condizioni del movimento operaio, ma anche il grado di sviluppo della grande industria si possono misurare in ogni paese con una certa precisione secondo il numero degli esemplari del "Manifesto'' diffuso nella lingua nazionale.
La nuova edizione polacca denota di conseguenza un deciso progresso dell'industria polacca. Che questo progresso, a partire dall'ultima edizione apparsa dieci anni fa, si sia realmente verificato, è assolutamente fuori dubbio. La Polonia russa, la Polonia del Congresso22 è divenuta il distretto industriale dell'impero russo. Mentre la grande industria russa è sporadica e sparsa - una parte sul golfo finnico, una parte nel centro (Mosca e Vladimir), una terza sul Mar Nero e sul Mare d'Azof, e il resto qua e là in altri luoghi - quella polacca è addensata in uno spazio relativamente piccolo e gode dei vantaggi e degli svantaggi derivanti da tale concentrazione. I vantaggi li riconobbero gli industriali russi concorrenti, allorché chiesero dazi protettivi contro la Polonia malgrado il loro ardente desiderio di trasformare i polacchi in russi. Gli svantaggi - per gli industriali polacchi e per il governo russo - si manifestano nella rapida diffusione delle idee socialiste tra i lavoratori polacchi, nella crescente richiesta del "Manifesto''.
Ma il rapido sviluppo dell'industria polacca, che ha superato quella russa, è a sua volta una nuova prova dell'indistruttibile forza vitale del popolo polacco, ed una nuova garanzia della sua imminente ricostituzione nazionale. La ricostituzione di una Polonia forte e indipendente è, però, cosa che non riguarda solo i polacchi ma noi tutti. Una sincera collaborazione internazionale delle nazioni europee è possibile solo quando ogni singola nazione è del tutto autonoma nel suo proprio territorio nazionale. La rivoluzione del 1848 che, sotto la bandiera proletaria, fece fare infine ai combattenti proletari solo il lavoro della borghesia, impose anche, per mezzo dei suoi esecutori testamentari, Luigi Bonaparte23 e Bismarck24, l'indipendenza dell'Italia, Germania e Ungheria; ma la Polonia, che dal 1792 in poi ha fatto per la rivoluzione più che non questi tre paesi insieme, la Polonia è stata abbandonata a se stessa, quando nel 1863 soccombette alla potenza russa a lei dieci volte superiore. La nobiltà non ha saputo né conservare né riconquistare l'indipendenza polacca; la borghesia è oggi, a dir poco, indifferente di fronte a questa indipendenza. E nondimeno questa è una necessità per l'armonica collaborazione fra le nazioni europee. Essa può essere conquistata solo dal giovane proletariato polacco, e nelle sue mani è ben affidata. Poiché i lavoratori di tutto il resto d'Europa abbisognano dell'indipendenza polacca come lo stesso proletariato polacco.
Friedrich Engels
Londra, 10 febbraio 1892

Al lettore italiano25

La pubblicazione del "Manifesto del Partito comunista'' coincidette, quasi giorno per giorno, con le rivoluzioni di Milano e di Berlino del 18 marzo 1848, che furono la levata di scudi delle due nazioni situate nel centro, l'una del Continente, l'altra del Mediterraneo; due nazioni fino allora indebolite dalla divisione e dalla discordia all'interno e passate, per conseguenza, sotto il dominio straniero. Se l'Italia era soggetta all'imperatore d'Austria, la Germania subiva il giogo non meno effettivo, benché indiretto, dello zar di tutte le Russie. Le conseguenze del 18 marzo 1848 liberarono l'Italia e la Germania da codesta vergogna. Se dal 1848 al 1871 queste due grandi nazioni sono state ricostituite, e, in qualche modo, rese a sé stesse, ciò avvenne, come diceva Carlo Marx, perché gli uomini che avevano abbattuto la rivoluzione del 1848 ne divennero tuttavia, loro malgrado, gli esecutori testamentari.
Dappertutto, quella rivoluzione fu l'opera della classe operaia; fu questa che fece le barricate e pagò di persona. Solo gli operai di Parigi, rovesciando il governo, avevano l'intenzione ben determinata di rovesciare il regime della borghesia. Ma, per quanto essi avessero coscienza dell'antagonismo fatale che esisteva fra la loro propria classe e la borghesia, né il progresso economico del paese, né lo sviluppo intellettuale delle masse operaie francesi erano giunti al grado che avrebbe reso possibile una ricostruzione sociale. I frutti della rivoluzione furono dunque raccolti, in ultima analisi, dalla classe capitalista. Negli altri paesi, in Italia, in Germania, in Austria, in Ungheria, gli operai non fecero, dapprincipio, che portare al potere la borghesia. Ma in nessun paese il regno della borghesia è possibile senza l'indipendenza nazionale. La rivoluzione del 1848 doveva dunque trarsi dietro l'unità e l'autonomia delle nazioni che fino allora ne erano state prive: l'Italia, l'Ungheria, la Germania. La Polonia seguirà a sua volta.
Se, dunque, la rivoluzione del 1848 non fu una rivoluzione socialista, essa spianò la via, preparò il terreno a quest'ultima. Collo slancio dato, in ogni paese, alla grande industria, il regime borghese degli ultimi quarantacinque anni ha creato dappertutto un proletariato numeroso, concentrato e forte; ha allevato dunque, per usare l'espressione del "Manifesto'', i suoi propri seppellitori. Senza l'autonomia e l'unità restituite a ciascuna nazione europea, né l'unione internazionale del proletariato, né la tranquilla e intelligente cooperazione di queste nazioni verso fini comuni potrebbero compiersi. Immaginate, se vi riesce, un'azione internazionale e comune degli operai italiani, ungheresi, tedeschi, polacchi, russi, nelle condizioni politiche precedenti il 1848!
Così le battaglie del 1848 non furono date invano; i quarantacinque anni che ci separano da quella tappa rivoluzionaria del pari non sono passati invano. I frutti vengono a maturazione, e tutto ciò che io desidero è che la pubblicazione di questa traduzione italiana del "Manifesto'' sia di altrettanto buon augurio per la vittoria del proletariato italiano, quanto la pubblicazione dell'originale lo fu per la rivoluzione internazionale.
Il "Manifesto del partito comunista'' rende piena giustizia all'azione rivoluzionaria del capitalismo nel passato. La prima nazione capitalista fu l'Italia. Il chiudersi del medioevo feudale, l'aprirsi dell'èra capitalista moderna sono contrassegnati da una figura gigantesca: quella di un italiano, Dante, al tempo stesso l'ultimo poeta del Medio Evo e il primo poeta moderno. Oggi come nel 1300, una nuova èra storica si affaccia. L'Italia ci darà essa il nuovo Dante, che segni l'ora della nascita di questa èra proletaria?
Friedrich Engels
Londra, 1° febbraio 1893

 
MANIFESTO DEL PARTITO COMUNISTA

Uno spettro si aggira per l'Europa - lo spettro del comunismo. Tutte le potenze della vecchia Europa, il papa26 e lo zar27, Metternich28 e Guizot29, radicali francesi e poliziotti tedeschi, si sono alleati in una santa caccia spietata contro questo spettro.
Quale è il partito d'opposizione, che non sia stato tacciato di comunista dai suoi avversari che si trovano al potere? E quale è il partito d'opposizione, che, a sua volta, non abbia ritorto l'infamante accusa di comunista contro gli elementi più avanzati dell'opposizione o contro i suoi avversari reazionari?
Da questo fatto si ricavano due conclusioni.
Il comunismo è ormai riconosciuto una potenza da tutte le potenze europee.
È ormai tempo che i comunisti espongano apertamente a tutto il mondo il loro modo di vedere, i loro scopi, le loro tendenze, e che alle fiabe30 dello spettro del comunismo controppongano un manifesto del partito.
A tal fine, comunisti delle varie nazionalità si sono riuniti a Londra, e hanno redatto il seguente manifesto, che verrà pubblicato in lingua inglese, francese, tedesca, italiana, fiamminga e danese.

