Studiare la lotta del PMLI contro il revisionismo italiano (vai al documento)

A vent'anni dalla liquidazione del PCI revisionista, avvenuta al XX Congresso celebrato al Palacongressi di Rimini dal 31 gennaio al 3 febbraio 1991, i media ritornano a parlare delle vicende di quel partito. Prendendo spunto dalla mostra sui 70 anni del PCI, allestita a Roma dall'Istituto Gramsci in occasione dell'anniversario della sua fondazione avvenuta il 21 gennaio 1921 a Livorno.
Scopo di questa mostra è di dimostrare che il PCI era un partito riformista, almeno dalla cosiddetta svolta di Salerno effettuata da Togliatti nel 1944. In ogni caso, i promotori e i rinnegati del comunismo come d'Alema, ci tengono a specificare che il "comunismo" del PCI non aveva nulla a che fare con quello di Lenin e Stalin.
Perché la sua bandiera è sempre stata quella dello Stato di diritto borghese e della Costituzione del '48.
Una Costituzione borghese, tra l'altro ormai carta straccia per il federalismo in via di totale completamento, per il presidenzialismo imperante in tutti i livelli governativi e istituzionali e per le relazioni industriali neocorporative mussoliniane restaurate da Marchionne, che è considerata l'Alfa e l'Omega anche dai partiti falsi comunisti derivati dal PCI.
Finché erano vivi Lenin, Stalin e Mao invece i dirigenti del PCI e i loro media sostenevano che esso era un vero partito comunista e che lottava per il socialismo.
Sulla base degli insegnamenti di Mao e spinti dall'esempio della Grande Rivoluzione Culturale proletaria cinese, in Italia i primi a denunciare la natura revisionista, riformista, borghese, controrivoluzionaria e anticomunista del PCI sono stati, nel '67, i primi quattro pionieri del PMLI e via via le compagne e i compagni che si sono uniti a loro per fondare nel dicembre '69 l'OCBI m-l e il 9 Aprile 1977 il PMLI. Un'accanita lotta ideologica e politica di smascheramento, che è terminata con la fine del PCI che si è autodissolto.
Il documento del Comitato centrale del PMLI, che porta la data del 21 gennaio 1991, dal titolo "È finito un inganno durato 70 anni", che ripubblichiamo qui di seguito, traccia un bilancio di classe e marxista-leninista della storia del PCI.
Chi ama il socialismo e il comunismo e la verità storica non può non leggerlo attentamente e trarne i dovuti insegnamenti.
Il documento fu diffuso a migliaia di copie all'apertura del XX Congresso del PCI davanti al Palacongressi da una folta delegazione del PMLI guidata dal compagno Dario Granito e composta da dirigenti nazionali e militanti di ambo i sessi e di diversa età, da fondatori e da nuovi militanti del Partito provenienti da città diverse del Nord, del Centro e del Sud. Tra essi c'erano le compagne Monica Martenghi, Nerina "Lucia" Paoletti, Claudia Del Decennale, Antonella Casalini e Cinzia Giaccherini e i compagni Ferruccio Panico, Alessandro Casalini, Franco Panzarella, Franco Dreoni e Simone Malesci, allora Responsabile della Commissione giovanile del CC del PMLI. Quest'ultimo venne intervistato da Rai 3, ma il servizio non fu mandato in onda. Queste alcune delle sue parole: "La storia del proletariato italiano non finisce qui, ma continua col PMLI. Ciò significa che il PMLI, che è nato 14 anni fa e non 6 mesi fa in opposizione alla Quercia, si propone come alternativa di classe e intende guidare la classe operaia e i lavoratori verso il socialismo".
Come ha detto il compagno Giovanni Scuderi, nel suo importante editoriale del n. 47/10 de "Il Bolscevico" dal titolo "La falsa autocritica del rinnegato revisionista Deng Xiaoping, colui che ha restaurato il capitalismo in Cina", "l'elaborazione antirevisionista del PMLI è andata alle radici del revisionismo italiano che stanno nel pensiero di Gramsci e costituisce un prezioso patrimonio storico del Partito. Tale elaborazione devono studiare attentamente i nuovi militanti e simpatizzanti per armarsi di un'arma potente antirevisionista, per 'vaccinarsi' contro il revisionismo e anche per ripulirsi dell'influenza revisionista precedente all'adesione al PMLI.
Al momento il revisionismo alla Gramsci, Togliatti e Berlinguer, a parte quello alla Trotzki e il neorevisionismo, sembra scomparso. Ma non può non rifarsi vivo quando il PMLI sarà molto più forte numericamente e più influente nella lotta di classe. Inevitabilmente non mancheranno gli agenti della borghesia infiltrati nel Partito che, distorcendo il marxismo-leninismo-pensiero di Mao, cercheranno di impadronirsi del PMLI per fargli cambiare colore politico e impantanarlo nel capitalismo e nel parlamentarismo.
Dobbiamo prepararci culturalmente per impedirglielo, consapevoli, come dice Mao, che
'Tutte le idee errate, tutte le erbe velenose, tutti i mostri devono essere criticati, e non bisogna mai lasciare loro campo libero'.
Dobbiamo tenere ferma la nostra missione, che è quella di conquistare il socialismo e assicurare il potere politico al proletariato, attenendoci sempre e in ogni circostanza al marxismo-leninismo-pensiero di Mao, praticando correttamente la critica e l'autocritica, coscienti che la lotta tra le due linee è sempre presente nel Partito anche se in forma latente, perseverando con intelligenza tattica nel lavoro di radicamento nei propri ambienti di lavoro, di studio e di vita, concentrandosi sul fronte operaio e sindacale e su quello studentesco, salvo eccezioni temporanee e locali, mettendo scrupolosamente in pratica la parola d'ordine 'Studiare, concentrarsi sulle priorità, radicarsi; radicarsi, concentrarsi sulle priorità, studiare', migliorando il lavoro giorno dopo giorno, esperienza dopo esperienza sulla base della linea, delle indicazioni e delle misure del 5° Congresso nazionale del PMLI".

26 gennaio 2011