I borghesi e proletari*
[* Per borghesia si intende la classe dei capitalisti moderni, che sono proprietari dei mezzi della produzione sociale e impiegano lavoro salariato. Per proletariato si intende la classe degli operai salariati moderni, che, non possedendo nessun mezzo di produzione, sono costretti a vendere la loro forza-lavoro per vivere. Nota di Engels all'edizione inglese del 1888]
La storia di ogni società sinora esistita** [**O, a dir meglio, la storia scritta. Nel 1847 la preistoria sociale, l'organizzazione sociale precedente a tutte le storie scritte era come sconosciuta. Dopo d'allora Haxthausen scoprì la proprietà comune del suolo in Russia, Maurer dimostrò essere essa la base sociale da cui mossero storicamente tutte le stirpi tedesche, e a poco a poco si trovò che le comunità agricole col possesso del suolo in comune erano la forma primitiva della società, dall'India fino all'Irlanda. Infine l'intima organizzazione di questa primitiva società comunista fu messa a nudo nella sua forma tipica dalla scoperta di Morgan della vera natura della gens e della posizione di questa nella tribù. Con lo sciogliersi di queste comunità primitive ha principio la divisione della società in classi distinte che diventano poi antagonistiche. Io ho cercato di indagare questo processo di dissoluzione nella "Origine della famiglia, della proprietà privata e dello Stato''. 2ª ed. Stoccarda 1886. Nota di Engels all'edizione inglese del 188831] è storia di lotte di classi.
Liberi e schiavi, patrizi e plebei, baroni e servi della gleba, membri delle corporazioni e garzoni, in una parola oppressori e oppressi sono sempre stati in contrasto fra di loro, hanno sostenuto una lotta ininterrotta, a volte nascosta, a volte palese: una lotta che finì sempre o con una trasformazione rivoluzionaria di tutta la società o con la rovina comune delle classi in lotta.
Nelle prime epoche della storia troviamo quasi dappertutto una completa divisione della società in varie caste, una multiforme gradazione delle posizioni sociali. Nell'antica Roma abbiamo patrizi, cavalieri, plebei, schiavi; nel medioevo signori feudali, vassalli, maestri d'arte*** [*** Il maestro d'arte era membro della corporazione con pieni diritti, maestro nell'interno della corporazione e non soltanto anziano. Nota di Engels all'edizione inglese del 1888], garzoni, servi della gleba, e per di più in quasi ciascuna di queste classi altre speciali gradazioni.
La moderna società borghese, sorta dalla rovina della società feudale, non ha eliminato i contrasti fra le classi. Essa ha soltanto posto nuove classi, nuove condizioni di oppressione, nuove forme di lotta in luogo delle antiche.
L'epoca nostra, l'epoca della borghesia, si distingue tuttavia perché ha semplificato i contrasti fra le classi. La società intera si va sempre più scindendo in due grandi campi nemici, in due classi direttamente opposte l'una all'altra: borghesia e proletariato.
Dai servi della gleba del medioevo uscirono i borghigiani delle prime città; da questi borghigiani ebbero sviluppo i primi elementi della borghesia.
La scoperta dell'America e la circumnavigazione dell'Africa offrirono un nuovo terreno alla nascente borghesia. Il mercato delle Indie orientali e della Cina, la colonizzazione dell'America, lo scambio con le colonie, l'aumento dei mezzi di scambio e delle merci in generale, diedero un impulso prima d'allora sconosciuto al commercio, alla navigazione, all'industria, e in pari tempo favorirono il rapido sviluppo dell'elemento rivoluzionario in seno alla società feudale che s'andava sfasciando.
L'organizzazione feudale o corporativa dell'industria da quel momento non bastò più ai bisogni, che andavano crescendo col crescere dei nuovi mercati. Subentrò la manifattura. I maestri di bottega vennero soppiantati dal medio ceto industriale; la divisione del lavoro tra le diverse corporazioni scomparve davanti alla divisione del lavoro nelle singole officine stesse.
Ma i mercati continuavano a crescere, e continuavano a crescere i bisogni. Anche la manifattura non bastava più. Ed ecco il vapore e le macchine rivoluzionare la produzione industriale. Alla manifattura subentrò la grande industria moderna; al medio ceto industriale succedettero gli industriali milionari, i capi di interi eserciti industriali, i moderni borghesi.
La grande industria ha creato quel mercato mondiale che la scoperta dell'America aveva preparato. Il mercato mondiale ha dato un immenso sviluppo al commercio, alla navigazione, alle comunicazioni per terra. Quello sviluppo, alla sua volta, ha reagito sull'espansione dell'industria; e in quella stessa misura in cui si sono andate estendendo l'industria, il commercio, la navigazione, le ferrovie, anche la borghesia si è sviluppata, ha aumentato i suoi capitali e sospinto nel retroscena tutte le classi che erano un residuo del medioevo.
Noi vediamo dunque come la stessa borghesia moderna sia il prodotto di un lungo processo di sviluppo, di una serie di sconvolgimenti nei modi della produzione e del traffico.
Ognuno di questi stadi nello sviluppo della borghesia fu accompagnato da un corrispondente progresso politico.32 Ceto oppresso sotto il dominio dei signori feudali, associazioni armate e autonome nel Comune* [*"Comuni'' si chiamarono le città sorte in Francia, anche prima che fossero riuscite a strappare ai loro padroni e signori feudali i diritti politici, come "terzo stato''. Parlando in generale, viene qui preso come paese tipico dell'evoluzione economica della borghesia l'Inghilterra, della sua evoluzione politica la Francia. Nota di Engels all'edizione inglese del 1888. Così in Italia e in Francia gli abitanti delle città chiamarono la loro comunità cittadina, dopo aver strappato o comprato dai loro signori feudali i primi diritti di amministrazione autonoma. Nota di Engels all'edizione tedesca del 1890], qui repubblica municipale indipendente33, là terzo stato tributario della monarchia34, poi, al tempo della manifattura, contrappeso alla nobiltà nella monarchia a poteri limitati o in quella assoluta, principale fondamento, in generale, delle grandi monarchie, col costituirsi della grande industria e del mercato mondiale, la borghesia si è finalmente impadronita in modo esclusivo del potere politico nel moderno Stato rappresentativo. Il potere politico dello Stato moderno non è che un comitato, il quale amministra gli affari comuni di tutta quanta la classe borghese.
La borghesia ha avuto nella storia una funzione sommamente rivoluzionaria.
Dove è giunta al potere, essa ha distrutto tutte le condizioni di vita feudali, patriarcali, idilliache. Essa ha lacerato senza pietà i variopinti legami che nella società feudale avvincevano l'uomo ai suoi superiori naturali, e non ha lasciato tra uomo e uomo altro vincolo che il nudo interesse, lo spietato "pagamento in contanti''. Essa ha affogato nell'acqua gelida del calcolo egoistico i santi fremiti dell'esaltazione religiosa, dell'entusiasmo cavalleresco, della sentimentalità piccolo-borghese. Ha fatto della dignità personale un semplice valore di scambio; e in luogo delle innumerevoli franchigie faticosamente acquisite e patentate, ha posto la sola libertà di commercio senza scrupoli. In una parola, al posto dello sfruttamento velato da illusioni religiose e politiche, ha messo lo sfruttamento aperto, senza pudori, diretto e arido.
La borghesia ha spogliato della loro aureola tutte quelle attività che per l'innanzi erano considerate degne di venerazioni e di rispetto. Ha trasformato il medico, il giurista, il prete, il poeta, lo scienziato in suoi operai salariati.
La borghesia ha strappato il velo di tenero sentimentalismo che avvolgeva i rapporti di famiglia, e li ha ridotti a un semplice rapporto di denari.
La borghesia ha messo in chiaro come la brutale manifestazione di forza, che i reazionari tanto ammirano nel medioevo, avesse il suo appropriato completamento nella più infingarda poltroneria. Essa per prima ha mostrato che cosa possa l'attività umana. Essa ha creato ben altre meraviglie che le piramidi d'Egitto, gli acquedotti romani e le cattedrali gotiche; essa ha fatto ben altre spedizioni che le migrazioni dei popoli e le Crociate.
La borghesia non può esistere senza rivoluzionare di continuo gli strumenti di produzione, quindi i rapporti di produzione, quindi tutto l'insieme dei rapporti sociali. Prima condizione di esistenza di tutte le classi industriali precedenti era invece l'immutata conservazione dell'antico modo di produzione. Il continuo rivoluzionamento della produzione, l'incessante scuotimento di tutte le condizioni sociali, l'incertezza e il movimento eterni contraddistinguono l'epoca borghese da tutte le precedenti35. Tutte le stabili e irrugginite condizioni di vita, con il loro seguito di opinioni e credenze rese venerabili dall'età, si dissolvono, e le nuove invecchiano prima ancora di aver potuto fare le ossa. Tutto ciò che vi era di stabilito e di rispondente ai vari ordini sociali si svapora, ogni cosa sacra viene sconsacrata e gli uomini sono finalmente costretti a considerare con occhi liberi da ogni illusione la loro posizione nella vita, e i loro rapporti reciproci.
Il bisogno di sbocchi sempre più estesi per i suoi prodotti spinge la borghesia per tutto il globo terrestre. Dappertutto essa deve ficcarsi, dappertutto stabilirsi, dappertutto stringere relazioni.
Sfruttando il mercato mondiale la borghesia ha reso cosmopolita la produzione e il consumo di tutti i paesi. Con gran dispiacere dei reazionari, ha tolto all'industria la base nazionale. Le antichissime industrie nazionali sono state e vengono, di giorno in giorno, annichilite. Esse vengono soppiantate da nuove industrie, la cui introduzione è questione di vita o di morte per tutte le nazioni civili - industrie che non lavorano più materie prime indigene, bensì materie prime provenienti dalle regioni più remote, e i cui prodotti non si consumano soltanto nel paese, ma in tutte le parti del mondo. Al posto dei vecchi bisogni, a soddisfare i quali bastavano i prodotti nazionali, subentrano bisogni nuovi, che per essere soddisfatti esigono i prodotti dei paesi e dei climi più lontani. In luogo dell'antico isolamento locale e nazionale, per cui ogni paese bastava a sé stesso, subentra un traffico universale, una universale dipendenza delle nazioni l'una dall'altra. E come nella produzione materiale, così anche nella spirituale. I prodotti spirituali delle singole nazioni diventano patrimonio comune. L'unilateralità e l'esclusivismo nazionale diventano sempre più impossibili, e dalle molte letterature nazionali e locali esce una letteratura mondiale.
Col rapido miglioramento di tutti gli strumenti di produzione, con le comunicazioni infinitamente agevolate, la borghesia trascina nella civiltà anche le nazioni più barbare. I tenui prezzi delle sue merci sono l'artiglieria pesante con cui essa abbatte tutte le muraglie cinesi, e con cui costringe a capitolare il più testardo odio dei barbari per lo straniero. Essa costringe tutte le nazioni ad adottare le forme della produzione borghese se non vogliono perire; le costringe a introdurre nei loro paesi la cosiddetta civiltà, cioè a farsi borghesi. In una parola, essa si crea un mondo a propria immagine e somiglianza.
La borghesia ha assoggettato la campagna al dominio della città. Ha creato città enormi, ha grandemente accresciuto la popolazione urbana in confronto con quella rurale, e così ha strappato una parte notevole della popolazione all'idiotismo della vita rustica. Come ha assoggettato la campagna alla città, così ha reso dipendenti dai popoli civili quelli barbari e semibarbari, i popoli contadini dai popoli borghesi, l'Oriente dall'Occidente.
La borghesia sopprime sempre più il frazionamento dei mezzi di produzione, della proprietà e della popolazione. Essa ha agglomerato la popolazione, ha centralizzato i mezzi di produzione e concetrato la proprietà in poche mani. Ne è risultata come conseguenza necessaria la centralizzazione politica. Province indipendenti, quasi appena collegate tra loro da vincoli federali, province con interessi, leggi, governi e dogane diversi, sono state strette in una sola nazione, con un solo governo, una sola legge, un solo interesse nazionale di classe, un solo confine doganale.
Nel suo dominio di classe, che dura appena da un secolo, la borghesia ha creato delle forze produttive il cui numero e la cui importanza superano quanto mai avessero fatto tutte insieme le generazioni passate. Soggiogamento delle forze naturali, macchine, applicazione della chimica all'industria e all'agricoltura, navigazione a vapore, ferrovie, telegrafi elettrici, dissodamento di interi continenti, fiumi resi navigabili, intere popolazioni sorte quasi per incanto dal suolo - quale dei secoli passati avrebbe mai presentito che tali forze produttive stessero sopite in grembo al lavoro sociale?
Abbiamo dunque veduto che i mezzi di produzione e di scambio sulla cui base si eresse la borghesia, furono generati in seno alla società feudale. A un certo grado dello sviluppo di questi mezzi di produzione e di scambio, le condizioni nelle quali la società feudale produceva e scambiava, vale a dire l'organizzazione feudale dell'agricoltura e della manifattura, in una parola i rapporti feudali di proprietà, non corrisposero più alle forze produttive già sviluppate. Quelle condizioni, invece di favorire la produzione, la inceppavano. Esse si trasformavano in altrettante catene. Dovevano essere spezzate, e furono spezzate.
Subentrò ad esse la libera concorrenza con la costituzione politica e sociale ad essa adatta, col dominio economico e politico della classe borghese.
Sotto i nostri occhi si sta compiendo un processo analogo. Le condizioni borghesi di produzione e di scambio, i rapporti borghesi di proprietà, la moderna società borghese, che ha evocato come per incanto così potenti mezzi di produzione e di scambio, rassomiglia allo stregone che non può più dominare le potenze sotterranee da lui evocate. Da qualche decina d'anni la storia dell'industria e del commercio non è che la storia della ribellione delle moderne forze produttive contro i moderni rapporti di produzione, contro i rapporti di proprietà che sono le condizioni di esistenza della borghesia e del suo dominio. Basti ricordare le crisi commerciali, che nei loro ritorni periodici sempre più minacciosamente mettono in forse l'esistenza di tutta la società borghese. Nelle crisi commerciali viene regolarmente distrutta una gran parte non solo dei prodotti già ottenuti, ma anche delle forze produttive che erano già state create. Nelle crisi scoppia una epidemia sociale che in ogni altra epoca sarebbe apparsa un controsenso: l'epidemia della sovrapproduzione. La società si trova improvvisamente ricacciata in uno stato di momentanea barbarie; una carestia, una guerra generale di sterminio sembrano averle tolto tutti i mezzi di sussistenza; l'industria, il commercio sembrano annientati, e perché? Perché la società possiede troppa civiltà, troppi mezzi di sussistenza, troppa industria, troppo commercio. Le forze produttive di cui essa dispone non giovano più a favorire lo sviluppo della civiltà borghese e36 dei rapporti della proprietà borghese; al contrario, esse sono divenute troppo potenti per tali rapporti, sicché ne vengono inceppate; e non appena superano questo impedimento gettano nel disordine tutta quanta la società borghese, minacciano l'esistenza della proprietà borghese. I rapporti borghesi sono diventati troppo angusti per contenere le ricchezze da essi prodotte. Con quale mezzo riesce la borghesia a superare le crisi? Per un verso, distruggendo forzatamente una grande quantità di forze produttive; per un altro verso, conquistando nuovi mercati e sfruttando più intensamente i mercati già esistenti. Con quale mezzo dunque? Preparando crisi più estese e più violente e riducendo i mezzi per prevenire le crisi.
Le armi con cui la borghesia ha abbattuto il feudalesimo si rivolgono ora contro la borghesia stessa.
Ma la borghesia non ha soltanto fabbricato le armi che le recano la morte; essa ha anche creato gli uomini che useranno quelle armi - i moderni operai, i proletari.
Nella stessa misura in cui si sviluppa la borghesia, vale a dire il capitale, si sviluppa anche il proletariato, vale a dire la classe degli operai moderni, i quali vivono solo fino a tanto che trovano lavoro, e trovano lavoro soltanto fino a che il loro lavoro aumenta il capitale. Questi operai, che sono costretti a vendersi al minuto, sono una merce come ogni altro articolo di commercio, e perciò sono egualmente esposti a tutte le vicende della concorrenza, a tutte le oscillazioni del mercato.
Il lavoro dei proletari con l'estendersi dell'uso delle macchine e con la divisione del lavoro ha perduto ogni carattere d'indipendenza e quindi ogni attrattiva per l'operaio37. Questi diventa un semplice accessorio della macchina, un accessorio a cui non si chiede che un'operazione estremamente semplice, monotona, facilissima ad imparare. Le spese che l'operaio procura si limitano perciò quasi esclusivamente ai mezzi di sussistenza necessari pel suo mantenimento e per la propagazione della sua specie. Ma il prezzo di una merce e quindi anche il prezzo del lavoro38, è eguale al suo costo di produzione. Così, a misura che il lavoro si fa più ripugnante, più discende il salario. Più ancora: a misura che crescono l'uso delle macchine e la divisione del lavoro, cresce anche la quantità39 del lavoro, sia per l'aumento delle ore di lavoro, sia per l'aumento del lavoro richiesto in una data unità di tempo, per l'accresciuta celerità delle macchine, ecc.
L'industria moderna ha trasformato la piccola officina dell'artigianato patriarcale nella grande fabbrica del capitalista industriale. Masse di operai addensate nelle fabbriche vengono organizzate militarmente. Come soldati semplici dell'industria essi vengono sottoposti alla sorveglianza di tutta una gerarchia di sott'ufficiali e di ufficiali. Essi non sono soltanto gli schiavi della classe borghese, dello Stato borghese, ma sono, ogni giorno e ogni ora, schiavi della macchina, del sorvegliante, e soprattutto del singolo borghese padrone di fabbrica. Siffatto dispotismo è tanto più meschino, odioso, esasperante, quanto più apertamente esso proclama di non avere altro scopo che il guadagno.
Quanto meno il lavoro manuale esige abilità e forza, vale a dire, quanto più l'industria moderna si sviluppa, tanto più il lavoro degli uomini viene soppiantato da quello delle donne e dei fanciulli40. Le differenze di sesso e di età non hanno più nessun valore sociale per la classe operaia. Non ci sono più che strumenti di lavoro, il cui costo varia secondo l'età e il sesso.
Non appena l'operaio ha finito di essere sfruttato dal fabbricante e ne ha ricevuto il salario in contanti, ecco piombar su di lui gli altri membri della borghesia, il padrone di casa, il bottegaio, il prestatore a pegno, e così via.
Quelli che furono sinora i piccoli ceti medi, i piccoli industriali, i negozianti e la gente che vive di piccola rendita, gli artigiani e gli agricoltori, tutte queste classi sprofondano nel proletariato, in parte perché il loro esiguo capitale non basta all'esercizio della grande industria e soccombe quindi nella concorrenza coi capitalisti più grandi, in parte perché le loro attitudini perdono il loro valore in confronto coi nuovi modi di produzione. Così il proletariato si recluta in tutte le classi della popolazione.
Il proletariato attraversa diversi gradi di evoluzione. La sua lotta contro la borghesia incomincia colla sua esistenza.
Dapprima lottano i singoli operai ad uno ad uno, poi gli operai di una fabbrica, indi quelli di una data categoria in un dato luogo contro il singolo borghese che li sfrutta direttamente. Essi non rivolgono soltanto i loro attacchi contro i rapporti borghesi di produzione, ma li rivolgono contro gli stessi strumenti della produzione; essi distruggono le merci straniere che fanno loro concorrenza, fanno a pezzi le macchine, incendiano le fabbriche, tentano di riacquistare la tramontata posizione dell'operaio del medioevo.
In questo stadio gli operai formano una massa dispersa per tutto il paese e sparpagliata dalla concorrenza. Il loro raggrupparsi in masse non è ancora la conseguenza della loro propria unione, ma è dovuto all'unione della borghesia, che per raggiungere i suoi propri fini politici deve mettere in moto tutto il proletariato ed è ancora in grado di farlo. In tale stadio i proletari non combattono dunque i loro nemici, ma i nemici dei loro nemici, gli avanzi della monarchia assoluta, i proprietari fondiari, i borghesi non industriali, i piccoli borghesi. Tutto il movimento storico è così concentrato nelle mani della borghesia; ogni vittoria così ottenuta è una vittoria della borghesia.
Ma con lo sviluppo dell'industria il proletariato non cresce soltanto di numero; esso si addensa in grandi masse, la sua forza va crescendo, e con la forza la coscienza di essa. Gli interessi, le condizioni di esistenza all'interno del proletariato si livellano sempre più, perché la macchina cancella sempre più le differenze del lavoro e quasi dappertutto riduce il salario a un eguale basso livello. La crescente concorrenza dei borghesi fra di loro e le crisi commerciali che ne derivano rendono sempre più oscillante il salario degli operai; l'incessante e sempre più rapido perfezionamento delle macchine rende sempre più precarie le loro condizioni di esistenza; i conflitti tra singoli operai e borghesi singoli vanno sempre più assumendo il carattere di conflitti fra due classi. È così che gli operai incominciano a formare coalizioni41 contro i borghesi, riunendosi per difendere il loro salario. Essi fondano persino associazioni permanenti per approvvigionarsi per le sollevazioni eventuali. Qua e là la lotta diventa sommossa.
Di quando in quando gli operai vincono, ma solo in modo effimero. Il vero risultato delle loro lotte non è il successo immediato, ma la unione sempre più estesa degli operai. Essa è agevolata dai crescenti mezzi di comunicazione che sono creati dalla grande industria e che collegano tra di loro operai di località diverse. Basta questo semplice collegamento per concentrare le molte lotte locali, aventi dappertutto eguale carattere, in una lotta nazionale, in una lotta di classe. Ma ogni lotta di classe è lotta politica. E la unione, per raggiungere la quale ai borghigiani del medioevo, con le loro strade vicinali, occorsero dei secoli, oggi, con le ferrovie, viene realizzata dai proletari in pochi anni.
Questa organizzazione dei proletari in classe, e quindi in partito politico, viene ad ogni istante nuovamente spezzata dalla concorrenza che gli operai si fanno tra loro stessi. Ma essa risorge sempre di nuovo, più forte, più salda, più potente. Approfittando delle scissioni della borghesia, la costringe al riconoscimento legale di singoli interessi degli operai. Così fu per la legge delle dieci ore di lavoro in Inghilterra.
I conflitti in seno alla vecchia società in generale favoriscono in più modi lo sviluppo progressivo del proletariato. La borghesia è di continuo in lotta: dapprima contro l'aristocrazia, poi contro quelle parti della borghesia stessa i cui interessi sono in contrasto col progresso dell'industria; sempre contro la borghesia di tutti i paesi stranieri. In tutte queste lotte essa si vede costretta a fare appello al proletariato, a chiederne l'aiuto, trascinandolo così nel moto politico. Essa stessa, dunque, dà al proletariato gli elementi della sua propria educazione42, gli dà cioè le armi contro sé stessa.
Accade inoltre, come abbiamo già visto, che per il progresso dell'industria intere parti costitutive della classe dominante vengono precipitate nella condizione del proletariato o sono per lo meno minacciate nelle loro condizioni di esistenza. Anch'esse recano al proletariato una massa di elementi della loro educazione43.
Infine, nei periodi in cui la lotta di classe si avvicina al momento decisivo, il processo di dissolvimento in seno alla classe dominante, in seno a tutta la vecchia società, assume un carattere così violento, così aspro, che una piccola parte della classe dominante si stacca da essa per unirsi alla classe rivoluzionaria, a quella classe che ha l'avvenire nelle sue mani. Perciò, come già un tempo una parte della nobiltà passò alla borghesia, così ora una parte della borghesia passa al proletariato, e segnatamente una parte degli ideologi borghesi che sono giunti a comprendere teoricamente il movimento storico nel suo insieme.
Di tutte le classi che oggi stanno di fronte alla borghesia, solo il proletariato è una classe veramente rivoluzionaria. Le altre classi decadono e periscono con la grande industria, mentre il proletariato ne è il prodotto più genuino.
I ceti medi, il piccolo industriale, il piccolo negoziante, l'artigiano, il contadino, tutti costoro combattono la borghesia per salvare dalla rovina l'esistenza loro di ceti medi. Non sono dunque rivoluzionari, ma conservatori. Ancora più, essi sono reazionari, essi tentano di far girare all'indietro la ruota della storia. Se sono rivoluzionari, lo sono in vista del loro imminente passaggio al proletariato; cioè non difendono i loro interessi presenti, ma i loro interessi futuri, abbandonano il proprio modo di vedere per adottare quello del proletariato.
Quanto al sottoproletariato, che rappresenta la putrefazione passiva degli strati più bassi della vecchia società, esso viene qua e là trascinato nel movimento da una rivoluzione proletaria; ma per le sue stesse condizioni di vita esso sarà piuttosto disposto a farsi comprare e mettere al servizio di mene reazionarie.
Le condizioni di esistenza della vecchia società sono già distrutte nelle condizioni di esistenza del proletariato. Il proletariato è senza proprietà; le sue relazioni con la moglie e coi figli non hanno più nulla di comune con i rapporti familiari borghesi; il moderno lavoro industriale, il moderno soggiogamento al capitale, eguale in Inghilterra come in Francia, in America come in Germania, lo ha spogliato di ogni carattere nazionale. Le leggi, la morale, la religione, sono per lui altrettanti pregiudizi borghesi, dietro ai quali si nascondono altrettanti interessi borghesi.
Tutte le classi che finora s'impossessarono del potere cercarono di assicurarsi la posizione raggiunta assoggettando tutta la società alle condizioni del loro guadagno. I proletari, invece, possono impossessarsi delle forze produttive sociali soltanto abolendo il loro modo di appropriazione attuale e con esso l'intero attuale modo di appropriazione. I proletari non hanno nulla di proprio da salvaguardare; essi hanno soltanto da distruggere tutte le sicurezze private e le guarentigie private finora esistite.
Tutti i movimenti avvenuti sinora furono movimenti di minoranze o nell'interesse di minoranze. Il movimento proletario è il movimento indipendente dell'enorme maggioranza nell'interesse dell'enorme maggioranza. Il proletariato, che è lo strato più basso della società attuale, non può sollevarsi, non può innalzarsi, senza che tutta la sovrastruttura degli strati, che costituiscono la società ufficiale, vada in frantumi.
Sebbene non sia tale per il contenuto, la lotta del proletariato contro la borghesia è però all'inizio, per la sua forma, una lotta nazionale. Il proletariato di ogni paese deve naturalmente farla finita prima con la sua propria borghesia.
Tratteggiando le fasi più generali dello sviluppo del proletariato, abbiamo seguito la guerra civile più o meno occulta entro la società attuale fino al momento in cui essa esplode in una rivoluzione aperta, e col rovesciamento violento della borghesia il proletariato stabilisce il suo dominio.
Ogni società finora esistita ha poggiato, come abbiamo già visto, sul contrasto tra le classi degli oppressori e degli oppressi. Ma per poter opprimere una classe, bisogna che le siano assicurate condizioni entro le quali essa possa almeno vivere la sua misera vita di schiavo. Il servo della gleba ha potuto, continuando a esser tale, elevarsi a membro del Comune, così come il borghigiano dell'assolutismo feudale, ha potuto diventare un borghese. L'operaio moderno, al contrario, invece di elevarsi col progresso della industria, cade sempre più in basso, al di sotto delle condizioni della sua propria classe. L'operaio diventa il povero, e il pauperismo si sviluppa ancora più rapidamente della popolazione e della ricchezza. Appare da tutto ciò manifesto che la borghesia è incapace di rimanere ancora più a lungo la classe dominante della società e di imporre alla società, come legge regolatrice, le condizioni di esistenza della sua classe. Essa è incapace di dominare perché è incapace di assicurare al suo schiavo l'esistenza persino nei limiti della sua schiavitù, perché è costretta a lasciarlo cadere in condizioni tali, da doverlo poi nutrire anziché essere nutrita. La società non può più vivere sotto il suo dominio, cioè l'esistenza della borghesia non è più compatibile con la società.
La condizione più essenziale dell'esistenza e del dominio della classe borghese è l'accumularsi della ricchezza nelle mani di privati, la formazione e l'aumento del capitale; condizione del capitale è il lavoro salariato. Il lavoro salariato si fonda esclusivamente sulla concorrenza degli operai fra di loro. Il progresso dell'industria, del quale la borghesia è l'agente involontario e passivo, sostituisce all'isolamento degli operai, risultante dalla concorrenza, la loro unione rivoluzionaria mediante l'associazione. Lo sviluppo della grande industria toglie dunque di sotto ai piedi della borghesia il terreno stesso sul quale essa produce e si appropria i prodotti. Essa produce innanzi tutto i suoi propri seppellitori. Il suo tramonto e la vittoria del proletariato sono ugualmente inevitabili.

II. Proletari e comunisti

Che relazione passa tra i comunisti e i proletari in generale?
I comunisti non costituiscono un partito particolare di fronte agli altri partiti operai.
Essi non hanno interessi distinti dagli interessi del proletariato nel suo insieme.
Non erigono princìpi particolari44, sui quali vogliano modellare il movimento proletario.
I comunisti si distinguono dagli altri partiti proletari solamente per il fatto che da un lato, nelle varie lotte nazionali dei proletari, essi mettono in rilievo e fanno valere quegli interessi comuni dell'intero proletariato che sono indipendenti dalla nazionalità; d'altro lato per il fatto che, nei vari stadi di sviluppo che la lotta tra proletariato e borghesia va attraversando, rappresentano sempre l'interesse del movimento complessivo.
In pratica, dunque, i comunisti sono la parte più risoluta dei partiti operai di tutti i paesi, quella che sempre spinge avanti; dal punto di vista della teoria, essi hanno un vantaggio sulla restante massa del proletariato pel fatto che conoscono le condizioni, l'andamento e i risultati generali del movimento proletario.
Lo scopo immediato dei comunisti è quello stesso degli altri partiti proletari: formazione del proletariato in classe, rovesciamento del dominio borghese, conquista del potere politico da parte del proletariato.
Le posizioni teoriche dei comunisti non poggiano affatto sopra idee, sopra princìpi che siano stati inventati o scoperti da questo o quel rinnovatore del mondo.
Esse sono soltanto espressioni generali dei rapporti effettivi di una lotta di classe che già esiste, di un movimento storico che si svolge sotto i nostri occhi. L'abolizione dei rapporti di proprietà che si sono avuti finora non è cosa che caratterizzi propriamente il comunismo.
Tutti i rapporti di proprietà furono sempre soggetti a un continuo mutamento storico, a una continua trasformazione storica.
La Rivoluzione francese, ad esempio, abolì la proprietà feudale in favore della proprietà borghese.
Ciò che distingue il comunismo non è l'abolizione della proprietà in generale, bensì l'abolizione della proprietà borghese.
Ma la moderna proprietà privata borghese è l'ultima e la più perfetta espressione di quella produzione e appropriazione dei prodotti, che poggia sugli antagonismi di classe, sullo sfruttamento degli uni per opera degli altri45.
In questo senso i comunisti possono riassumere la loro dottrina in quest'unica espressione: abolizione della proprietà privata.
E' stato mosso rimprovero a noi comunisti di voler abolire la proprietà acquistata col lavoro personale, frutto del lavoro di ciascuno; quella proprietà, che sarebbe il fondamento di ogni libertà, di ogni attività e di ogni indipendenza personali.
Proprietà acquistata, guadagnata, frutto del proprio lavoro! Parlate voi forse della proprietà del piccolo borghese o del piccolo agricoltore, che precedette la proprietà borghese? Noi non abbiamo bisogno di abolirla; l'ha già abolita e la abolisce quotidianamente lo sviluppo dell'industria.
Oppure parlate voi della moderna proprietà borghese privata?
Ma che forse il lavoro salariato, il lavoro del proletario, crea a quest'ultimo una proprietà? In nessun modo. Esso crea il capitale, cioè crea la proprietà che sfrutta il lavoro salariato e che non può aumentare se non a condizione di generare nuovo lavoro salariato per nuovamente sfruttarlo. La proprietà nella sua forma odierna è fondata sull'antagonismo fra capitale e lavoro salariato. Esaminiamo i due termini di questo antagonismo.
Essere capitalista non vuol dire soltanto occupare nella produzione una posizione puramente personale, ma occupare una posizione sociale. Il capitale è un prodotto comune e non può esser messo in moto se non dall'attività comune di molti membri della società, anzi, in ultima istanza, soltanto dall'attività comune di tutti i membri della società.
Il capitale, dunque, non è una potenza personale; esso è una potenza sociale.
Se dunque il capitale viene trasformato in proprietà comune, appartenente a tutti i membri della società, ciò non vuol dire che si trasformi una proprietà personale in proprietà sociale. Si trasforma soltanto il carattere sociale della proprietà. Esso perde il suo carattere di classe.
Veniamo al lavoro salariato.
Il prezzo medio del lavoro salariato è il minimo del salario, ossia la somma dei mezzi di sussistenza necessari a mantenere in vita l'operaio in quanto operaio. Quello dunque che l'operaio salariato si appropria con la sua attività, gli basta soltanto per riprodurre la sua nuda esistenza. Noi non vogliamo punto abolire questa appropriazione personale dei prodotti del lavoro necessari per la riproduzione della vita immediata, appropriazione la quale non lascia alcun profitto netto, che possa dare un potere sul lavoro altrui. Noi vogliamo soltanto abolire il miserabile carattere di questa appropriazione, per cui l'operaio esiste soltanto per accrescere il capitale e vive quel tanto che è richiesto dall'interesse della classe dominante.
Nella società borghese il lavoro vivo è soltanto un mezzo per aumentare il lavoro accumulato. Nella società comunista il lavoro accumulato è soltanto un mezzo per rendere più largo, più ricco, più progredito il ritmo di vita degli operai.
Nella società borghese, dunque, il passato domina sul presente; nella società comunista il presente sul passato. Nella società borghese il capitale è indipendente e personale, mentre l'individuo operante è dipendente e impersonale.
E la borghesia chiama l'abolizione di questo stato di cose abolizione della personalità e della libertà! E ha ragione. Perché si tratta, effettivamente, di abolire la personalità, l'indipendenza e la libertà del borghese!
Per libertà si intende, entro gli attuali rapporti borghesi di produzione, il commercio libero, la libera compra e vendita.
Ma tolto il commercio, sparisce anche il libero commercio. Le frasi sul libero commercio, come tutte le altre vanterie liberalesche della nostra borghesia, hanno un senso soltanto rispetto al commercio vincolato e all'asservito cittadino del medioevo, ma non ne hanno alcuno rispetto all'abolizione comunista del commercio, dei rapporti borghesi di produzione e della borghesia stessa.
Voi inorridite all'idea che noi vogliamo abolire la proprietà privata. Ma nell'attuale vostra società la proprietà privata è abolita per nove decimi dei suoi membri; anzi, essa esiste precisamente in quanto per quei nove decimi non esiste. Voi ci rimproverate dunque di voler abolire una proprietà che ha per condizione necessaria la mancanza di proprietà per l'enorme maggioranza della società.
In una parola, voi ci rimproverate di voler abolire la vostra proprietà. È vero: è questo che vogliamo.
Dall'istante in cui il lavoro non può più essere trasformato in capitale, denaro, rendita fondiaria, insomma, in una forza sociale monopolizzabile, dall'istante cioè in cui la proprietà personale non si può più mutare in proprietà borghese, da quell'istante voi dichiarate che è abolita la persona.
Voi confessate, dunque, che per persona non intendete altro che il borghese, il proprietario borghese. Ebbene, questa persona deve effettivamente essere abolita.
Il comunismo non toglie a nessuno la facoltà di appropriarsi dei prodotti sociali; toglie soltanto la facoltà di valersi di tale appropriazione per asservire lavoro altrui.
È stato obiettato che con l'abolizione della proprietà privata cesserebbe ogni attività, si diffonderebbe una neghittosità generale.
Se così fosse, la società borghese sarebbe da molto tempo andata in rovina per pigrizia, giacché in essa chi lavora non guadagna e chi guadagna non lavora. Tutta l'obiezione sbocca in questa tautologia: che non c'è più lavoro salariato quando non c'è più capitale.
Tutte le obiezioni, che si muovono al modo comunista di appropriazione e di produzione dei prodotti materiali, sono state estese anche alla appropriazione e produzione dei prodotti intellettuali. Come per il borghese la cessazione della proprietà di classe significa cessazione della produzione stessa, così cessazione della cultura di classe è per lui lo stesso che cessazione della cultura in genere.
La cultura di cui egli deplora la perdita è per l'enorme maggioranza degli uomini il processo di trasformazione in macchina.
Ma non polemizzate con noi applicando all'abolizione della proprietà borghese le vostre concezioni borghesi della libertà, della cultura, del diritto, ecc. Le vostre idee sono anch'esse un prodotto dei rapporti borghesi di produzione e di proprietà, così come il vostro diritto non è che la volontà della vostra classe innalzata a legge, una volontà il cui contenuto è determinato dalle condizioni materiali di vita della vostra classe.
Questa concezione interessata, grazie alla quale voi trasformate i vostri rapporti di produzione e di proprietà, da rapporti storici com'essi sono, che appaiono e scompaiono nel corso della produzione, in leggi eterne della natura e della ragione, questa concezione voi l'avete in comune con tutte le classi dominanti scomparse. Ciò che voi comprendete quando si tratta della proprietà antica, ciò che voi comprendete quando si tratta della proprietà feudale, voi non potete più comprenderlo quando si tratta della proprietà borghese.
Abolizione della famiglia! Persino i più avanzati fra i radicali si scandalizzano di così ignominiosa intenzione dei comunisti.
Su che cosa si basa la famiglia odierna, la famiglia borghese? Sul capitale, sul guadagno privato. Nel suo pieno sviluppo la famiglia odierna esiste soltanto per la borghesia; ma essa trova il suo complemento nella forzata mancanza di famiglia dei proletari e nella prostituzione pubblica.
La famiglia dei borghesi cadrà naturalmente col venir meno di questo suo complemento, e ambedue scompariranno con lo sparire del capitale.
Ci rimproverate voi di voler abolire lo sfruttamento dei figli da parte dei loro genitori? Noi questo delitto lo confessiamo.
Ma voi dite che sostituendo l'educazione sociale all'educazione domestica noi sopprimiamo i legami più intimi.
Ma non è anche la vostra educazione determinata dalla società, dai rapporti sociali entro ai quali voi educate, dall'intervento diretto o indiretto della società per mezzo della scuola, ecc.? Non sono i comunisti che inventano l'influenza della società sulla educazione; essi ne cambiano soltanto il carattere; essi strappano l'educazione all'influenza della classe dominante.
Le declamazioni borghesi sulla famiglia e sull'educazione, sugli intimi rapporti fra i genitori e i figli diventano tanto più nauseanti, quanto più, per effetto della grande industria, viene spezzato per i proletari ogni legame di famiglia, e i fanciulli vengono trasformati in semplici articoli di commercio e strumenti di lavoro.
Ma voi comunisti volete la comunanza delle donne - ci grida in coro tutta la borghesia.
Il borghese vede nella propria moglie un semplice strumento di produzione. Egli sente che gli strumenti di produzione debbono essere sfruttati in comune e, naturalmente, non può fare a meno di pensare che la sorte dell'uso in comune colpirà anche le donne.
Egli non s'immagina che si tratta appunto di abolire la posizione delle donne come semplici strumenti di produzione.
Del resto, nulla è più ridicolo del moralissimo sgomento dei nostri borghesi per la pretesa comunanza ufficiale delle donne nel comunismo. I comunisti non hanno bisogno d'introdurre la comunanza delle donne: essa è quasi sempre esistita.
I nostri borghesi, non contenti di avere a loro disposizione le mogli e le figlie dei loro proletari - per non parlare della prostituzione ufficiale - trovano uno dei loro principali diletti nel sedursi scambievolmente le mogli.
Il matrimonio borghese è, in realtà, la comunanza delle mogli. Tutt'al più si potrebbe rimproverare ai comunisti di voler sostituire alla comunanza delle donne ipocritamente celata, una comunanza ufficiale, palese. Si comprende del resto benissimo che con l'abolizione degli attuali rapporti di produzione scompare anche la comunanza delle donne che ne risulta, vale a dire la prostituzione ufficiale e non ufficiale.
Si rimprovera inoltre ai comunisti di voler sopprimere la patria, la nazionalità.
Gli operai non hanno patria. Non si può toglier loro ciò che non hanno. Ma poiché il proletariato deve conquistarsi prima il dominio politico, elevarsi a classe nazionale46, costituirsi in nazione, è anch'esso nazionale, benché certo non nel senso della borghesia.
L'isolamento e gli antagonismi nazionali dei popoli vanno via via scomparendo con lo sviluppo della borghesia, con la libertà di commercio, col mercato mondiale, con l'uniformità della produzione industriale e con le condizioni di vita ad essa rispondenti.
Il dominio del proletariato li farà scomparire ancora di più. L'azione unita almeno nei paesi civili è una delle prime condizioni della sua emancipazione.
A misura che viene abolito lo sfruttamento di un individuo per opera di un altro, viene abolito lo sfruttamento di una nazione per opera di un'altra.
Con lo sparire dell'antagonismo fra le classi nell'interno delle nazioni47 scompare l'ostilità fra le nazioni stesse.
Le accuse che vengono mosse contro il comunismo partendo da considerazioni religiose, filosofiche e ideologiche in generale, non meritano d'essere più ampiamente esaminate.
Ci vuole forse una profonda perspicacia per comprendere che, cambiando le condizioni di vita degli uomini, i loro rapporti sociali e la loro esistenza sociale, cambiano anche le loro concezioni, i loro modi di vedere e le loro idee, in una parola, cambia anche la loro coscienza?
Che cos'altro dimostra la storia delle idee, se non che la produzione spirituale si trasforma insieme con quella materiale? Le idee dominanti di un'epoca furono sempre soltanto le idee della classe dominante.
Si parla di idee che rivoluzionano tutta una società; con ciò si esprime soltanto il fatto che in seno alla vecchia società si sono formati gli elementi di una società nuova, che con la dissoluzione dei vecchi rapporti di esistenza procede di pari passo il dissolvimento delle vecchie idee.
Quando il mondo antico stava per tramontare, le antiche religioni furono vinte dalla religione cristiana. Quando nel secolo XVIII le idee cristiane soggiacquero alle idee dell'illuminismo, la società feudale stava combattendo la sua lotta suprema con la borghesia, allora rivoluzionaria. Le idee di libertà di coscienza e di religione non furono altro che l'espressione del dominio della libera concorrenza nel campo della coscienza48.
"Ma - si dirà - non c'è dubbio che le idee religiose, morali, filosofiche, politiche, giuridiche, ecc. si sono modificate nel corso dell'evoluzione storica; la religione, la morale, la filosofia, la politica, il diritto però si mantennero sempre attraverso tutti questi mutamenti.''
"Ci sono, inoltre, verità eterne, come la libertà, la giustizia, ecc., che sono comuni a tutte le forme sociali. Il comunismo, invece, abolisce le verità eterne, abolisce la religione, la morale, in luogo di dar loro una forma nuova, e con ciò contraddice a tutta l'evoluzione storica verificatasi finora''.
A che cosa si riduce questa accusa? La storia di tutta la società si è svolta sinora attraverso antagonismi di classe, che nelle diverse epoche assunsero forme diverse.
Ma qualunque forma abbiano assunto tali antagonismi, lo sfruttamento di una parte della società per opera di un'altra è un fatto comune a tutti i secoli passati. Nessuna meraviglia, quindi, che la coscienza sociale di tutti i secoli, malgrado tutte le varietà e diversità, si muova in certe forme comuni, in forme di coscienza che si dissolvono completamente soltanto con la completa sparizione dell'antagonismo delle classi.
La rivoluzione comunista è la più radicale rottura coi rapporti di proprietà tradizionali; nessuna maraviglia, quindi, se nel corso del suo sviluppo si realizza la rottura più radicale con le idee tradizionali.
Ma lasciamo stare le obiezioni della borghesia contro il comunismo.
Abbiamo già visto sopra come il primo passo nella rivoluzione operaia sia l'elevarsi del proletariato a classe dominante, la conquista della democrazia.
Il proletariato si servirà della sua supremazia politica per strappare alla borghesia, a poco a poco, tutto il capitale, per accentrare tutti gli strumenti di produzione nelle mani dello Stato, vale a dire del proletariato stesso organizzato come classe dominante, e per aumentare, con la massima rapidità possibile, la massa delle forze produttive.
Naturalmente sulle prime tutto ciò non può accadere se non per via di interventi dispotici nel diritto di proprietà e nei rapporti borghesi di produzione, vale a dire con misure che appaiono economicamente insufficienti e insostenibili, ma che nel corso del movimento sorpassano sé stesse e spingono in avanti, e sono inevitabili come mezzi per rivoluzionare tutto il modo di produzione.
Com'è naturale, queste misure saranno diverse a seconda dei diversi paesi.
Per i paesi più progrediti, però, potranno quasi generalmente essere applicate le seguenti:
1. Espropriazione della proprietà fondiaria e impiego della rendita fondiaria per le spese dello Stato.
2. Imposta fortemente progressiva.
3. Abolizione del diritto di eredità.
4. Confisca della proprietà di tutti gli emigrati e ribelli.
5. Accentramento del credito nelle mani dello Stato per mezzo d'una banca nazionale con capitale di Stato e con monopolio esclusivo.
6. Accentramento di tutti i49 mezzi di trasporto nelle mani dello Stato.
7. Aumento delle fabbriche nazionali e degli strumenti di produzione, dissodamento e miglioramento dei terreni secondo un piano comune.
8. Eguale obbligo di lavoro per tutti, istituzione di eserciti industriali, specialmente per l'agricoltura.
9. Unificazione dell'esercito dell'agricoltura e di quello dell'industria, misure atte ad eliminare gradualmente l'antagonismo50 tra città e campagna.
10. Educazione pubblica e gratuita di tutti i fanciulli. Abolizione del lavoro dei fanciulli nelle fabbriche nella sua forma attuale. Unificazione dell'educazione e della produzione materiale, ecc.
Quando, nel corso dell'evoluzione, le differenze di classe saranno sparite e tutta la produzione sarà concentrata nelle mani degli individui associati, il potere pubblico perderà il carattere politico. Il potere politico, nel senso proprio della parola, è il potere organizzato di una classe per l'oppressione di un'altra. Se il proletariato, nella lotta contro la borghesia, si costituisce necessariamente in classe, e per mezzo della rivoluzione trasforma sé stesso in classe dominante e, come tale, distrugge violentemente i vecchi rapporti di produzione, esso abolisce, insieme con questi rapporti di produzione, anche le condizioni d'esistenza dell'antagonismo di classe e le classi in generale51, e quindi anche il suo proprio dominio di classe.
Al posto della vecchia società borghese con le sue classi e coi suoi antagonismi di classe subentra un'associazione nella quale il libero sviluppo di ciascuno è la condizione per il libero sviluppo di tutti.
 
III. Letteratura socialista e comunista

1) Il socialismo reazionario

a) Il socialismo feudale

Per la sua condizione storica, l'aristocrazia francese e inglese era chiamata a scrivere libelli contro la moderna società borghese. Nella rivoluzione francese del luglio 1830 e nel movimento per la riforma elettorale inglese52 l'aristocrazia era, ancora una volta, soggiaciuta all'odiata classe dei nuovi venuti. Non era più il caso di parlare di una seria lotta politica. Le rimaneva soltanto la lotta letteraria. Ma anche nel campo della letteratura il vecchio frasario del periodo della Restaurazione* [* Si allude non alla restaurazione inglese del 1660-1689, ma alla restaurazione francese del 1814-1830. Nota di Engels all'edizione inglese del 1888] era diventato impossibile. Per crearsi delle simpatie, l'aristocrazia doveva fingere di perder di vista i propri interessi e formulare il suo atto d'accusa contro la borghesia unicamente nell'interesse della classe operaia sfruttata. Si procurava così la soddisfazione di intonare canzoni ingiuriose contro i suoi nuovi padroni, e di sussurrar loro nell'orecchio profezie di più o meno sinistro contenuto.
In questo modo nacque il socialismo feudale, mezzo geremiade e mezzo pasquinata, per metà eco del passato, per metà minaccia del futuro, che talora colpisce al cuore la borghesia con giudizi amari e spiritosamente sarcastici, ma che è sempre di effetto comico per la totale sua incapacità di comprendere l'andamento della storia moderna.
Per tirarsi dietro il popolo, questi aristocratici sventolavano a guisa di bandiera la bisaccia da mendicante del proletariato. Ma ogni qualvolta il popolo li seguì, vide sulle loro parti posteriori impressi gli antichi blasoni feudali e si sbandò scoppiando in rumorose e irriverenti risate.
Una parte dei legittimisti francesi e la "Giovane Inghilterra'' offrirono questo allegro spettacolo53.
Quando i feudali dimostrano che il loro modo di sfruttamento era diverso nella forma dallo sfruttamento borghese, dimenticano soltanto che essi esercitavano il loro sfruttamento in circostanze e condizioni affatto diverse ed ora superate. Quando dimostrano che sotto il loro dominio non esisteva il proletariato moderno, dimenticano semplicemente che appunto la moderna borghesia è stato un necessario rampollo del loro ordinamento sociale.
Del resto essi nascondono così poco il carattere reazionario della loro critica, che la loro principale accusa contro la borghesia è precisamente quella che sotto il suo regime si sviluppa una classe che manderà per aria tutto quanto il vecchio ordinamento sociale.
Essi rimproverano alla borghesia non tanto di produrre un proletariato in generale, quanto di produrre un proletariato rivoluzionario.
Perciò nella prassi politica essi partecipano a tutte le misure di violenza contro la classe operaia, e nella vita di tutti i giorni si adattano, malgrado il loro gonfio frasario, a cogliere le mele d'oro54 e a barattare fedeltà, amore e onore con lana, barbabietola e acquavite* [* Ciò si riferisce particolarmente alla Germania, dove la nobiltà terriera e i grandi proprietari fondiari sfruttano la maggior parte dei loro beni per conto loro, mediante i loro amministratori, e in pari tempo sono anche grandi produttori di zucchero di barbabietola e fabbricanti di acquavite di patate. I più ricchi aristocratici inglesi sono per ora piuttosto al di sopra di questi costumi, ma anche essi sanno come si può rimpiazzare la rendita fondiaria in diminuzione prestando il proprio nome ai fondatori di società per azioni più o meno equivoche. Nota di Engels all'edizione inglese del 1888].
Come il prete andò sempre d'accordo coi feudali, così il socialismo clericale va d'accordo col socialismo feudale.
Nulla di più facile che dare all'ascetismo cristiano una vernice socialista. Il cristianesimo non ha forse inveito anche contro la proprietà privata, contro il matrimonio, contro lo Stato? Non ha forse predicato in loro sostituzione la beneficenza e la mendicità, il celibato e la mortificazione della carne, la vita claustrale e la Chiesa? Il socialismo sacro55 è soltanto l'acqua santa con la quale il prete benedice il dispetto degli aristocratici.

b) Il socialismo piccolo-borghese

L'aristocrazia feudale non è la sola classe che sia stata rovesciata dalla borghesia, che abbia visto le proprie condizioni di vita paralizzarsi e morire nella moderna società borghese. I borghigiani medievali e il piccolo ceto rustico furono i precursori della borghesia moderna. Nei paesi in cui il commercio e l'industria sono meno sviluppati, questa classe vegeta ancora accanto alla borghesia che sta sviluppandosi.
Nei paesi dove la civiltà moderna si è sviluppata, si è formata una nuova piccola borghesia, che oscilla tra il proletariato e la borghesia e si viene sempre ricostituendo come parte integrante della società borghese, i cui componenti però, continuamente ricacciati nel proletariato per effetto della concorrenza, per lo sviluppo stesso della grande industria, vedono avvicinarsi il tempo in cui spariranno completamente come parte autonoma della società odierna e saranno sostituiti nel commercio, nella manifattura e nell'agricoltura da ispettori e agenti salariati.
In paesi come la Francia, dove la classe rurale forma più di metà della popolazione, era naturale che gli scrittori i quali scendevano in campo contro la borghesia a favore del proletariato applicassero nella loro critica del regime borghese la scala del piccolo borghese o del piccolo possidente contadino, e che pigliassero partito per gli operai dal punto di vista della piccola borghesia. Si formò così il socialismo piccolo-borghese. Sismondi56 è il capo di questa letteratura non soltanto per la Francia, ma anche per l'Inghilterra.
Questo socialismo analizzò molto acutamente le contraddizioni esistenti nei moderni rapporti di produzione. Esso mise a nudo gli eufemismi ipocriti degli economisti. Esso dimostrò in modo incontestabile gli effetti deleteri dell'introduzione delle macchine e della divisione del lavoro, la concentrazione dei capitali e della proprietà fondiaria, la sovrapproduzione, le crisi, la rovina inevitabile dei piccoli borghesi e dei piccoli contadini, la miseria del proletariato, l'anarchia della produzione, le stridenti sproporzioni nella distribuzione della ricchezza, la guerra di sterminio industriale fra le nazioni, il dissolversi degli antichi costumi, degli antichi rapporti di famiglia, delle antiche nazionalità.
Quanto al suo contenuto positivo, però, questo socialismo, o vuole ristabilire i vecchi mezzi di produzione e di scambio e con essi i vecchi rapporti di proprietà e la vecchia società, oppure vuole per forza imprigionare di nuovo i moderni mezzi di produzione e di scambio nel quadro dei vecchi rapporti di proprietà ch'essi hanno spezzato e che non potevano non spezzare. In ambo i casi esso è ad un tempo reazionario e utopistico.
Le corporazioni nella manifattura e l'economia patriarcale nell'agricoltura, queste sono le sue ultime parole.
Nella sua evoluzione ulteriore questa scuola finisce in un vile piagnisteo57.

c) Il socialismo tedesco o il "vero'' socialismo

La letteratura socialista e comunista della Francia, nata sotto la pressione di una borghesia dominatrice ed espressione letteraria della lotta contro questo dominio, fu importata in Germania in un periodo in cui la borghesia aveva appena incominciato la sua lotta contro l'assolutismo feudale.
Filosofi, semifilosofi e begli spiriti tedeschi s'impadronirono avidamente di questa letteratura e dimenticarono semplicemente che con gli scritti francesi non erano in pari tempo passate in Germania le condizioni della vita francese. In rapporto alle condizioni tedesche la letteratura francese perdette ogni significato pratico immediato e assunse un aspetto puramente letterario. Essa doveva apparire come un'oziosa speculazione sulla vera società58, sulla realizzazione della natura umana. Similmente pei filosofi tedeschi del secolo XVIII le rivendicazioni della prima Rivoluzione francese avevano semplicemente avuto il senso di rivendicazioni della "ragion pratica'' in generale, e le affermazioni della volontà della borghesia francese rivoluzionaria avevano assunto ai loro occhi il significato di leggi del puro volere, del volere quale deve essere, della vero volere umano.
Il lavoro dei letterati tedeschi consistette esclusivamente nel metter d'accordo le nuove idee francesi con la loro vecchia coscienza filosofica o piuttosto nell'appropriarsi le idee francesi dal loro punto di vista filosofico.
Questa appropriazione si compì nello stesso modo in cui ci si appropria in generale di una lingua straniera: traducendo.
È noto come i monaci scrivessero insipide storie cattoliche di santi su manoscritti contenenti le opere classiche dell'antico mondo pagano. I letterati tedeschi procedettero in senso inverso con la letteratura profana francese. Scrissero le loro assurdità filosofiche sotto all'originale francese. Per esempio, sotto la critica francese dei rapporti monetari scrissero "alienazione della natura umana'', sotto alla critica francese dello Stato borghese scrissero "superamento del dominio dell'universale astratto'', ecc.
La interpolazione di questa fraseologia filosofica agli svolgimenti del pensiero francese fu da essi battezzata per "filosofia dell'azione'', "vero socialismo'', "scienza tedesca del socialismo'', "dimostrazione filosofica del socialismo'', ecc.
Così la letteratura francese socialista-comunista venne letteralmente castrata. E siccome in mano ai tedeschi essa cessò di esprimere la lotta di una classe contro un'altra, i letterati tedeschi erano convinti d'aver superato la "unilateralità francese'', d'aver difeso, invece di bisogni veri, il bisogno della verità, e invece degli interessi del proletariato, gli interessi dell'essere umano, dell'uomo in generale, dell'uomo che non appartiene a nessuna classe, anzi che non appartiene neppure alla realtà, ma solo al cielo vaporoso della fantasia filosofica.
Questo socialismo tedesco, che pigliava così solennemente sul serio i suoi goffi esercizi scolastici strombazzandoli all'uso dei saltimbanchi, perdette a poco a poco la sua innocenza pedantesca.
La lotta della borghesia tedesca, massime prussiana, contro i feudali e la monarchia assoluta, in una parola, il movimento liberale, si fece più serio.
Al "vero'' socialismo si offrì così l'auspicata occasione di contrapporre al movimento politico le rivendicazioni socialiste, di lanciare i tradizionali anatemi contro il liberalismo, contro lo Stato rappresentativo, contro la concorrenza borghese, la libertà di stampa borghese, il diritto borghese, la libertà e l'uguaglianza borghesi, e di predicare alle masse come esse non avessero niente da guadagnare da questo movimento borghese, ma piuttosto tutto da perdere. Molto a proposito il socialismo tedesco dimenticò che la critica francese, di cui esso non era se non una eco meschina, presupponeva la moderna società borghese con le corrispondenti condizioni materiali di vita e la corrispondente costituzione politica, tutte premesse che in Germania bisognava ancora conquistare.
Esso servì ai governi tedeschi assoluti, col loro seguito di preti, maestri di scuola, gentiluomini di campagna e burocrati, come un utile spauracchio contro la borghesia che si levava minacciosa.
Esso fu il complemento dolciastro delle amare sferzate e delle fucilate con cui quei governi accoglievano le sommosse degli operai tedeschi.
Se in tal modo il "vero'' socialismo divenne un'arma in mano dei governi contro la borghesia tedesca, esso rappresentava anche immediatamente un interesse reazionario, l'interesse della piccola borghesia tedesca59. In Germania la piccola borghesia, trasmessa dal secolo XVI e sempre d'allora in poi rinascente in forme diverse, costituisce la vera base sociale delle attuali condizioni del paese.
La sua conservazione significa conservazione delle presenti condizioni della Germania. Questa piccola borghesia teme che il dominio industriale e politico della borghesia le arrechi una sicura rovina, da un lato in conseguenza del concentramento del capitale, dall'altro lato in conseguenza del sorgere di un proletariato rivoluzionario. Il "vero'' socialismo le sembrò ottimo espediente per prendere due piccioni con una fava. Ed esso si diffuse come una epidemia.
Il manto ordito su una ragnatela speculativa, ricamato di spiritosi fiori oratori e stillante dolce rugiada sentimentale febbricitante di amore, questo manto di mistico entusiasmo, nelle cui pieghe i socialisti tedeschi nascondevano le loro quattro stecchite "verità eterne'', servì solo ad aumentare lo spaccio della loro merce in mezzo a un tal pubblico.
Dal canto suo il socialismo tedesco riconobbe sempre meglio la sua missione, che era quella di essere l'ampolloso rappresentante di questa piccola borghesia.
Esso proclamò che la nazione tedesca è la nazione normale e il piccolo borghese60 tedesco l'uomo normale. Ad ogni bassezza di questo uomo dette un significato nascosto, sublime, socialista, in modo che apparisse il contrario di quel che era. Conseguente sino all'ultimo, prese direttamente posizione contro la tedenza "brutalmente distruttiva'' del comunismo, e si proclamò imparzialmente superiore a ogni lotta di classe. Salvo pochissime eccezioni, tutti gli scritti pretesi socialisti e comunisti che circolano in Germania appartengono a questa letteratura sordida e snervante* [* La bufera rivoluzionaria del 1848 ha spazzato via tutta questa sordida scuola e tolto ai suoi rappresentanti ogni voglia di continuare a fare del socialismo. Il rappresentante principale e il tipo classico di questa scuola è il sig. Karl Grün. Nota di Engels all'edizione tedesca del 1890].

2) Il socialismo conservatore o borghese
Una parte della borghesia desidera di portar rimedio ai mali della società per assicurare l'esistenza della società borghese.
Ne fanno parte gli economisti, i filantropi, gli umanitari, gli zelanti del miglioramento delle condizioni delle classi operaie, gli organizzatori della beneficenza, i membri delle società protettrici degli animali, i fondatori di società di temperanza e tutta la variopinta schiera dei minuti riformatori. Di questo socialismo borghese si sono elaborati persino dei veri sistemi.
Citiamo ad esempio la "Philosophie de la misère'' di Proudhon61.
I borghesi socialisti vogliono le condizioni di vita della società moderna senza le lotte e i pericoli che necessariamente ne risultano. Vogliono la società attuale senza gli elementi che la rivoluzionano e la dissolvono. Vogliono la borghesia senza il proletariato. È naturale che la borghesia ci rappresenti il mondo dove essa domina come il migliore dei mondi. Il socialismo borghese trae da questa consolante rappresentazione un mezzo sistema o anche un sistema completo. Ma quando invita il proletariato a mettere in pratica i suoi sistemi se vuole entrare nella nuova Gerusalemme, gli domanda, in fondo, soltanto di restare nella società presente, ma di rinunciare alla odiosa rappresentazione che si fa di essa.
Una seconda forma di questo socialismo, meno sistematica ma più pratica, ha cercato di distogliere la classe operaia da ogni moto rivoluzionario, dimostrando che ciò che le può giovare non è questo o quel cambiamento politico, ma soltanto un cambiamento delle condizioni materiali di vita, dei rapporti economici. Questo socialismo però non intende menomamente per cambiamento delle condizioni materiali di vita l'abolizione dei rapporti di produzione borghesi, che può conseguire soltanto per via rivoluzionaria, ma dei miglioramenti amministrativi realizzati sul terreno di questi rapporti di produzione, che cioè non cambino affatto il rapporto tra capitale e lavoro salariato, ma, nel migliore dei casi, diminuiscano alla borghesia le spese del suo dominio e semplifichino l'assetto della sua finanza statale.
Questo socialismo borghese raggiunge la sua più esatta espressione quando diventa semplice figura retorica.
Libero commercio! nell'interesse della classe operaia; dazi protettivi! nell'interesse della classe operaia; carcere cellulare! nell'interesse della classe operaia: ecco l'ultima, la sola parola seriamente pensata del socialismo borghese.
Il loro socialismo consiste appunto nel sostenere che i borghesi sono borghesi - nell'interesse della classe operaia.

3) Il socialismo e il comunismo
critico-utopistici
Non parliamo qui della letteratura che in tutte le grandi rivoluzioni moderne enunciò le rivendicazioni del proletariato (scritti di Babeuf62, ecc.).
I primi tentativi fatti dal proletariato per far valere direttamente il suo proprio interesse di classe in un tempo di fermento generale, nel periodo del rovesciamento della società feudale, dovevano di necessità fallire, sia per il difetto di sviluppo del proletariato, sia per la mancanza di quelle condizioni materiali della sua emancipazione, le quali non possono essere che il prodotto dell'epoca borghese. La letteratura rivoluzionaria che accompagnò questi primi moti del proletariato è, per il suo contenuto, necessariamente reazionaria. Essa insegna un ascetismo universale e una rozza tendenza a tutto uguagliare.
I sistemi socialisti e comunisti propriamente detti, i sistemi di Saint-Simon63, di Fourier64, di Owen65, ecc., appaiono nel primo e poco sviluppato periodo della lotta fra proletariato e borghesia che abbiamo esposto sopra (si veda "Borghesia e proletariato'').
Gli inventori di questi sistemi ravvisano bensì il contrasto fra le classi e l'azione degli elementi dissolventi nella stessa società dominante, ma non scorgono dalla parte del proletariato nessuna funzione storica autonoma, nessun movimento politico che gli sia proprio.
Siccome gli antagonismi di classe si sviluppano di pari passo con lo sviluppo dell'industria, gli autori di questi sistemi non trovano neppure le condizioni materiali per l'emancipazione del proletariato e vanno in cerca, per crearle, di una scienza sociale e di legge sociali.
Al posto dell'azione sociale deve subentrare la loro azione inventiva personale; al posto delle condizioni storiche dell'emancipazione, condizioni fantastiche; al posto del graduale organizzarsi del proletariato come classe, una organizzazione della società escogitata di sana pianta. La storia universale dell'avvenire si risolve per essi nella propaganda e nella esecuzione pratica dei loro piani sociali.
Essi, è vero, sono coscienti di patrocinare nei loro progetti principalmente gli interessi della classe operaia come classe che soffre più di tutte le altre; ma il proletariato esiste per loro soltanto sotto l'aspetto di classe che soffre più di tutte.
La forma non sviluppata della lotta fra le classi e le loro personali condizioni di esistenza hanno come conseguenza che essi si credono di gran lunga superiori a questo antagonismo di classe. Essi vogliono migliorare le condizioni d'esistenza di tutti i membri della società, anche dei più favoriti. Perciò fanno appello continuamente a tutta la società senza distinzione, anzi, si rivolgono di preferenza alla classe dominante. Basta, secondo loro, capire il loro sistema per riconoscere che è il miglior piano possibile della società migliore possibile.
Essi respingono quindi ogni azione politica, e specialmente ogni azione rivoluzionaria, vogliono raggiungere il loro scopo con mezzi pacifici, e cercano, con piccoli e perciò inani esperimenti, di aprir la strada al nuovo vangelo sociale colla potenza dell'esempio.
Questa descrizione fantastica della società futura scaturisce in un momento in cui il proletariato è ancora pochissimo sviluppato, cosicché esso stesso si rappresenta in modo ancora fantastico la sua propria posizione, dal suo primo impulso, pieno di presentimenti, verso una trasformazione generale della società.
Questi scritti socialisti e comunisti contengono però anche degli elementi critici. Essi attaccano tutte le basi della società esistente; perciò hanno fornito elementi di grandissimo valore per illuminare gli operai. Le loro affermazioni positive sopra la società futura, per esempio l'abolizione del contrasto fra città e campagna, della famiglia, del guadagno privato, del lavoro salariato, l'annuncio dell'armonia sociale, la trasformazione dello Stato in una semplice amministrazione della produzione - tutte queste loro affermazioni esprimono soltanto lo sparire del contrasto fra le classi, che comincia appena a svilupparsi proprio in quel momento e che essi conoscono appena nella sua prima indeterminatezza rudimentale. Perciò queste affermazioni stesse hanno ancora un senso puramente utopistico.
L'importanza del socialismo e del comunismo critico-utopistici è in ragione inversa allo sviluppo storico. A misura che la lotta fra le classi si sviluppa e prende forma, questo fantastico elevarsi al di sopra di essa, questo fantastico combatterla perde ogni valore pratico, ogni giustificazione teorica. Perciò, anche se gli autori di questi sistemi erano per molti aspetti rivoluzionari, i loro scolari formano delle sette reazionarie. Essi tengono fermo alle vecchie opinioni dei maestri, in opposizione al progressivo sviluppo storico del proletariato. Essi cercano perciò logicamente di smussare di nuovo la lotta di classe e di conciliare i contrasti. Sognano ancor sempre la realizzazione sperimentale delle loro utopie sociali, la formazione di singoli falansteri, la fondazione di colonie in patria, l'edificazione di una piccola Icaria* [*Falanstero era la designazione delle colonie socialiste progettate da Charles Fourier; Étienne Cabet66 chiamava Icaria la sua utopia e poi le sue colonie comuniste in America. Nota di Engels all'edizione inglese del 1888.
Home-colonies (Colonie in patria) così Robert Owen chiamava le sue società modello comuniste. Falanstero era il nome dei palazzi sociali ideati da Fourier. Icaria si chiamava il fantastico paese utopistico, le cui istituzioni comuniste vennero descritte da Cabet. Nota di Engels all'edizione tedesca del 1890] - edizione in dodicesimo della nuova Gerusalemme - e per la costruzione di tutti questi castelli in aria fanno appello alla filantropia dei cuori e delle tasche borghesi. A poco a poco essi cadono nella categoria dei socialisti reazionari o conservatori da noi descritti più sopra, e si distinguono da essi soltanto per una pedanteria più sistematica, per la fede fanatica e superstiziosa nella virtù miracolosa della loro scienza sociale.
Essi si oppongono perciò con accanimento a ogni movimento politico degli operai, il quale non potrebbe provenire, secondo loro, che da una cieca incredulità nel nuovo vangelo.
Gli owenisti in Inghilterra, i fourieristi in Francia, reagiscono gli uni contro i cartisti67, gli altri contro i riformisti68.

 
IV. Posizione dei comunisti rispetto ai diversi partiti d'opposizione

Da quanto abbiamo detto nel II capitolo si comprende da sé quali siano i rapporti dei comunisti verso i partiti operai già costituiti, e quindi anche verso i cartisti in Inghilterra e i riformatori agrari69 nell'America del Nord.
I comunisti lottano per raggiungere gli scopi e gli interessi immediati della classe operaia, ma nel moto presente rappresentano in pari tempo l'avvenire del movimento stesso. In Francia i comunisti si uniscono al partito socialista democratico* [* Partito che era allora rappresentato nel parlamento da Ledru-Rollin, nella letteratura da Louis Blanc e nella stampa quotidiana dalla "Réforme''. Il termine socialdemocrazia indicava, per questi suoi inventori, quella parte del partito democratico repubblicano che aveva una sfumatura più o meno socialista. Nota di Engels alla edizione inglese del 1888.
Quello che allora in Francia si chiamava partito socialista democratico era rappresentato in politica da Ledru-Rollin e in letteratura da Louis Blanc; era dunque lontano come il cielo dalla terra dall'odierna socialdemocrazia tedesca. Nota di Engels alla edizione tedesca del 1890]
contro la borghesia conservatrice e radicale, senza rinunciare perciò al diritto di serbare un contegno critico di fronte alle frasi e illusioni derivanti dalla tradizione rivoluzionaria.
In Svizzera sostengono i radicali, senza disconoscere che questo partito è composto di elementi contraddittori, e cioè in parte di socialisti democratici nel senso francese, in parte di radicali borghesi.
Fra i polacchi i comunisti appoggiano il partito che mette come condizione del riscatto nazionale una rivoluzione agraria; quello stesso partito che suscitò l'insurrezione di Cracovia nel 184670.
In Germania il Partito comunista lotta insieme colla borghesia, ogni qualvolta questa prende una posizione rivoluzionaria contro la monarchia assoluta, contro la proprietà fondiaria feudale e contro la piccola borghesia reazionaria.
Esso però non cessa nemmeno un istante di sviluppare fra gli operai una coscienza quanto più è possibile chiara dell'antagonismo e dell'inimicizia esistenti fra borghesia e proletariato, affinché gli operai tedeschi siano in grado di servirsi subito delle condizioni sociali e politiche che la borghesia deve introdurre insieme col suo dominio, come di altrettante armi contro la borghesia, e affinché dopo la caduta delle classi reazionarie in Germania subito si inizi la lotta contro la borghesia stessa.
Sulla Germania i comunisti rivolgono specialmente la loro attenzione, perché la Germania è alla vigilia della rivoluzione borghese, e perché essa compie tale rivoluzione in condizioni di civiltà generale europea più progredite e con un proletariato molto più sviluppato che non avessero l'Inghilterra nel secolo XVII e la Francia nel XVIII; per cui la rivoluzione borghese tedesca non può essere che l'immediato preludio di una rivoluzione proletaria.
In una parola, i comunisti appoggiano dappertutto ogni moto rivoluzionario contro le condizioni sociali e politiche esistenti.
In tutti questi moti essi mettono avanti sempre la questione della proprietà, abbia essa raggiunto una forma più o meno sviluppata, come la questione fondamentale del movimento.
I comunisti finalmente lavorano all'unione e all'intesa dei partiti democratici di tutti i paesi.
I comunisti sdegnano di nascondere le loro opinioni e le loro intenzioni. Essi dichiarano apertamente che i loro scopi non possono esser raggiunti che con l'abbattimento violento di ogni ordinamento sociale esistente. Tremino pure le classi dominanti davanti ad una rivoluzione comunista. I proletari non hanno nulla da perdere in essa fuorché le loro catene. E hanno un mondo da guadagnare.

 
Proletari di tutti i paesi, unitevi!

Scritto da K. Marx e da F. Engels in tedesco, nel dicembre 1847 - gennaio 1848.
Pubblicato la prima volta a Londra nel febbraio 1848.
 



NOTE
1. La rivoluzione del febbraio 1848 a Parigi.
2. Il numero indicato di "almeno dodici diverse ristampe'', è approssimativo (come scriverà lo stesso Engels nella prefazione al "Manifesto'' del 1888).
3. Bakunin Michail Aleksandrovic (1814-1876), ideologo dell'anarchismo. Avversario acerrimo del marxismo, condusse un'accanita lotta di frazione contro il Consiglio generale della I Internazionale, diretto da Marx. Fu espulso dall'Internazionale per la sua attività disorganizzatrice.
4. Questa edizione apparve in realtà nel 1869.
5. Lo zar Alessandro III, per paura di nuovi attentati, dopo l'assassinio del padre Alessandro II da parte dei terroristi il 13 maggio 1881, si rifugiò nel castello della Gac§ina, nei pressi di Pietroburgo.
6. Marx morì il 14 marzo 1883 a Londra e fu sepolto il 17 marzo nel cimitero londinese di Highgate.
7. Proudhon Pierre Joseph (1809-1865), sociologo ed economista francese, ideologo piccolo borghese, uno dei fondatori dell'anarchismo.
8. Vedi nota 4.
9. Nell'appendice (del 1894) al suo articolo "Soziales aus Russland'' (Le relazioni sociali in Russia), Engels attribuisce questa traduzione a Plechanov. Questi, nell'edizione russa del 1900 del "Manifesto'', dichiara di essere l'autore della traduzione.
10. Nel testo, per errore, era scritto: 1886.
11. Owen Robert (1771-1858), comunista utopista inglese, fondatore del movimento cooperativo. Vedi anche nota di Engels a pag. 54 del presente volume.
12. Fourier François Marie Charles (1772-1837), comunista utopista francese. Vedi anche nota di Engels a pag. 54 del presente volume.
13. Cabet Étienne (1788-1856), comunista utopista francese, autore del "Viaggio in Icaria''. Vedi anche nota di Engels a pag. 54 del presente volume.
14. Weitling Wilhelm (1808-1871), comunista utopista tedesco; influenzato dal fourierismo, fautore dell'egualitarismo. Si staccò da Marx ed Engels difendendo ostinatamente le sue concezioni utopistiche.
15. Qui nel senso di piccola borghesia.
16. Darwin Charles Robert (1809-1882), grande naturalista inglese, fondatore della moderna dottrina dell'origine e dell'evoluzione delle specie vegetali e animali, dottrina che prese il nome di "evoluzionismo''.
17. Engels cita qui dall'edizione inglese della "Guerra civile in Francia'', mentre nella Prefazione del 1872 citava dall'edizione tedesca della stessa opera.
18. Engels si riferisce alla prefazione alla precedente edizione tedesca (1883).
19. Vedi nota 9.
20. Viene riportato a questo punto da Engels il testo integrale della Prefazione all'edizione russa del 1882, qui omesso. Il testo originale, che Engels riteneva fosse andato perduto, è stato ritrovato in anni recenti.
21. Vedi nota 10.
22. La Polonia, così com'era stata suddivisa (fra Austria, Prussia e "Regno di Polonia'' unito all'impero russo) nel congresso di Vienna del 1815.
23. Bonaparte Luigi (Napoleone III), (1808-1873), imperatore francese dal 1852 al 1870.
24. Bismarck Otto von (1815-1898), primo cancelliere dell'impero tedesco (1871-1890). Rappresentante dei grandi proprietari fondiari prussiani. Realizzò l'unità della Germania seguendo un cammino reazionario. Emanò le leggi eccezionali contro i socialisti.
25. Questo proemio fu scritto da Engels in francese per l'edizione del "Manifesto del Partito comunista'', pubblicata a Milano nel 1893. Nella traduzione italiana del 1893 porta la data del 1° febbraio.
26. Il riferimento è a Pio IX che aveva condannato il comunismo con l'enciclica "Qui pluribus'' del 1846.
27. Il riferimento è a Nicola I che aveva represso nel sangue l'insurrezione di Varsavia nel 1830-31, e aveva inviato truppe russe per la repressione dell'insurrezione di Cracovia del 1846.
28. Metternich Clemens Wenzel Lothar (1773-1859), ministro degli esteri nel governo dell'impero austro-ungarico dal 1809 al 1821 e Cancelliere di Stato dal 1821 al 1848. Fu uno dei promotori della Santa Alleanza stabilita nel 1815 dopo la caduta di Napoleone, tra lo zar Alessandro I, l'imperatore d'Austria e il re di Prussia per combattere in Europa le tendenze liberali e sostenere il potere assolutistico della monarchia.
29. Guizot François Pierre Guillaume (1787-1874), storico ed uomo di Stato di orientamento monarchico del periodo della restaurazione e del regno di Luigi Filippo. Diresse tra il 1840 e il 1848 la politica interna ed estera francese.
30. Nell'edizione del 1872 e quelle successive le parole "alle fiabe'' sono sostituite con "alla fiaba''.
31. Nell'edizione tedesca del 1890 manca l'ultima frase della nota di Engels.
32. Nell'edizione inglese del 1888, riveduta da Engels, sono qui aggiunte le parole: di questa classe.
33. Nell'edizione inglese del 1888 sono qui aggiunte le parole: come in Italia e in Germania.
34. Nell'edizione inglese del 1888 sono qui aggiunte le parole: come in Francia.
35. Nell'edizione tedesca del 1890 la parola "precedenti'' è sostituita con "altre''.
36. Nell'edizione del 1872 e quelle successive sono omesse le parole: della civiltà borghese e.
37. Nell'edizione del 1872 e quelle successive la parola "operaio'' è sostituita con "gli operai''.
38. Marx correggerà in seguito questa espressione sviluppando la teoria del plus-valore, e sostituirà a "valore del lavoro'' "valore della forza lavoro''. Vedi quanto Engels scrive nella prefazione a "Lavoro salariato e capitale'' di Marx.
39. Nell'edizione inglese del 1888 le parole "la quantità'' sono sostituite con "il peso''.
40. Nell'edizione del 1872 e quelle successive sono omesse le parole: e dei fanciulli.
41. Nell'edizione inglese del 1888 sono qui aggiunte le parole: Trades' Unions.
42. Nell'edizione inglese del 1888 sono qui aggiunte le parole: politica e generale.
43. Nell'edizione inglese del 1888 le parole "una massa di elementi della loro educazione'' sono sostituite con "nuovi elementi di istruzione e di progresso''.
44. Nelle traduzioni francese e inglese la parola "particolari'' è sostituita con "settari''.
45. Nell'edizione inglese del 1888 le parole "degli uni per opera degli altri'' sono sostituite con "della maggioranza per opera della minoranza''.
46. Nell'edizione inglese del 1888 le parole "a classe nazionale'' sono sostituite con "a classe dirigente della nazione''.
47. Nell'edizione del 1872 e quelle successive le parole "delle nazioni'' sono sostituite con "della nazione''.
48. Nell'edizione del 1872 e quelle successive le parole "della coscienza'' sono sostituite con "del sapere''.
49. Nell'edizione del 1872 e quelle successive le parole "di tutti i'' sono sostituite con "dei''.
50. Nell'edizione del 1872 e quelle successive la parola "antagonismo'' è sostituita con "differenza''.
51. Nell'edizione del 1872 e quelle successive la frase è così sostituita: esso abolisce insieme con questi rapporti di produzione le condizioni di esistenza dell'antagonismo di classe, liquida le classi in generale e quindi anche il suo proprio dominio come classe.
52. La legge di riforma (Reform Bill) dell'aprile 1832, che allargava l'elettorato inglese.
53. I legittimisti erano il partito della nobiltà fondiaria e fautori della restaurazione della dinastia dei Borboni, cacciati dal trono di Francia dalla rivoluzione del luglio 1830, e sostituiti dagli Orléans. La "Giovane Inghilterra'' era una frazione del partito conservatore inglese, formatasi attorno al 1842. I suoi rappresentanti più in vista erano Disraeli, Tommaso Carlyle, ecc.
54. Nell'edizione inglese del 1888 alle parole "le mele d'oro'' seguono le parole "che cadono dall'albero dell'industria''.
55. Nell'edizione del 1872 e quelle successive la parola "cristiano'' è sostituita con "sacro''.
56. Sismondi Jean Charles Sismonde de (1773-1842), economista svizzero, critico piccolo borghese del capitalismo.
57. Nell'edizione inglese del 1888 la frase recita: Infine, quando i testardi fatti storici ebbero cacciato ogni ebbrezza dell'illusione, questa forma di socialismo degenerò in un miserabile piagnisteo.
58. Nelle edizioni successive a quella del 1872 sono omesse le parole: sulla vera società.
59. Nell'edizione inglese del 1888 le parole "della piccola borghesia tedesca'' sono sostituite con "dei filistei tedeschi''.
60. Nell'edizione inglese del 1888 le parole "piccolo borghese'' sono sostituite con "filisteo''.
61. Vedi nota 7.
62. Babeuf François Noël (1760-1797), comunista utopista francese, teorico dell'egualitarismo, fondatore nel 1796 dell'organizzazione segreta "Congiura degli Eguali'' che si proponeva di prendere il potere e instaurare una società comunistica.
63. Saint-Simon Claude Henri (1760-1825), comunista utopista francese.
64. Vedi nota 12.
65. Vedi nota 11.
66. Vedi nota 13.
67. I cartisti erano i sostenitori della Carta del popolo (1837), documento programmatico del primo movimento politico indipendente del proletariato inglese contenente una serie di rivendicazioni, tra cui quella del suffragio universale, della rielezione annuale del parlamento, dell'indennità parlamentare, del voto segreto e della parità dei collegi elettorali. Il movimento cartista ebbe la sua epoca di maggior fioritura politica e organizzativa nel periodo del decennio 1838-1848.
68. Con "riformisti'' si intendevano i gruppi facenti capo al giornale "La Réforme'' (1843-1850), redatto da Ferdinand Flocon e Alexandre-Auguste Ledru-Rollin.
69. Gli "agrarian reformers'' americani, negli anni '40, chiedevano la distribuzione della terra non coltivata (o già coltivata direttamente) ai lavoratori poveri, a titolo gratuito.
70. Il partito dei democratici che diresse l'insurrezione nei territori polacchi per la liberazione della Polonia. Dopo la sconfitta dell'insurrezione, Cracovia venne ceduta all'Austria, in seguito ad un trattato tra Austria, Prussia e Russia.